Non solo Jurassic Park: 10 film sui dinosauri e sulle creature preistoriche
Jurassic World – Il regno distrutto è solo l'ultimo capitolo di una lunga storia d'amore: quella fra l'essere umano e i dinosauri. Nel corso della Storia del Cinema la preistoria e la sua mitologia sono state disegnate e modellate seguendo svariati registri: scopriamoli assieme.
Entrati ormai di diritto nell’immaginario collettivo mondiale, i dinosauri e i mostri preistorici hanno attraversato la storia del cinema vivendo svariate trasformazioni estetiche e narrative: prima e dopo l’iconico Jurassic Park – che ha ristabilito le regole del sottogenere catastrofico, grazie all’estro di Steven Spielberg e alle rivoluzioni tecnologiche in atto nel 1993 – questi animali appartenenti al Triassico superiore (più di 200 milioni di anni fa) hanno scatenato le fantasie di grandi e piccini, attraverso animazioni e parodie, improbabili opere di fantascienza (e se i dinosauri potessero tornare oggi in vita?) e metafore sulla natura cinica e opportunistica dell’essere umano. T-Rex, Velociraptor, Brontosauri, Triceratopi e Pterodattili: ecco a voi i 10 film che hanno contribuito a creare e ad alimentare la nostra passione per questi misteriosi, affascinanti e terrificanti rettili.
10 film sui dinosauri e sui mostri preistorici per grandi e bambini
Gertie il dinosauro (Winsor McCay, 1914)
Incredibile ma vero: la prima apparizione di un dinosauro al cinema risale a più di 100 anni fa: è Gertie, creato nel 1914 dal fumettista americano Winsor McCay. Creato basandosi sulla figura del Brontosauro e sulle informazioni scientifiche disponibili all’epoca, Gertie è protagonista di un cortometraggio disponibile per intero (12 minuti) su Youtube.
Rivederlo oggi fa sorridere, ma occorre calarsi nello spirito del tempo: la caratterizzazione dei personaggi – che interagiscono e giocano con Gertie – è inedita, così come risulta stupefacente la tecnica utilizzata. Trattasi di keyframing, animazione che stabilisce i fotogrammi iniziali e finali di un filmato, per poi procedere alle transazioni intermedie per restituire la sensazione del movimento. Il risultato è buffo, ingenuo e senza alcun dubbio datato; eppure senza Gertie probabilmente non ci sarebbe stato alcun Jurassic Park.
Il mondo perduto (Harry Hoyt, 1925)
Al confine tra avventura e fantascienza, Il mondo perduto è il primo film che crea una “reale” interazione fra esseri umani e creature preistoriche. Lo spunto è il romanzo omonimo di Arthur Conan Doyle (maestro del giallo deduttivo e non a caso creatore di Sherlock Holmes), il cui obiettivo dichiarato è quello di offrire intrattenimento e gioia al bambino che è in ognuno di noi. Il film ha dato il via ad un vero e proprio filone cinematografico denominato appunto “mondo perduto”, popolato da creature e mostri giganteschi in contesti anomali e fuori dal tempo (giungle, isole sperdute, cavità terrene).
Una buona parte del successo della pellicola è dovuta agli effetti speciali di William O’Brien, maestro di Harry Harryhausen che, come lui, utilizza la rivoluzionaria tecnica della stop motion per dare il senso del movimento e dello spostamento.
King Kong (Merian C. Cooper & Ernest B. Schoedsack, 1933)
Ma King Kong è una creatura preistorica? Segue dibattito. Stando alle descrizioni originali e ufficiali, il primate per eccellenza è l’ultima evoluzione possibile del Gigantopiteco, un gorilla che ha raggiunto dimensioni colossali. Ma allora perché non si è estinto come gli altri dinosauri? Perché, stando sempre alla mitologia inventata da Merian C. Cooper all’inizio degli anni ’30, l’Isola del Teschio (luogo in cui Kong viene trovato, a ovest di Sumatra) non subì eccessivamente l’impatto del meteorite che estinse i dinosauri.
Il personaggio, belva furiosa e al contempo tragico antieroe, fa capolino periodicamente all’interno della produzione hollywoodiana: all’originale del 1933 si affianca il remake – non del tutto riuscito e non molto amato – del 1976, fino ad arrivare ai contemporanei prodotti del 2005 (per la regia di Peter Jackson) e del 2017 (Kong: Skull Island). Di Kong esistono ovviamente anche svariate versioni nipponiche: nella più famosa, realizzata dalla casa di produzione Toho, il mostro è capace di manipolare l’elettricità (a causa delle radiazioni derivanti dai bombardamenti atomici del 1945).
Godzilla (Ishiro Honda, 1954)
Sempre a proposito di radiazioni e nefaste conseguenze della Seconda Guerra Mondiale: Godzilla – nella versione originale giapponese risalente agli anni ’50 – è un dinosauro atomico alto 150 metri, sopravvissuto all’estinzione e agli esperimenti nucleari in virtù della sua capacità di adattamento nei fondali marini. Come spesso accade per i film horror e catastrofici asiatici, la paura viene dall’acqua, elemento capace di infondere la vita e di provocare la morte. Godzilla (oltre ad inaugurare il genere kaiju eiga – cinema dei mostri – nipponico) viene immediatamente notato dai produttori americani, che ne acquistano i diritti riadattando le opere originali per il mercato occidentale (Godzilla, King of the Monsters! del 1956) o girando i propri remake (quello del 1998 di Roland Emmerich e quello del 2014 di Gareth Evans).
Una curiosità: nella pellicola originale la creatura è interpretata da un mimo che indossa una tuta di gomma; per i campi lunghi invece viene utilizzato un pupazzo in miniatura, mosso come un burattino o tramite stop motion.
La vendetta di Gwangi (James O’Connolly, 1969)
Godzilla favorisce anche la nascita di epigoni statunitensi, che hanno evidentemente a che fare con il seminale primo film giapponese ma senza dichiararlo apertamente. Nasce così, a cavallo tra gli anni ’50 e ’60, la cosiddetta Trilogia dei dinosauri, interamente girata dal regista francese Eugène Lourié: Il risveglio del dinosauro (1954), Il drago degli abissi (1959) e Gorgo (1961). A questa segue quello che viene considerato il canto del cigno del sottogenere, La vendetta di Gwangi.
Un’opera impreziosita da un nuovo espediente narrativo (cowboy contro dinosauri, in pieno Far West!) e dagli effetti speciali del mago Ray Harryhausen, destinata tuttavia a non incontrare più il gusto del pubblico: un anno prima, nel 1968, è infatti uscito nelle sale 2001: Odissea nello spazio di Stanley Kubrick, che rivoluziona il cinema di fantascienza ridisegnandone completamente i connotati. Dinosauri e mostri preistorici vengono messi in un cassetto, in attesa di tempi migliori.
Alla ricerca della Valle Incantata (Don Bluth, 1988)
Lontano dalle produzioni mainstream della Disney, il regista Don Bluth realizza fra gli anni ’80 e gli anni ’90 una manciata di film d’animazione destinati a restare impressi nella memoria di grandi e piccini: Fievel sbarca in America (1986), Charlie – Anche i cani vanno in paradiso (1989), Eddy e la banda del sole luminoso (1991). A questi tre capisaldi si aggiunge Alla ricerca della Valle Incantata, realizzato nel 1988 con l’aiuto di Steven Spielberg (Amblin Entertainment) e George Lucas (LucasFilm): i dinosauri tornano al centro della scena, e questa volta si rivolgono direttamente ad un target formato da bambini e pre-adolescenti.
È una scelta vincente: la storia di Piedino & Co. conoscerà ben 13 sequel, aprirà le porte ad un franchise multimilionario (che non riguarda tuttavia Bluth, Spielberg e Lucas) e creerà un precedente per le animazioni successive incentrate sull’umanità degli animali preistorici.
Jurassic Park (Steven Spielberg, 1993)
E rivoluzione fu: tratto dall’omonimo romanzo di Michael Crichton (ideatore nello stesso periodo anche di E.R. – Medici in prima linea) e diretto da Steven Spielberg nel medesimo anno di Schindler’s List, Jurassic Park è il primo film ad alto budget a fare uso della computer grafica. Il cinema – non solo quello di avventura/fantascienza – entra nella modernità, nella contemporaneità. E lo fa con un’opera monumentale, che rilancia la mitologia dinosauresca e genera nuove schiere di fan alle quali sembra di avere davanti ai propri occhi dinosauri “reali”. Accantonata la stop motion si passa ai soggetti animatronici che dialogano con gli attori in carne ed ossa, inseriti all’interno di una trama credibile e che sospende l’incredulità degli spettatori.
Al capostipite seguiranno due sequel (Il mondo perduto – Jurassic Park, 1997; Jurassic Park III, 2001), un rilancio del franchise (Jurassic World, 2015; Jurassic World – Il regno distrutto, 2018) e una folta schiera di imitazioni e parodie, che alimenteranno comunque la nuova “dinomania” ancora in atto.
Carnosaur – La distruzione (Adam Simon, 1993)
Oggi grazie alla Asylum (la casa distributrice che realizza solo film a bassissimo budget che si rifanno alle produzioni dei più famosi studi cinematografici, cavalcandone l’onda) ci siamo abituati, ma all’epoca fece quasi scandalo: nel 1993 Adam Simon realizzò Carnosaur, b-movie sui dinosauri girato in una settimana (!) pur di uscire nelle sale prima di Jurassic Park, in modo da sfruttarne il successo. L’obiettivo venne raggiunto: il film, costato un milione di dollari, ne incassò il doppio, e diede il via alla propria personale saga (formata da Carnosaur 2 del 1995 e da Carnosaur 3: Primal Species del 1996).
La sgangherata trilogia è divenuta nel corso degli anni un piccolo oggetto di culto, grazie anche alla produzione affidata al mitico Roger Corman – garanzia di qualità fin dagli anni ’50, quando si parla di film a basso costo – e alla presenza nel cast di Diane Ladd, madre di Laura Dern (protagonista di Jurassic Park).
Chicken Park (Jerry Calà, 1994)
Nel 1994 Jerry Calà ha un’idea brillante: esordire alla regia con una parodia di Jurassic Park, che sostituisca i temibili dinosauri con dei polli giganti. La fantasia non resta tale e diventa film, ingrossando le fila degli scult e dei cosiddetti guilty pleasure. Chicken Park viene girato ai Caraibi, presentato al Fantafestival di Roma e rimane poi in attesa di una distribuzione cinematografica che non arriverà mai. Nonostante questo – o forse proprio in virtù di un’attesa che si era fatta spasmodica – la prima visione televisiva del 1995 registra un insospettabile picco di ascolti.
Tutto quello che vediamo è un disastro tale da sfiorare il sublime: gli improponibili pupazzi giganti dei polli, la sequela di citazioni e prese in giro di altri film (tra i quali La famiglia Addams e Il cacciatore), la recitazione ampiamente sotto il livello di guardia (nonostante nel cast sia presente l’attrice spagnola Rossy de Palma, uno dei feticci di Pedro Almodovar). Il desiderio di Jerry Calà sarebbe quello di rifarsi al maestro Mel Brooks, ricalcandone stile e ritmi narrativi; un sogno destinato evidentemente a restare tale.
L’era glaciale (Chris Wedge & Carlos Saldanha, 2002)
Nel 2000 la Disney, in una fase di stanca successiva ai successi di Il gobbo di Notre Dame e di Mulan, cerca di riprendere in mano la mitologia dei dinosauri realizzando Dinosauri. Un’opera minore e presto dimenticata, incapace di riaccendere la miccia dell’entusiasmo nel pubblico di riferimento. Il problema principale del film è la ricerca di un eccessivo iperrealismo, che frena l’empatia anche a causa della paradossale scelta di far parlare comunque gli animali, nonostante l’intento sia semi-documentaristico.
Dove non arriva la Disney però arriva un paio di anni più tardi la 20th Century Fox, che nel 2002 trova la chiave di volta grazie a L’era glaciale: anche in questa pellicola gli animali parlano, ma la scelta è ampiamente giustificata da un’animazione giocosa che fa leva su personaggi dichiaratamente comici protagonisti di irresistibili gag degne del miglior Charlie Chaplin (basti pensare alla mimica e alle disavvenure dello scoiattolo Scrat). Cavalcando l’onda del successo vengono realizzati ben 4 sequel: l’ultimo, L’era glaciale 5 – In rotta di collisione (2016) mostra tuttavia la corda di un filone aurifero che sta inevitabilmente inaridendo, esaurendo idee e spunti.