Da Ghost Stories a Suspense: i 25 film sui fantasmi da vedere assolutamente
Dal caso cinematografico dell'anno, Ghost Stories, in uscita nelle sale italiane dal 19 aprile 2018, a ritroso fino al 1961 con Suspense. Una selezione di film sui fantasmi in cui spiriti e presenze sanno suscitare paura e scavare tra i meandri della nostra anima.
Esistono delle figure talmente radicate e ricorrenti nell’immaginario popolare e nella tradizione letteraria della storia dell’uomo da essere note in tutte le civiltà sin dalla notte dei tempi. Presentandosi in varie versioni e sotto diverse spoglie, avendo un background variabile, pensati in accezione negativa o positiva, ma comunque sempre presenti. Tra tutte quante la più emblematica e significativa è quella del fantasma.
Il termine, di derivazione greca, significa “apparizione” e si riferisce ad una presenza incorporea – quindi legata al sovrannaturale e al paranormale – e solo con il tempo si è legata alla manifestazione di un defunto.
Spiritelli dispettosi, fantasmi terrificanti, presenze demoniache, spiriti capaci di possessioni, proiezioni telepatiche, allucinazioni; la tradizione orale prima e quella scritta poi sono state fautrici di una veicolazione costante di storie che, a seconda del contesto e dello scopo, presentavano la medesima figura nelle più incredibili e diversificate forme. La capillarità e l’importanza di questa diffusione culturale è andata sfociando in tutti gli ambiti delle tradizioni popolari: la religione, la scienza, il folklore, la letteratura e così via.
Nella versione tradizionale il fantasma è associato ad elementi sinistri e orrorifici: nei racconti gotici spesso infestano vecchi castelli decadenti o antiche ville isolate dal mondo. Possono essere però anche figure più complesse, con un proprio scopo e una propria volontà, lo dimostra il celebre fantasma del padre di Amleto nell’omonima tragedia shakesperiana del 1600, probabilmente l’esempio per eccellenza, capace di ispirare le versione future.
La letteratura inglese ha proposto anche un’altra versione, in questo caso la più positiva possibile, nel romanzo Il canto di Natale di Charles Dickens, metà 1800, nella quale i fantasmi salvano l’anima di Scrooge, destinata a pagare per la sua infinita avarizia.
È senza dubbio affascinante tentare di ripercorrere le varie trasformazioni di un personaggio così importante, soprattutto se si pensa alla moltitudine di figure della tradizione orrorifica legate con tutta probabilità al fantasma. I vampiri, gli zombie, i demoni e così via sono tutti associabili all’idea che c’è dietro la letteratura dei fantasmi, trasportati e reinventati in modi straordinariamente diversi e incompatibili, ma associabili sempre e comunque da questa visione del ritorno dopo la morte.
Dopo la tradizione orale e scritta, con l’avvento del cinema, i vari autori non si sono fatti pregare due volte e si sono tuffati nella ricchissima tradizione di storie di fantasmi, riemergendone illuminati e capaci di creare, mescolare e giocare in modo originale e proficuo con questo personaggio.
Siamo arrivati al 2018 e i racconti sui fantasmi vengono ancora usati assiduamente e apprezzati dal pubblico, soprattutto nel suo contesto orrorifico originale. In questa insenatura artistica si colloca l’uscita di un film che è già stato largamente elogiato dalla critica e la cui uscita in Italia è prevista per il 19 aprile con Adler Entertainment. Stiamo chiaramente parlando di Ghost Stories, un supernatural thriller che ci ha piacevolmente affascinati, tanto da indurci a stilare una lista dei migliori ghost movie, quelli da vedere assolutamente!
Da Ghost Stories a Suspense: i 25 film horror sui fantasmi che dovete vedere
Ghost Stories (Jeremy Dyson & Andy Nyman, 2017)
Due dei membri d’elite della geniale troupe comica della League of Gentlemen, che sul proprio show in onda sulla BBC non ha fatto certo mistero di essere fan accaniti del genere horror, hanno dato vita al caso cinematografico dell’anno con l’intenzione di mettere in scena un nuovo grandioso capitolo in piena linea con la ricca tradizione dell’horror inglese e in pieno stile ghost movie, ma con una strizzatina d’occhio ai classici horror all’americana, in primis La casa del maestro Sam Raimi.
Prima di diventare film, lo sceneggiato è stato una pièce teatrale di grande successo capace di raccogliere consensi a Londra, Mosca, Sidney e in altre parti del mondo.
Al cinema si presenta con un meraviglioso Martin Freeman, con il giovane protagonista della serie Netflix The End of the F***ing World, Alex Lawther e con lo stesso Andy Nyman come protagonista nei panni di uno scettico e scanzonato investigatore televisivo determinato a smascherare ogni episodio sovrannaturale, ogni sensitivo cialtrone e ogni leggenda nel nome del suo mito di gioventù, un reporter che lo ispirò nella sua missione. Ma sarà proprio la chiamata del professore, ormai completamente redento rispetto alle sue idee sull’inesistenza dell’occulto, a sconvolgere la vita del nostro protagonista.
Il film si snoda in vari episodi destinati a ricomporsi nel finale in un puzzle ben costruito, autoironico e terrificante, in grado di incollare il pubblico davanti allo schermo fino all’ultimo frame. Atmosfere che ci catturano completamente, facendo immedesimare gli spettatori nelle storie narrate: un meccanismo da scatole cinesi che risulta ipnotico e avvincente, consegnando agli occhi del pubblico una delle opere filmiche più spaventose sotto ogni punto di vista.
Crimson Peak (Guillermo Del Toro, 2015)
Nella filmografia del regista messicano, fresco fresco dei più grandi riconoscimenti dell’Academy (Premio Oscar per miglior film e per miglior regia per La Forma dell’Acqua), si sono sempre succedute pellicole mirate ad un immaginario orrorifico e fantastico.
In Crimson Peak Edith (Mia Wasikowska), una scrittrice stanca della monotonia della mentalità borghese di New York, trova l’amore in Sir Thomas Sharpe (Tom Hiddleston), arrivato in città per far brevettare una macchina di sua stessa invenzione. Dopo la morte improvvisa del padre, Edith prende la decisione immediata di sposarsi con Sir Sharpe e di trasferirsi a Crimson Peak, un luogo isolato dal mondo, insieme al suo amato e alla sinistra sorella Lucille Sharpe (Jessica Chastain). Il soggiorno nella magione degli Sharpe sarà un’esperienza che non dimenticherà mai.
La grande capacità di Del Toro di analisi e di personalizzazione delle figure che vivono in queste atmosfere particolari, in primis i suoi famosi “mostri”, figure ormai diventate iconiche nella cinematografia degli ultimi anni, gli ha permesso di fonderli con grande libertà ed efficacia in vicende tra le più diverse fra loro.
Nel caso di questa pellicola, Del Toro decide di creare un film sui fantasmi in stile classico, tra il sovrannaturale e il reale, con dei riferimenti specifici all’immaginario gotico e inserendo dei chiari rimandi al maestro dell’horror H.P. Lovecraft, uno dei suoi scrittori preferiti. Il film gode di una grande esaltazione visiva, grazie a delle figure imponenti, in primis la magione lontana dal mondo, dove si svolge tutta la seconda parte del film, non solo infestata dai fantasmi, ma teatro di una follia malata, macabra e omicida.
La casa respira, vive, interagisce con i personaggi, è un’entità a sé ed è la perfetta traduzione visiva di tutte le emozioni e le atmosfere sinistre della pellicola. Geniale è la presenza dell’argilla rossa che pervade tutto il manto erboso della villa e nella sua forma liquida diventa il sangue di una casa che sta morendo e sprofondando pian piano nella cava argillosa posta nel sottosuolo.
Ouija (Stiles White, 2014)
La prima regia di White ci propone un horror di stampo classico, ma sempre affascinante, il cui tema è quello della comunicazione con l’aldilà.
Due bambine, Laine e Debbie, giocano con una tavoletta Ouija, capace di creare una connessione con l’adilà in maniera sicura a patto che si rispettino le tre regole fondamentali: non giocare mai da soli, non giocare in un cimitero e salutare sempre. Dopo la seduta però qualcosa va storto e Debbie muore impiccata. La tragedia porterà Laine ad entrare in contatto con DZ, uno spirito maligno che terrorizzerà la sua vita e quella dei suoi amici.
Nonostante l’assenza del medium, il ponte classico tra il mondo dei vivi e dei morti, il film riesce ad appropriarsi in maniera efficace degli elementi canonici dei film horror: la casa infestata, lo spettro di una persona defunta, l’opposizione tra l’innocenza delle bambine e la violenza dell’evento ed infine la più canonica delle domande: cosa vuole l’anima del defunto per essere in pace?
Gli effetti speciali di sua maestà Stan Winston sono uno dei punti di forza di un film capace di spaventare, ma che deficita in un pathos che non sempre riesce a essere all’altezza, nonostante la forza e la credibilità di un film che fa suoi lo svolgimento e lo scioglimento classico di una storia di fantasmi. Nel 2016 Mike Flanagan girerà il prequel di questa pellicola, Ouija – Le origini del male.
Oculus – Il riflesso del male (Mike Flanagan, 2013)
Ispirato al corto Oculus: Chapter 3 – The man with the plan, girato dallo stesso Flanagan, la pellicola del 2013 è il perfetto ampliamento (realizzato anche grazie all’aiuto di Jeff Howard) di un piccolo universo filmico con delle regole ben precise ed efficaci.
Timbo, dopo dieci anni passati in un ospedale psichiatrico per aver ucciso il padre, viene dimesso, ormai dissuaso dalla convinzione dell’esistenza di una forza paranormale che lo avesse spinto a compiere l’efferato omicidio. Di tutt’altro avviso però è la sorella Kaylie, la quale cerca di convincere il fratello a rintracciare e distruggere uno specchio, comprato dal padre anni prima. Quello stesso specchio che, inspiegabilmente, aveva portato alla rovina della famiglia.
Il film è un perfetto mix tra thriller psicologico, nella prima parte, e horror puro, nella seconda. Grazie all’uso efficace delle visioni dei due fratelli (che man mano rivivono la loro infanzia riuscendo a ricordare i fatti accaduti anni prima) e la straordinaria capacità di editing di Flanagan – non per nulla nato come montatore – si crea un ritmo veloce, incalzante e innovativo con il quale viene raccontata l’intera vicenda.
Si tratta di una pellicola assolutamente peculiare, basata inizialmente su delle premesse banali per poi esplodere in un avvicendamento enigmatico e tenebroso, in cui i protagonisti tentano, lottano costantemente per trasformare una forza oscura da predatrice a preda.
L’evocazione – The Conjuring (James Wan, 2013)
James Wan, il regista malese noto al grande pubblico per la prima pellicola della saga di Saw – L’enigmista, si confronta con un film denso di orrore nel suo stato più primitivo e irrazionale. La pellicola, tratta da fatti realmente accaduti, catapulta lo spettatore in un inferno “usuale”, per ambiente casalingo e per contesto familiare.
Una famiglia convive con delle presenze che stanno mettendo in ginocchio la loro sanità mentale e la loro stessa vita, dunque si rivolgono ai famosi coniugi Lorraine ed Ed Warren, (le cui esperienze avevano ispirato anche altre pellicole importanti come Amityville Horror e The Haunting in Connecticut), collaboratori del Vaticano nell’individuazione e nella cacciata di presenze demoniache.
La classica tematica della casa infestata viene fatta propria da Wan con elementi del J-horror, costruendo con la tensione una premessa pesante e terrificante per poi sconvolgere lo spettatore con quello che viene mostrato. L’uso di maschere che mostrano volti tumefatti e deliranti è preciso, mai noioso e sempre puntuale. Un film non per i deboli di cuore, ma un ottimo prodotto per gli amanti del genere.
Sinister (Scott Derrickson, 2013)
Ellison Oswalt, uno scrittore in cerca di una storia che possa rilanciare la sua carriera, decide di trasferirsi con tutta la famiglia in una casa isolata in un bosco per indagare su un misterioso quanto macabro fatto avvenuto lì tempo prima. Infatti la famiglia che vi abitava fu ritrovata impiccata in giardino, tranne la bambina, della quale si sono perse le tracce.
Dopo qualche tempo nella dimora Ellison trova dei vecchi filmati familiari in super8, tra i quali ci sono anche le macabre scene di delitti e in ognuna di queste si trova una figura misteriosa. Lo scrittore capisce ben presto che non è un caso che lui abbia trovato quei video in soffitta e che qualcuno, o qualcosa, gli ha teso una trappola.
Il regista del successo commerciale The exorcism of Emily Rose compie un notevole passo stilistico in avanti con la realizzazione di una pellicola che passa dal thriller psicologico all’horror puro con incredibile nonchalance.
Un notevole Ethan Hawke si carica sulle spalle tutto il peso della vicenda in modo egregio, accompagnando lo spettatore nel baratro dell’indagine e nell’orrore che si cela dietro quelle innocenti super8, in grado di rievocare un cinema grezzo e di come immagini ormai passate possano ugualmente coinvolgere e, in questo caso, terrorizzare lo spettatore. L’uso del canonico portale per far entrare nel mondo reale uno spirito malvagio viene reinterpretato con una chiave interessante e ben pensata.
Insidious (James Wan, 2010)
Wan ritrova lo sceneggiatore Leigh Whannell, con il quale ha fatto coppia anche in Saw, per creare una pellicola incentrata sull’esistenza dei corpi astrali e dei viaggi extracorporei, un altro degli elementi tipici del genere horror.
I Lambert si trasferiscono in una nuova casa, dove uno dei tre figli, Dalton, dopo una botta alla testa rimediata in soffitta, non riesce più a svegliarsi dal sonno. I genitori cercano in tutti i modi di trovare una soluzione, mettendo in scena un rapporto in crisi, la cui disperazione è alimentata dal fatto che c’è una minima speranza di recuperarlo. Alla fine si rivolgeranno a una medium, la quale svelerà al signor Lambert che il figlio ha ereditato da lui la capacità di viaggiare nel regno dei morti (e quindi tra i fantasmi!) e che l’unico modo per recuperarlo sia indurlo in trance in modo da poterlo raggiungere e salvare.
Nonostante la ricerca della particolarità nello sviluppo della vicenda, gli elementi orrorifici rimangono sempre quelli canonici: la tecnica del jumpscare e la tensione crescente, ma anche i dettagli ambientali e di atmosfera alla fine trovano le loro manifestazioni in soluzioni già viste e a tratti scontate.
Da segnalare comunque la scelta coraggiosa delle proiezioni astrali, un tema non sempre affrontato nel genere, anche se molto presente nella letteratura, e l’ottima rappresentazione dell’Altrove, il mondo a metà tra il terreno e l’aldilà.
The Orphanage (Juan Antonio Bayona, 2007)
Del Toro benedice l’opera prima di Bayona con la sua firma sulla produzione, permettendogli di mettere in scena una vicenda con un impatto visivo ed emotivo assolutamente fuori dal comune.
La pellicola, vincitrice di sette premi Goya e in lizza agli European Film Awards del 2008, riesce ad elevare il piano dell’horror di genere ad un livello più alto, esaltando e poi unendo in maniera sensazionale la disperazione di una madre per il destino del figlio con l’atmosfera terrificante di un luogo e di una catena di eventi che richiamano solamente all’abisso più profondo.
La trama di The Orphanage ruota attorno a Laura, che torna all’orfanotrofio dove è stata da piccola per trasformarlo in un istituto per bambini bisognosi, come Simon, il piccolo che ha adottato, affetto dal virus dell’HIV. L’atmosfera dell’orfanotrofio riesce però a stimolare la fantasia del piccolo, il quale inizia a raccontare storie di amici immaginari e vicende fantastiche finché, durante una caccia al tesoro, scompare. Sarà solo l’inizio dell’angoscia per Laura e per il marito Carlos.
L’argomento del ritorno dalla morte di bambini con l’intento di vendicarsi sa un po’ di dejavù, ma la pellicola presenta dei punti di forza indiscutibili: lo stile raffinato della regia di Bayona e un cast in stato di grazia, soprattutto per quanto riguarda l’interprete di Laura (Belén Rueda), capace di arricchire il genere horror canonico del film con un’introspezione psicologica ed emotiva assolutamente straordinaria, che non può non colpire anche i detrattori del genere.
1408 (Mike Håfström, 2007)
Sicuramente una delle migliori trasposizioni su schermo di un racconto del maestro Stephen King, spesso mortificato da dei registi quasi mai in grado di tradurre efficacemente le emozioni stampate sulla pagina.
Mike Enslin, uno scrittore di successo specializzato nel ricercare storie paranormali, decide di passare la notte nella famigerata stanza 1408, dove sono morte ben 56 persone. Il direttore cercherà in ogni modo di farlo tornare sui suoi passi, ma Enslin è quanto mai determinato a perseguire il suo intento, anche consapevole del fatto che nessuno ha mai resistito più di un’ora là dentro.
John Cusack e Samuel L. Jackson, particolarmente ispirati, mettono in piedi un’interpretazione corale veramente di ottimo livello per accompagnare lo spettatore all’interno della stanza infestata, che passa da un piano scontato e semplice di genere (sangue che cola dalla pareti ed apparizioni varie) ad un livello sempre più psicologico e interno di Enslin il quale, con i suoi tormenti interiori, ne fa la materializzazione oggettiva di tutti i suoi sensi di colpa, dando vita ai fantasmi che albergano nel suo cuore. Il risultato è originale e assolutamente soddisfacente.
Paranormal Activity (Oran Peli, 2007)
Uno dei casi cinematografici di genere horror del ventunesimo secolo ed una di quelle pellicole capaci di spaccare la critica a metà.
Dopo The Blair Witch Project, torna un altro horror no-budget (la realizzazione è costata solo 15.000 dollari) di un regista esordiente dalle dimensioni incalcolabili (è riuscito a incassare più di cento milioni di dollari solo negli Stati Uniti).
La tecnica è quella delle riprese amatoriali e del falso documentario: telecamera a mano, niente musica e luci diegetiche. La scenografia è realistica in tutto e per tutto, gli attori sconosciuti, gli interni privi di note particolari; tutto è indirizzato a rappresentare la pura e semplice realtà.
La storia è banalissima: due ragazzi si trasferiscono in una casa infestata da uno spirito maligno e uno dei due decide di riprendere la caccia alla presenza. L’unico elemento che esce oltre alla ricerca della semplicità e della rappresentazione nuda e cruda di quella che potrebbe essere la reale manifestazione di un evento sovrannaturale, è la solitudine della coppia nella loro lotta contro lo spirito, in quanto nessuno può o è in grado di aiutarli. Siamo di fronte ad uno dei fenomeni cinematografici degli ultimi anni, spavaldo e ingenuo a tratti, ma efficace, originale e interessante. Sono stati prodotti 5 sequel tra il 2010 e il 2015.
Ju-on: Rancore (Takashi Shimizu, 2003)
Conosciuto anche con il titolo internazionale Ju-on: The Grudge, la pellicola costituisce il terzo capitolo della saga iniziata con Ju-on del 2000, sempre scritto e diretto da Takashi Shimizu.
Al grande pubblico sarà sicuramente noto il film The Grudge, il remake americano di questo terzo capitolo, interpretato da Sarah Michelle Gallagher e diretto dallo stesso Shimizu.
Il film, come gli altri capitoli, è costituito da diverse parti, non messe in ordine cronologico, le quali portano il nome del protagonista di ognuna. La pellicola costituisce un esempio di horror un po’ figlio nelle scelte stilistiche, nelle situazioni e nelle atmosfere ad altri j-horror più famosi, ma riesce ad appropriarsene e a rielaborarle in maniera originale, ma soprattutto funzionale alla vicenda che racconta.
Le diverse storie ruotano intorno ad una casa avvolta da una maledizione e chiunque entra in contatto con quest’ultima o con qualcuno che sia stato a sua volta contagiato dal maleficio sarà perseguitato fino alla morte.
Ju-on: Rancore è una pellicola è diretta e spontanea fin dall’inizio, ma nonostante ciò riesce a tenere sulle corde lo spettatore fino all’ultima scena. Il ritmo funziona ed incalza notevolmente le immagini su schermo arrivando anche a far tralasciare i vari colpi di scena scontati e gli intrecci telefonati della trama. Un horror che funziona: da omaggio alla tradizione horror orientale ne diventa un degno esponente.
Gothika (Mathieu Kassovitz, 2003)
L’esordio hollywoodiano di Kassovitz, la mente dietro Fiumi di Porpora (2000) e soprattutto L’odio (1995) ha fatto storcere il naso a non pochi fan dell’artista parigino ma, tralasciando alcune cose inerenti l’interpretazione poco credibile della protagonista e l’avvicendamento non proprio originale, questo film presenta degli elementi interessanti.
Halle Berry interpreta una psichiatra criminale incarcerata per l’efferato omicidio del marito, evento di cui lei non ha il benché minimo ricordo. Rinchiusa in una cella scarna e desolata, la dottoressa riceverà la visita del fantasma di Rachel con la quale entrerà in contatto per scoprire la verità.
Kassovitz riesce a mettere in scena una storia credibile ed un’ottima fusione di genere come noir, thriller e horror. Gli ambienti scarni, la fotografia asciutta ed essenziale di Mattew Libatique, danno vita ad un film molto pratico, ma di felice riuscita sotto quasi tutti i punti di vista.
Capace di tenere incollato lo spettatore alla poltrona (ma anche di farlo saltare all’occorrenza) e di trasportalo a dei livelli anche troppo alti per un film del genere. Da sottolineare la prova fin troppo sottovaluta di una Penelope Cruz in grandissima forma nella parte di uno dei pazienti della Berry.
La spina del diavolo (Guillermo Del Toro, 2001)
Troviamo ancora Guillermo Del Toro, questa volta dietro la macchina da presa del suo ultimo film prima del debutto hollywoodiano.
Spagna 1939: siamo negli ultimi giorni della guerra civile spagnola scoppiata durante la Seconda Guerra Mondiale. Carlos viene condotto in un sinistro orfanotrofio, dove viene preso di mira da Jamie, uno dei ragazzi più violenti e cattivi della struttura, capace di tormentarlo fino alla disperazione. Durante il soggiorno Carlos comincia a scoprire gli oscuri segreti che si celano dietro la storia dell’edificio e dei suoi atipici frequentatori fino a che entrerà in contatto con il fantasma di Santi, un vecchio alunno dell’orfanotrofio scomparso anni prima.
Si tratta di una pellicola piena di passione: ogni inquadratura, ogni scena, ogni trovata visiva e di trama trasudano dell’amore e della voglia del regista per quello che sta mostrando sullo schermo. L’ambiente, il contesto e la cornice della vicenda permettono alla pellicola un notevole salto di qualità rispetto agli altri horror di genere coetanei e la fotografia ed il montaggio riescono ad esaltare in toto il risultato.
In Crimson Peak si può trovare un piccolo omaggio al fantasma di Santi nelle fattezze dello spettro di Sir Thomas Sharpe.
The Others (Alejandro Amenábar, 2001)
Ecco a voi uno dei piccoli grandi capolavori dell’horror di culto. Quasi niente in questo film è mediocre, sottotono, sbagliato o fuori contesto. Un cast eccezionale (con Nicole Kidman in testa), un’atmosfera fantastica, una vicenda originale con una resa visiva ottima ed una fotografia all’altezza trasporteranno lo spettatore in una pellicola in perfetto equilibrio tra un thriller psicologico e un horror puro.
Grace (la Kidman) è una vedova di guerra con due figli, affetti da una particolare malattia che li rende allergici alla luce, dunque tutta la casa è costantemente immersa nelle tenebre. Un giorno arriveranno alla villa tre domestici per cercare lavoro. Grace li accoglierà con una freddezza ed una rigidità tale da sollevare la curiosità soprattutto della nuova governante, la quale verrà a sapere dai bambini che la mamma, da qualche tempo, è improvvisamente cambiata dopo una misteriosa sera in cui è uscita di testa e, in più, la metteranno in guardia: da qualche notte non sono soli in quella casa.
Con un ribaltamento dei ruoli senza precedenti e un finale da togliere il fiato questo film tocca veramente delle vette mai raggiunte prima nel genere, assolutamente una pellicola da non perdere.
Le verità nascoste (Robert Zemeckis, 2000)
Il maestro Zemeckis dirige in questo horror dai puri risvolti thriller con un cast d’eccezione composto da Michelle Pfeiffer ed Harrison Ford.
I coniugi Claire e Norman Spencer possono finalmente passare un pó di tempo da soli ora che la loro figlioletta è partita per il college e loro si sono trasferiti nel Vermont. Qui Claire conosce Mary, la loro vicina di casa terrorizzata da Norman. Dopo la sua scomparsa, le voci che provengono dal lago e le apparizioni, Claire comincia a dubitare nel marito e decide di scavare per arrivare in fondo alla faccenda.
Un horror con in fiocchi, ben realizzato, interpretato e messo in scena. Pieno di brividi e scelte stilistiche classiche, ma molto azzeccate. Il ruolo di primo piano, nonostante la protagonista sia Claire, viene però preso arrogantemente da Norman, grazie ad un Ford inedito, capace di trasmettere al pubblico un senso di ambiguità e di sospetto che nelle sue consuete prove attoriali non aveva mai dato idea di poter dare.
Il mistero di Sleepy Hollow (Tim Burton, 1999)
Un tipo come Tim Burton non poteva esimersi dal dire la sua sulle terrificanti storie di fantasmi e dunque non poteva non essere inserito in questa speciale carrellata.
Al fianco del suo figlio preferito, Johnny Depp, Burton mette in scena un horror classico alla sua maniera, decidendo di raccontare la storia del terrificante Cavaliere senza testa, incaricato di tornare dall’oltretomba per raccogliere le teste di chiunque abbia fatto torto quando era in vita, ma non necessariamente a lui…
Tratto da un celebre racconto di Washington Irving, la pellicola si presenta come una di quelle da cineteca di genere. Un film in pieno stile burtoniano: sangue, amore, ironia, metodi alla Sherlock Holmes, maledizioni, fantasmi e streghe. Una fiaba horror divertente e terrificante.
Il Sesto Senso (M. Night Shyamalan, 1999)
Nel 2007 l’AFI (American Film Institute) lo ha inserito all’ottantanovesimo posto nella classifica dei migliori cento film americani di tutti i tempi. Uno dei maggiori incassi della storia del cinema, nominato a 6 premi Oscar e 2 Golden Globe.
Pellicola tra l’horror puro e il thriller paranormale che ha permesso al grande pubblico di scoprire il talento di Shyamalan.
Un Bruce Willis in grande forma interpreta lo psichiatra infantile Malcolm Crowe, che si occupa del caso del piccolo Cole, un bambino con il quale man mano instaurerà un legame sempre più forte e profondo. Una volta entrato in confidenza con il piccolo, Crowe scoprirà i disturbi di Cole, provocati dalla visione costante di “gente morta”.
Il mosaico si compone man mano davanti agli occhi dello spettatore dando vita ad un finale indimenticabile e trascinante. Si tratta di un film importante, una visione obbligata per ogni amante del genere e non.
Ring (Hideo Nakata, 1998)
Tratto dall’omonimo romanzo di Koji Suzuki, ispirato a sua volta al racconto popolare Banchō Sarayashiki, il film ha ispirato il più famoso remake americano The Ring del 2002, di Gore Verbinski con Naomi Watts protagonista.
La storia narra della giornalista Reiko Asakawa che, mentre indaga sulla morte della propria nipote e di alcune sue amiche, entra in contatto con una videocassetta portatrice di una tremenda maledizione. Dopo averla vista dovrà fare i conti con lo spirito maligno di Sadako, la quale, dopo sette giorni, torna dall’aldilà per uccidere chiunque abbia visto la cassetta. La pellicola è un classico del cinema horror giapponese ed è diventata una saga iconica ormai in tutto quanto il mondo.
Nightmare – Dal profondo della notte (Wes Craven, 1984)
Probabilmente neanche il compianto Wes Craven aveva minimamente immaginato che stava per dare vita ad un uno dei personaggi più iconici del cinema horror quando creò il fantasma di Freddy Kruger.
La storia si svolge in pieni anni ‘80, quando un gruppo di ragazzi conosce il terrore di incontrare questo redivivo e spaventoso individuo dal corpo ustionato tornato dall’oltretomba per vendicarsi di tutti i figli di coloro che lo avevano bruciato, che nella dimensione onirica comincia ad uccidere brutalmente chiunque lo sogni.
La tematica è quella classica della lotta con l’elemento paranormale, in cui le persone, prima prede, tentano di combattere lo spirito maligno per sconfiggerlo e liberarsene.
Si tratta di un cult senza precedenti con classici elementi orrorifici, ottimi effetti visivi, scene entrate nella storia del cinema e nell’immaginario popolare e con un antagonista talmente carismatico da arrivare a conquistare lo spettatore facendo dimenticare quanto sia lui l’elemento disturbante del film per conquistare il ruolo di vero beniamino della storia. Questo primo capitolo della saga (sono in totale 9 film) è arricchito da elementi splatter e dal classico rapporto killer omicida/gruppo di vittime, che ne ha reso la pellicola principe del genere slasher.
Poltergeist – Demoniache presenze (Tobe Hooper, 1982)
La mente di Steven Spielberg, prestata alla cura del soggetto, alla stesura della sceneggiatura e alla produzione, ha contribuito a rendere questa pellicola uno dei pilastri incontrastati dell’horror americano, nonché uno dei più grandi film cult del genere.
L’ultima nata dei Freeling, una famigliola residente nella tranquilla cittadina di Cuesta Verde, viene sorpresa una notte a parlare con il televisore per poi scomparire in circostanze misteriose. Questo evento segnerà solamente l’inizio di un’epopea pervasa da forze maligne, fantasmi misteriosi e spiritelli dispettosi che pian piano otterranno il pieno controllo della casa.
È un film ricco di tutti quanti i dettagli classici del cinema di genere horror: dal pathos crescente alle manifestazioni spaventose e improvvise del paranormale, dalla figura del medium come mediatore con l’aldilà al rapporto dissonante tra reale e sovrannaturale. Un vero classico senza tempo. Uno dei punti di forza della pellicola è senza dubbio la cura maniacale degli effetti speciali (addirittura si decise di usare degli scheletri veri per una delle scene più famose).
In questo campo troviamo un omaggio a I predatori dell’arca perduta dello stesso Spielberg, in una delle scene più macabre, quando uno dei ricercatori vede la sua faccia sciogliersi come acido.
Shining (Stanley Kubrick, 1980)
Il fiore all’occhiello di questo genere di horror. Uno dei film più importanti nella storia del cinema, considerato da molti il migliore film horror in assoluto e come non potrebbe essere altrimenti?
Dietro la camera uno dei più grandi maestri della storia del cinema e davanti forse l’attore americano più importante degli ultimi anni al massimo della sua carriera.
La tappa horror della filmografia eterogenea di Kubrick è leggendaria. Tratto dall’omonimo romanzo del 1977 di Stephen King, il film racconta di Jack Torrance, uno scrittore in crisi che decide di trasferirsi con tutta la famiglia all’Overlook Hotel dopo aver accettato il lavoro di guardiano notturno per il periodo invernale. Jack viene redarguito nel colloquio di lavoro sulla pericolosità dell’incarico data dall’isolamento forzato di 5 mesi, causa dell’esaurimento nervoso del precedente custode, il quale sterminò la sua famiglia con un’accetta per poi suicidarsi. La stessa sorte toccherà anche la vita dell’allegra famigliola.
Si tratta di una delle pietre miliari della storia del cinema, capace di terrorizzare e affascinare oltre ogni immaginazione. Jack Nicholson è uno straordinario trascinatore e tira fuori dal cilindro un’interpretazione perfetta, capace di catturare da sola lo spettatore e di trasportarlo con lui nell’abisso della follia umana.
Sono presenti alcune delle scene più famose, ancora oggi oggetto di studio da parte di tutti quanti gli amanti del cinema e professionisti del settore e ormai diventate parte dell’immaginario popolare in tutto il mondo.
Un classico senza tempo, terrificante, spietato, lugubre e semplicemente perfetto.
Fog (John Carpenter, 1980)
Il maestro John Carpenter dà vita all’horror più inventivo e innovativo della sua filmografia rinnovando la collaborazione con Jamie Lee Curtis, della quale fece fortuna la partecipazione ad Halloween – La notte delle streghe, il suo film precedente.
Ispiratosi al film di Quentin Lawrence del 1958, I mostri delle rocce atomiche, mette in scena una di quelle pellicole che non si scordano mai: originale, visionaria, folkloristica ed entusiasmante.
Il 21 Aprile 1980 a San Antonio Bay è tutto pronto per festeggiare il centenario di fondazione della città ma, a mezzanotte in punto, cominciano a manifestarsi degli eventi sovrannaturali: una nebbia assassina, accompagnata da fenomeni di poltergeist e spettri di tutti i tipi, si avvicina inesorabilmente alla città sterminando tutto ciò che incontra. Sarà Padre Malone a scoprire il terrificante e antico segreto che si cela dietro questi fenomeni e tenterà ad ogni costo di porvi rimedio.
Si parte da un tema classico, come il ritorno dalla morte per vendetta, per espanderlo a dismisura in un contesto che va oltre lo spazio ed il tempo. Un horror non convenzionale nello svolgimento e nella trama, visivamente di alta qualità e terrorizzante al punto giusto, con quel tocco di Carpenter in più. Cosa c’è di meglio?
Amityville Horror (Stuart Rosenberg, 1979)
Tratto dal romanzo Orrore ad Amityville di Jay Anson, pubblicato nel 1977, la storia si ispira a dei presunti fatti realmente accaduti alla casa del 112 di Ocean Avenue nel 1974, a Long Island.
In una vecchia casa, una notte un giovane uccide inspiegabilmente tutta la sua famiglia e nasce la diceria che il diavolo stesso l’abbia spinto a farlo. Qualche tempo dopo una serena famigliola decide, come nella più classica delle tradizioni, di ignorare le superstizioni e di andare ad abitare nella casa teatro della strage. Inutile dire che ben presto la tragedia potrebbe ripetersi a loro spese.
Questo costituisce il primo film di una serie che dura da più di vent’anni (sono addirittura 11 le pellicole appartenenti a questa saga) e l’ultimo capitolo è uscito proprio l’anno scorso.
La pellicola, inizialmente sottovalutata dalla critica, fu poi molto rivalutata fino a diventare un classico dell’horror di genere, nonostante i difetti di trama, la debolezza di alcune scelte e la non irresistibile interpretazione dei protagonisti.
Tra le note a margine si dice nell’ambiente che la famosa scena dell’accetta in Shining fu ispirata da una scena di questo cult. Consigliato a tutti gli amanti del genere!
Gli Invasati (Robert Wise, 1963)
In una villa piena di presenze, l’antropologo John Markway compie degli esperimenti di parapsicologia insieme ad un gruppo di persone particolarmente sensibili alla percezione di fenomeni paranormali. La situazione procede in un’escalation di tensione e terrore prima del baratro.
Gli Invasati è una perla, un gioiellino conosciuto da pochi e scartato da molti. Il film di Robert Wise ha tutto ciò che serve per diventare un horror di prim’ordine. Realizzato praticamente senza effetti speciali, riesce a usare la forza della suggestione per portare la suspense nel cuore e nella mente dello spettatore che percepisce l’orrore anche se non riesce a vederlo. Un film immortale, ambiguo e misterioso, con molti accostamenti alla poetica lovecraftiana e al suo concetto di terrore.
Si riscoprono della paure infantili che toccano privatamente ogni persona davanti allo schermo, delle paure talmente profonde e radicate da essere diventate parte di noi e che neanche ci ricordavamo di avere. Un film catartico e un vero esempio di arte raffinata e grezza allo stesso tempo.
Suspense (Jack Clayton, 1961)
Tratto dal racconto Giro di vite di Henry James del 1898, il film di Clayton viene presentato in anteprima al Festival di Cannes del 1962 e fu tra le prime pellicole ad utilizzare effetti sonori elettronici.
Miss Giddens viene assunta da un uomo facoltoso per prendersi cura di Flora e Myles, i suoi due piccoli nipoti. Ben presto la situazione precipiterà a causa di una minaccia nata nel passato e che mira alle vite dei due bambini. Forse il capolavoro dell’horror gotico, un film raffinato, un caposaldo per il cinema di genere.
Da sottolineare la grandezza dell’interpretazione di Deborah Kerr, capace di trasmettere un’ambiguità fondamentale per rendere un personaggio a volte preda di un delirio collettivo e a volte fautore dello stesso.
La casa, sia negli elementi esterni sia in quelli interni, parla con lo spettatore e con gli interpreti, riuscendo a creare un’atmosfera angosciante da fare invidia ai film di genere gotico più famosi e all’impressionismo tedesco. Abbiamo una paura sottile, filtrata attraverso il comportamento e il temperamento dei personaggi e lasciata sospesa nella dimensione orrorifica tra realtà ed immaginazione.