10 film palesemente ispirati a Jean-Luc Godard
Alcune delle opere che hanno tratto ispirazione dal linguaggio cinematografico sviluppato da Godard, durante la sua carriera di cineasta
Jean-Luc Godard è stata una delle figure più significative della storia del cinema e, in generale, della storia delle arti visive del ventesimo secolo. Il suo cinema è stato un luogo di incontro fra tradizione pittorica classica e pop art, cinema di genere americano e politica degli autori europea, letteratura popolare e grandi classici. Ciò che però, più del resto, ha caratterizzato la sua visione è stato il sistematico uso del dispositivo filmico come meccanismo autopoietico in grado di fornire una struttura cognitiva totalizzante. Attraverso questa il regista franco-svizzero ha fornito un’originale lettura della storia dell’uomo novecentesco, costruendo, al contempo, una lucida critica alla coeva società dello spettacolo e, soprattutto, al pensiero economico a essa sottostante.
L’opera di Godard, pur portando avanti una visione politica radicale, di matrice marxista, per tutta la sua carriera – ad esclusione, forse dei primissimi lavori, dove la visione ideologica era intrisa per lo più di un contraddittorio romanticismo parimenti cinico e libertario – ha anche saputo proporre un’estetica del cinema multiforme e cangiante. Un’estetica che ha trovato la propria ragion d’essere nella scomposizione del dispositivo cinematografico nei suoi elementi linguistici basilari, da ricomporre poi in nuove strutture significanti.
Si può sostenere, a ragion veduta, che tale processo di risignificazione e di ricerca delle potenzialità simboliche del linguaggio filmico, abbia portato all’introduzione di nuove forme estetiche tutt’ora in uso nell’arte di fare cinema. Basti pensare ad esempio all’utilizzo dei falsi raccordi, all’introduzione del jump cut creativo o alla scomposizione di una singola azione attraverso un montaggio frammentario e schizofrenico. Inoltre alcune delle immagini e situazioni create dal padre della Nouvelle Vague sono entrate di prepotenza nell’immaginario collettivo, come nel caso del volto di Anna Karina accostato a quello di Reène Falconetti, durante la proiezione de La passione di Giovanna d’Arco (1928) di Dreyer in Questa è la mia vita (Godard, 1962).
Dunque risulterà interessante analizzare brevemente alcune pellicole che hanno preso ispirazione, in maniera più o meno palese, dal cinema di Godard.
1. Breatheless (1983) tra i film palesemente ispirati a Jean-Luc Godard
Nel 1983 il regista Jim Mc Bride, mestierante hollywoodiano di non troppo successo, per uno strano scherzo del destino finisce per dirigere un remake americano del primo lungometraggio di Godard, il film-manifesto della Nouvelle Vague francese, Fino all’ultimo respiro (1960). Il film è Breathless con protagonista Richard Gear, reduce da Ufficiale e gentiluomo (Hackford, 1982).
Questo remake sposta l’ambientazione da Parigi a Las Vegas e per il resto segue superficialmente la trama dell’esordio godardiano, che vede un piccolo delinquente in fuga dalla polizia e alle prese con una donna complessa e traditrice. Quello che manca sono l’ironia crudele, la capacità di leggere fra le pieghe delle nuove sottoculture giovanili e il montaggio avanguardistico.
McBride tenta di riempire il vuoto formale e contenutistico con una colonna sonora accattivante, dove stanno insieme Elvis, Brian Eno e Philip Glass. Si affida alla nostalgia per l’immaginario degli anni cinquanta, tipica dei film americani del periodo e adotta un finale aperto, che riconduce la storia entro un perimetro più accettabile per Hollywood.
2. L’assassino (1961)
Elio Petri è forse uno dei maggiori registi italiani del secolo scorso. La sua capacità di decostruire delle storie di genere, per raccontare le contraddizioni politiche e le aspirazioni rivoluzionarie dell’Italia degli anni sessanta e settanta, rimangono un caso più unico che raro nel cinema italiano. Non tanto per il concetto cinematografico sottostante a una simile proposta, quanto per la radicalità di visione e per l’uso libero e creativo degli stilemi filmici.
Ne L’assassino (1961) primo lungometraggio del regista romano, sono palesi le ispirazioni godardiane, nell’uso della musica jazz, che dà il ritmo a tutto il film, nell’utilizzo di una storia noir per parlare della società contemporanea e nella scomposizione dei tempi narrativi, che non seguono più le necessità della trama, ma quelle della specifica visione del mondo del regista.
3. Stranger than Paradise (1984)
Il secondo lungometraggio di Jim Jarmusch, Stranger than Paradise (1984) racconta la storia di Willie, piccolo truffatore newyorkese, che si vede costretto a ospitare la giovane cugina Eva. All’inizio Willie non apprezza la presenza di Eva, ma lentamente le si affeziona finché lui, la ragazza e l’amico Eddie si ritrovano a fare un viaggio in Florida, che lentamente verte verso il metafisico.
I modelli di riferimento per il film sono Bande à part (Godard, 1964) e di nuovo Fino all’ultimo respiro.
Ma Jarmusch recupera soprattutto un certo immaginario godardiano, in primo luogo, attraverso la figura del duro con cappello e occhiali scuri, reminiscente del Belmondo protagonista di Fino all’ultimo respiro, che Willie vorrebbe incarnare. In secondo luogo attraverso la giovinezza femminile, ingenua e tentatrice di Eva e un fotografia in bianco e nero, essenziale ma raffinata, ottenuta principalmente dall’utilizzo di luci diegetiche. Jarmusch si serve inoltre della figura d’ellissi e di una distensione dei tempi, tipica del Godard più maturo.
4. Prima della Rivoluzione (1964)
L’esordio di Bertolucci, come già quello di Petri, risente dell’influenza della Nouvelle Vague e in particolare del cinema godardiano. Non tanto, in questo caso, per la storia narrata, quanto per le modalità di messa in scena. Prima della rivoluzione (1964) racconta una vicenda in linea con molta letteratura del periodo, basata sull’impossibilità, da parte di un giovane, di conciliare la propria provenienza borghese con la militanza nel PCI, mentre l’amore irrompe nella sua vita, sotto le spoglie di una sofisticata zia. Ovvero sotto l’apparenza della riflessione politica, Bertolucci, come suo solito, mette in scena un dramma intimista borgese. D’altronde questo dramma viene narrato dal regista parmense con una insolita vitalità, grazie ai prestiti dal cinema godardiano: una fotografia, fatta di immagini che lavorano sulla bidimensionalità, l’attenzione maniacale per i dettagli dei corpi scomposti dal montaggio, i piani sequenza sporchi, girati con macchina a spalla e i jump cut creativi.
5. The Red Spectacles (1987)
Mamoru Oshii, noto al grande pubblico per aver diretto il film d’animazione Ghost in the Shell (1995), ha più volte dichiarato il suo amore per il cinema europeo e in particolare per la Nouvelle Vague francese. In molti suoi film si possono trovare sequenze ed espedienti narrativi provenienti direttamente da quel cinema, dal montaggio per falsi raccordi della corsa in macchina in Lamù –Beautiful Dreamer (1984) agli intensi primi piani decentrati del maggiore Kusanagi in Ghost in the Shell.
Ma forse l’omaggio più diretto al cinema europeo, in particolare ad Agente Lemmy Caution: missione Alphaville (Godard, 1965) si ha in The Red Spectacles (1987), primo lungometraggio live action di Oshi, in cui l’autore utilizza l’espediente di restituire una Tokyo del futuro attraverso inquadrature in bianco e nero, di alcuni palazzi e quartieri anonimi della Tokyo reale, esattamente come aveva fatto Godard con Parigi per rappresentare Alphaville. Lo stesso look del protagonista di Red Spectacles, un ex-agente di un corpo di polizia speciale, in fuga dallo Stato, ricorda quello dell’agente Lemmy Caution. Inoltre l’utilizzo, anche qui di jump cut, falsi raccordi e montaggio ipercinetico determinano una messa in scena che mescola gli stilemi del cinema godardiano al nascente cyberpunk giapponese.
6. Hong Kong Express (1994)
Hong Kong Express (1994) di Wong Kar-wai racconta due storie d’amore fra due agenti di polizia e due donne antitetiche, in una metropoli al neon, spersonalizzante e caotica.
Il regista tratta temi come la solitudine, l’alienazione, la ricerca dell’amore attraverso un linguaggio leggero e tecnicamente raffinato, in cui trovano posto una colonna sonora rock, la stop motion, ralenti e slow motion, un montaggio ora frenetico, ora disteso. Siamo di fronte, insomma, a un cinema che mette in scena tutte le proprie potenzialità narrative, così da restituire quella visione, derivata dalla riflessione sul mezzo avviata da Godard, per cui il mondo può essere ricompreso dentro il cinema e il cinema stesso è sufficiente a restituire tutte le sfaccettature del mondo, anche quelle più nascoste dell’animo umano.
7. The Dreamers – I sognatori (2003) tra i film palesemente ispirati a Jean-Luc Godard
Penultimo film di Bertolucci, The Dreamers- I sognatori è un sentito omaggio alla Nouvelle Vague e in particolare al cinema dell’(ex) amico Jean-Luc Godard.
La storia dello studente americano Matthew, che nella Parigi del ‘68 stringe amicizia con i fratelli Thèo e Isabelle, è per Bertolucci un modo di tornare sia sulle sue ossessioni legate alla sessualità borghese e ai rapporti familiari tormentati, sia per inscenare il Maggio francese dal punto di vista del suo impatto sull’immaginario cinematografico. Ovvero Bertolucci romanticizza e adatta per un pubblico mainstream, l’idea godardiana di cinema come catalizzatore di idee radicali nel mondo reale.
Vi sono, in questo quai-film-testamento, citazioni di ogni sorta dal cinema del padre della Nouvelle Vague, fra cui la più significativa è una corsa al Louvre che riproduce quella inscenata in Band à part, con protagonista Anna Karina. Non mancano citazioni ai film più politici del regista franco-svizzero – quelli realizzati con il Gruppo Dziga Vertov – come La cinese (1967) o i più ostici Lotte in Italia (1970) e Pravda (1969). Peccato che nel cinema di Bertolucci l’afflato politico si riduca a orpello borghese, qui più che altrove.
8. Mean Street – Domenica in chiesa, Lunedì all’Inferno (1973)
Anche Martin Scorsese, nei suoi primi lavori mostrava di essere fortemente influenzato dal cinema godardiano e in particolare da Fino all’ultimo respiro. In Mean Streets – Domenica in chiesa, lunedì all’inferno (1973) il regista italoamericano, che sta cercando ancora uno suo stile specifico, mette insieme suggestioni provenienti dal neorealismo italiano con le tecniche di montaggio godardiane, per raccontare la storia della rovinosa ascesa del piccolo gangster italoamericano Charlie Cappa.
9. Uomini semplici (1992)
Uomini semplici (1992) di Hal Hartley è un dramma grottesco che racconta di due giovani fratelli, uno, piccolo rapinatore e l’altro, studente modello, che intraprendono un viaggio alla ricerca del padre, ex militante della sinistra radicale.
Il film usa un linguaggio complesso, fatto di tempi lunghi e situazioni drammatiche inscenate con ironia. Lo stile di Hartley si rifà palesemente al cinema indie della New York dei primi anni ottanta, quello di Jarmusch e del primo Lynch. Tuttavia il regista è consapevole che le radici di questo cinema risalgono alla Nouvelle Vague francese e così in Uomini semplici mette esplicitamente in scena un omaggio a Band à part. In questo caso viene riproposta la scena del ballo dei tre protagonisti nel jazz club.
10. Il mio Godard (2017) tra i film palesemente ispirati a Jean-Luc Godard
Chiudiamo citando Il mio Godard (2017) di Michel Hazanavicius, operazione che mette in scena la biografia di Godard, utilizzando tutti gli stilemi tecnici e narrativi del cinema godardiano del periodo che va dal 1960 al 1967, prima del collettivo Gruppo Dziga Vertov. Il film assume il punto di vista di Anne Wiazemsky, protagonista de La cinese e moglie di Godard per dodici anni.
Hazanavicius racconta proprio la svolta politica del padre della Nouvelle Vague. Purtroppo si tratta però di un’opera interessata soltanto a ridimensionare il mito umano e cinematografico di Godard. Se per quanto riguarda l’aspetto umano, la questione attiene per lo più all’ambito privato dei rapporti fra la Wiazemsky e il regista e il fatto che Hazanavicius prenda un approccio critico-satirico non disturba, il problema sorge nel momento in cui tale approccio passa al discorso estetico/politico. Il regista di The Artist (2011) ha la pretesa di imbastire una satira su un tipo di cinema e un’ideologia politica, che palesemente non capisce. Lo dimostra nell’utilizzo forzato di tecniche godardiane come il negativo, il collage e gli slogan ad effetto, che risultano ridotte qui a meri artifici citazionisti nostalgici. Mentre la riflessione sui nessi fra cinema e politica e la presunta superiorità artistica dell’opera godardiana, precedente alla radicalizzazione politica, non è degna nemmeno di essere analizzata.