I 20 film italiani migliori del 2023
Quali sono i migliori film italiani usciti nel 2023? All’alba del nuovo anno, croce e delizia di spettatori, lettori e critici sono le classifiche che danno un’indicazione a chi vuole recuperare quello che è uscito in sala (e in qualche caso, su piattaforma) in questo anno che sta per finire.
Un anno particolarmente importante per il cinema tout court, perché dopo i due anni di covid le presenze in sala erano pericolosamente diminuite: non che adesso la situazione sia idilliaca, ma a dispetto di quanto a volte non si dice il 2023 rispetto al 2019 – quindi in una situazione prepandemia – ha visto un incremento addirittura del 40%: arrivando a punte vertiginose come gli strabilianti e inaspettati (forse anche dall’autrice stessa) 30 milioni del debutto alla regia di Paola Cortellesi, caso ovviamente più unico che raro. Che però dà un segnale importante, oggi: ovvero che il cinema, il famoso rito collettivo in sala, ha ancora un senso e può essere vincente rispetto alla visione su piattaforma se su grande schermo arrivano opere urgenti, che il pubblico non vuole e non può attendere di vedere nel soggiorno di casa, film su cui si accendono dibattiti, polemiche, lungometraggi divisivi ma importanti dal punto di vista dialogico.
Senza dire che ormai, a qualche anno di distanza, si può dire che grande e piccolo schermo, cinema e piattaforme, non devono instaurare una guerra ma un mutuo fronte dell’audiovisivo, individuando con criterio (specialmente dalle distribuzioni… ma questa è davvero un’altra storia) la strada migliore per un film, il percorso più adatto al linguaggio e al target del prodotto che si deve veicolare.
Andiamo a vedere allora i quindi film più importanti e belli di questo 2023, con un occhio di riguardo soprattutto alle opere che hanno saputo imporsi all’attenzione critica e degli spettatori nonostante oggi più che mai il sistema distributivo italiano abbia dimostrato tutte le sue falle e i suoi difetti, a partire dal numero spropositato di film concentrato in alcune settimane. Circostanza che mette in evidenza come vada ripensato in generale il metodo distributivo, spalmando le uscite in sala lungo i 365 giorni dell’anno, invertendo tendenze stagionali autoreferenziate, ma soprattutto ripensando la destinazione propria di ogni opera.
20. Lubo di Giorgio Diritti tra i film italiani usciti nel 2023
Ispirato molto liberamente a Il Seminatore di Mario Cavatore, il film di Diritti non trova un giusto e necessario equilibrio tra la caratteristica autoriale del regista e quella spinta verso l’artigianalità che caratterizza le sue opere. Per questo Lubo è squilibrato nella parte della detection a sfavore del racconto intimo: eppure, è innegabile che Diritti sappia innegabilmente costruire scenari sontuosi partendo dalla natura e dai suoi personaggi.
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19. Io Capitano di Matteo Garrone
Non il film più riuscito di Matteo Garrone; Io Capitano suona troppo film a tema, ma il regista sa incantare ogni volta che prende una storia e la declina con la sua ottica da favola nera, giostrando le sue opere tra un realismo plumbeo e le meraviglie della fantasia più interiore. Le immagini hanno una vitalità entusiasmante grazie anche alle luci di Paolo Carnera.
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18. Mia di Ivano De Matteo
Il cuore nero dell’adolescenza di oggi è un nucleo ribollente, magmatico e sfuggente. A raccontarla al cinema si rischia l’ovvietà, la sovrascirttura, il generalismo o la banalità: De Matteo invece ha l’occhio perfetto e racconta l’amore tossico infiltrandosi nelle pieghe del quotidiano più piatto. Dirige allora Edoardo Leo come pochi altri hanno saputo fare e lo rende un perno straordinario per una storia dolorosa e lacerante.
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17. Adagio di Stefano Sollima tra i migliori film italiani del 2023
Stefano Sollima chiude la sua “trilogia romana” con un film intimo, spiazzando il pubblico e avvolgendolo con una storia nerissima. Servito a puntino da tre interpreti d’eccezione in una gara di bravura e immedesimazione (ovviamente Servillo, Mastandrea e Favino), Adagio fa parte dell’avanzata di quel nuovo cinema italiano indefinibile nel genere che sfuma tra noir, dramma esistenziale e thriller ma imbocca strade diverse, rinnovandosi e rigenerandosi grazie a storie fortissime.
16. Il ritorno di Casanova di Gabriele Salvatores
Il Ritorno di Casanova è un film cristallino, in questo senso: c’è Giacomo Casanova (Fabrizio Bentivoglio) che a 58 anni sembra stanco del gioco di seduzione che ha condotto finora e decide di mettersi a nudo (anche letteralmente) per ritrovare le vecchie emozioni, e poi c’è Leo Bernardi (Toni Servillo) – nomen omen – regista di successo che nella fase di ultimazione di post-produzione resta fermo ad un’empasse che è creativa ed esistenziale insieme, quando si rende conto che montare le scene di un film implica una scelta che lui non ha il coraggio di fare. Se la parte letteraria è a colori, quella contemporanea è in bianco e nero; in questo modo, Salvatores opera una precisa scelta stilistica per ammorbidire quella che è tra le sue opere più intime e compiute; un film che si fa potente ed elegante nel suo svolgersi sempre meravigliosamente sfocato, diventando involontariamente o meno una riflessione sapientemente drammatica e profonda.
C’è anche ed ovviamente il parallelo/binomio arte-vita, dove la vita è sempre sfuggente e il cinema consolatorio, e giusto in mezzo c’è lo sguardo del regista che va in avanti e mai indietro creando il cortocircuito di un film che parla del tempo che passa ma al tempo non si concede mai, se non in rapidi flashback che sono contigui (visivamente, stilisticamente, narrativamente) al presente.
A guardarlo bene, poi, questo Ritorno di Casanova è uno dei migliori perché uno dei film più lucidi e spietati di Salvatores, grazie anche ad un casting perfetto (Natalino Balasso una spanna su tutti, ma anche Sara Serraiocco, Antonio Catania, Ale e Franz), c’è una casa che reagisce alla malinconia del suo proprietario con una sottile aria di senilità e andropausa – incendi improvvisi e allagamenti come in una tempesta ormonale – e c’è un duello con il sedere al vento che mette al muro, illuminando senza pietà la stanchezza, il tempo che flaccido cade qua e là, l’inesorabilità della gravità insomma.
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15. Cattiva coscienza di Davide Minnella
Ecco ancora quel cinema italiano sbalorditivo per suggestioni e storie moderne. Qua addirittura siamo in zona Pixar, mentre si rielabora Inside Out e il regista si scatena in una commedia fantastica, scritta bene e recitata ancora meglio da Francesco Scianna, che è sempre troppo tardi quando sarà scoperto dal grande pubblico.
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14. L’ultima notte di amore di Andrea Di Stefano
C’è la prima, indimenticabile sequenza iniziale, quella che apre il film, che fa spalancare gli occhi coprendo tutta Milano di notte e immergendo letteralmente lo spettatore nella sua notte, che fissa i paletti: virtuosismi ed emozione, luce e buio, abbagliante sfavillio di colori e oscurità che divora.
L’Ultima Notte di Amore si muove sinuoso, giovando con gli incastri di una trama congegnata con la precisione di un thriller d’altri tempi: riuscendo addirittura a stupire con una struttura a semicerchio che cede il passo, a metà film, ad una impalcatura drammaturgica da tragedia inevitabile e proprio per questa ancora più dolorosa. Dal canto loro, Linda Caridi, Carlo Gallo e Antonio Gerardi si inventano i loro calabresi shakespeariani (sembrano usciti da un Lady Macbeth regionale), certi però che per ogni loro sbandata c’è sempre la forza centripeta del film che salva tutto: nonostante abbia interpretato un po’ tutto e tutti, Favino riesce ancora a trovare sfumature inedite per i suoi personaggi e a coinvolgere anche emotivamente, regolando il suo Franco Amore ad altitudini emozionali altissime.
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13. Mary e lo spirito di mezzanotte di Enzo D’Alò
Il film Enzo D’Alò è tratto dal romanzo di Roddy Doyle, ed è un vero gioiello di essenzialità, intelligenza e fascino: una favola sul tempo che alterna ed unisce animazione classica a uno stile più sperimentale, che riesce anche a parlare con garbo del tema della perdita e continuare ad essere un’operazione per ogni età. Fa un po’ rabbia pensare che D’Alò non abbia ancora il riconoscimento che spetta ai grandissimi: intanto, godiamoci le sue bellezze.
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12. Enea di Pietro Castellitto
Tra Bellocchio e Sorrentino, Pietro Castellitto alza le mire di un cinema ambiziosissimo ma a ragion veduta. Allora analizza la famiglia e alla seconda regia, tradizionalmente quella più difficile, dimostra quanto è bravo a girare e che occhio ha per la messa in scena e per gli attori. Un film ce brucia di vita e di passione.
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11. La guerra del Tiburtino III di Luana Gualano
Fantascienza in Italia! Non è un ossimoro, ma un orizzonte dove solo i più coraggiosi e pieni di inventiva possono inoltrarsi: e fa parte della categoria sicuramente la Gualano, che prende le stigmate del B-movie e racconta le periferie, la voglia di riscatto, la pochezza degli uomini e lo scollamento con il reale della politica con umorismo nerissimo e tanta emozione. Fintamente dozzinale, il film mostra una strada che spaventa ma che potrebbe e dovrebbe essere più frequentata, Groenlandia insegna.
10. Come Pecore in mezzo ai lupi di Lyda Patitucci
Come Pecore in mezzo ai lupi di Lyda Patitucci: nominata e arrivata, la Groenlandia di Matteo Rovere da tanto tempo racconta storie diverse, esplora aree geografiche ed emotive inedite, mette in scena storie avvincenti. Come Pecore in mezzo ai lupi non fa eccezione, e la Patitucci è la Bigelow nostrana quando intercetta Isabella Ragonese e le regala il ruolo della vita: il film restituisce un’umanità allo sbando, sbrindellata e in cerca di una redenzione che però non arriverà mai. Un thriller teso e cupo, che (spiace dirlo) non sembra neanche italiano: ma qualcosa sta cambiando.
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9. I Limoni d’Inverno di Caterina Carone
Che bella carezza che è I Limoni d’Inverno. Perché prima di tutto è un film sulle solitudini che si incontrano e mostrano la fragilità dei rapporti umani: semplice e lineare, il film ricorda le vette più alte raggiunte da un altro piceno illustre, il Giuseppe Piccioni di Fuori Dal Mondo e Questi Giorni, e si srotola co levità sui sorrisi e sui volti della Saponangelo e di De Sica. Entrambi una conferma: ma se il cinema ci ha già abituato alla luminosa bravura di lei, è su De Sica che vanno puntati i riflettori, perché si gioca la carriera -ovviamente vincendo su tutta la linea- voltando pagina, facendo dimenticare sia gli eccessi comici pur se usati sempre con enorme professionalità ma non sempre centrati, sia le sue precedenti prove serie più o meno drammatiche. È stato Pupi Avati -con Il Figlio più Piccolo– a renderlo protagonista con un ruolo emotivamente coinvolgente, ma solo con questo film sembra sciogliere completamente la sua precedente maschera (nella citata opera prima della Carone, Fraulein- Un Racconto d’Inverno, non si risparmiava in battute; ne I Limoni dice apertamente “ho riso anche troppo nella mia vita”) e indossarne un’altra, anche con più convinzione, mostrando una misura interpretativa letteralmente fuori dal comune. La scrittura del film (della Carone insieme a Mario Luridiana, Remo Tebaldi, Alessio Galbiati e soprattutto Anna Pavignano) è così sottile e preziosa da far sì che l’interiorità dei personaggi venga fuori completamente ma mai esplicitamente, lasciandola emergere dagli sguardi e dai silenzi; una scrittura allora giocata sulle sfumature e sull’assenza, tanto da riecheggiare il miglior cinema francese, dai raggi di Rohmer ai cuori d’inverno di Sautet. Innegabilmente, uno dei migliori film del 2023.
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8. Palazzina Laf di Michele Riondino tra i migliori film italiani del 2023
L’esordio alla regia di Michele Riondino approfitta della sua inusitata originalità per spingere su dinamiche narrative affascinanti e interessanti: Riondino stesso -presente anche in scena-, ma anche Elio Germano e Vanessa Scalera, con un imprinting particolarmente potente si scrollano di dosso la maggior parte dei rischi retorici (anche grazie al registro grottesco a là Wertmuller) e regalano un agghiacciante -perché dolorosamente realistico- ritratto delle classi operaie e quindi di un sistema di caste sociali, restituendo vizi e virtù sia dei dominati che dei dominanti.
Certo, è fisiologico che nel film ci siano diverse cose da mettere a fuoco: i tipici eccessi degli esordi, foga sovraeccitata nel mostrare e nel raccontare quanto più possibile da una parte e eccesso di bozzettismo in alcune sequenze e personaggi di contorno dall’altra. Ma il regista attore mostra una sicurezza non da poco che unita all’originalità di sguardo potrebbe aver dato vita ad un autore nuovo e particolarmente interessante, e sicuramente Palazzina Laf è tra i migliori film del 2023.
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7. C’è ancora domani di Paola Cortellesi
Un esordio che in tanti guardavano con sospetto, e anche per questo ha stupito praticamente tutti. Un film divisivo, come ogni opera dovrebbe essere, che accende dibattiti, come ogni film dovrebbe fare: ma soprattutto, al di là dei gusti personali, un “piccolo” film in bianco e nero che parla della violenza sulle donne e usa richiami al neorealismo, che ha portato in cassa 30 milioni di incasso (!!!), battendo blockbuster come Barbie e Oppenhaimer. Un film che mette insieme forse tante casualità difficilmente ripetibili: partendo fin dalla scelta stilistica del bianco e nero, che associato alla messa in scena e all’impianto drammaturgico riporta immediatamente e direttamente al neorealismo.
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Ma attenzione: non è una banale citazione né un richiamo fuori luogo, bensì una scelta ben precisa che si adatta alla perfezione al cuore del film e al tema scelto. Un artificio narrativo, insomma, valido come altri, che però dimostra una padronanza del mezzo e dello stile non comuni, andando così dritto a mettere in scena la violenza domestica partendo da lontano.
Quello che convince della Cortellesi regista (il suo è sicuramente tra i migliori film del 2023, anche se non un capoalvoro) è comunque su tutto la forza e la bontà della sua visione, quello che sceglie di mettere in scena o meglio di non mettere nell’inquadratura: la violenza infatti non viene mai mostrata, ma anzi rimane fuori scena o fuori fuoco, o addirittura trasfigurata.
Ed è questo il secondo passaggio più convincente dello stile della neoregista: la leggerezza con cui padroneggia i toni e i generi, ma soprattutto la facilità con cui mette insieme classicità e modernità.
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6. Cento Domeniche di Antonio Albanese
Un film gentile e drammatico, enorme nella sua brutale sincerità. È gentile per come prende lo spettatore per mano e lo accompagna nella discesa agli inferi del suo protagonista, con quei primi 44 minuti dove non c’è una nota di commento musicale così da restituire il senso di placida assenza prima che si tramuta dopo in lacerante vuoto; è gentile perché è buono con i suoi personaggi, nel momento in cui, con sottigliezza d’altri tempi, assimila vittime e carnefici perché il Male e il Bene passano indifferentemente attraverso i corpi di tutti.
Ma Cento Domeniche, uno dei migliori film del 2023, è un film gentile (e rigoroso) anche perché la sua satira, che è la stessa dell’Epifanio/Antonio in L’Uomo d’Acqua Dolce, non è un’invettiva incattivita ma solo la constatazione di un uomo che il mondo che lo circonda non è (più) a sua immagine, e lo rigetta.
C’è allora una sorta di idealistico allontanamento da una società onnivora e un sistema di valori in cui non ci si riconosce più, da modi di fare furbetti e gretti di pochi contro l’ingenua bonomia dei tanti; perché è insomma il tempo della disillusione per il corpo keatoniano di Albanese, che non sa rassegnarsi al dolore.
Allora l’Albanese autore si fa sempre più vicino agli alfieri moderni della classica commedia all’italiana –Virzì, autore di quel Capitale Umano a cui il film si avvicina geograficamente; ma anche Bruno e Milani -, tutti fermi un passo prima della risata, quando la battuta si fa raggelante e si trasforma in pianto: anche se si parte dal castigat ridendo mores, qua c’è poco da ridere, e quel poco sfuma subito via sotto una nube plumbea di angoscia.
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5. Il Sol Dell’Avvenire di Nanni Moretti
Il Sol Dell’Avvenire è certamente un film di Nanni Moretti: ma è un film che, come ogni opera, ha i suoi codici, i suoi livelli, i suoi linguaggi. Che poco hanno a che vedere con i gusti personali, o poco dovrebbero averne; e men che meno c’entrano con o sentimenti personali, le idee politiche, le idiosincrasie, i fastidi privati.
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Anzi, il fatto che i film di Moretti alzino ogni volta un vespaio, pungendo sul vivo lo spettatore, dimostra un primo dato incontrovertibile: cioè che Nanni è riuscito, come pochi o pochissimi alti, a fondere pubblico e privato, individualismo e collettività, creando un immaginario cinematografico che si sovrappone a quello sociale e culturale. E tirando dentro questo vortice chi guarda, coinvolgendolo in prima persona come se si trattasse di una questione personale in tutto e per tutto.
È per questo che i sabot, le canzonette intonate in macchina, il plaid colorato, il set come in Sogni d’Oro, la mamma e Freud, i girotondi, il pallone giocato in piazza: non sono sterili segni di una filmografia senile autoreferenziale, ma la confessione straziante di un autore che si è sempre messo impietosamente in gioco in prima persona, senza filtri.
Questo è un film che tiene insieme una riflessione sul tempo che passa, sull’ammissione delle proprie inadeguatezze, sul cinema di oggi e sul cinema di sempre, sul comunismo di oggi e quello di sempre, sulla politica, sull’amore, sulla fine di tutto. Un magma ribollente che poteva risolversi in un caos primario e invece viene messo insieme con una leggerezza straordinaria, incredibile, magari dotato di levità proprio grazie a quelle concessioni narcisistiche evidenziate sopra, e che in soli 93 minuti si srotola magicamente in un tappeto narrativo lineare e complesso insieme, tutto a creare un pastiche dal sapore unico ed eterogeneo e coerente che si fa racconto intimo e psicologico raffinato e sottile.
4. Grazie ragazzi di Riccardo Milani
Il carcere non è il fulcro narrativo della quarta collaborazione tra Milani e Albanesi, ma solo il contesto. Il pretesto, per raccontare storie di persone ai margini, di solitudini inconciliabili, di vite troppo complicate da risolvere. Albanese svetta su tutti con un ruolo piccolo ma una recitazione gigantesca, e il finale del film sgretola le visioni accomodanti dell’arte che salva la vita infrangendosi con la realtà.
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3. La Chimera di Alice Rohwacher tra i film italiani più belli del 2023
Mancava, lo sguardo della Rohwacher, mancava il suo respiro sul lungometraggio dopo gli exploit con i corti. La Chimera sarebbe da festeggiare anche solo per essere riuscito a tornare in sala con il tamtam del pubblico dopo una distribuzione masochistica: ma è anche un film eccezionale, uno dei migliori film del 2023, che ricerca geometrie esistenziali con sorriso leggero tra suggestioni e intuizioni geniali, intermittente tra lampi e segnali, tra dimensioni parallele, sparizioni, attese.
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2. Mimì Il principe delle tenebre di Brando De Sica
Questo film è, senza parafrasi, un piccolo capolavoro. e non poteva che essere sul podio tra i migliori film del 2023. Sembra ad un certo punto che il sottostimato ma bellissimo Quasi Fantasmi del papà Christian, mentre si perde nel fantasmatico sottosuolo di una Napoli mai così magica, prenda un’altra strada e si trasformi in un vero e proprio horror. Perché è a questo crocevia che prende vita Mimì, il protagonista, nato con una deformazione ai piedi, una malattia che nel Medioevo sarebbe stata interpretata come un segno del passaggio del diavolo sul suo corpo, e che per questo viene preso di mira dal baby boss del quartiere, Bastianello, anche cantante neomelodico.
Il film prende coraggio da un sistema produttivo che sembra aver accolto a braccia aperte i generi e i freaks, come i Jeeg Robot e Freaks Out di Gabriele Mainetti dimostrano: ma si sbarazza subito delle strizzatine d’occhio al grande pubblico e si scarnifica al servizio del malessere della periferia, mostrando i canini aguzzi di una società che stritola i margini.
De Sica declina la sua storia sotto il segno di una cinefilia raffinata di un’ossessione ostinata, caratteristiche così connaturate al suo sguardo da cineasta che permettono anche l’inserimento spontaneo di aperture fiabesche e delicate. Allora il film diventa davvero magma ribollente, e svicola tra esplosioni di follia, schizzi di sangue e notti crepuscolari dipingendo Napoli come centro propulsore gotico ora illuminato da lampi oscuri, ora da fasci di luce favolistici, ora spento da ombre filtrate in controluce.
1. Rapito di Marco Bellocchio
Al vertice della classifica sui migliori film del 2023 non poteva che esserci un Maestro. Il corpus delle opere di Bellocchio è coerente a sé stesso e coeso al punto di essere a tratti impenetrabile in maniera incredibile proprio come la vitalità del suo artefice, che non smette di essere artisticamente pirotecnico ad ogni intuizione filmica.
In questo modo, dopo quello di Aldo Moro in Esterno Notte, Bellocchio racconta allora un altro rapimento, affondando i denti (come ha fatto diverse volte in passato) nella storia, ma in una storia sospesa tra fatti e libere interpretazioni dei coni d’ombra della cronaca.
E come in Fai Bei Sogni, dove Valerio Mastandrea ricordava sempre il gioco del nascondino con la madre vissuto con la speranza di essere scoperto per essere abbracciato e quindi protetto, in Rapito (2023) il protagonista Edgardo Mortara passa la vita a cercare una protezione che non avrà mai: mai sotto la gonna della madre, che vuole impedire che le guardie papali lo portino via; mai sotto le vesti del Papa che lo nasconde agli occhi dei compagni di scuola; mai sotto le coperte quando recita la preghiera che ogni sera recitava a letto quando viveva in famiglia.
Il rapimento di Rapito è l’esatto speculare di quello di Buongiorno/Esterno Notte: se nel racconto di Aldo Moro l’atto era eversivo, nella storia di Pio IX è emanazione dell’ordine costituito. Eppure, Bellocchio ragiona sempre sulla privazione della libertà non (tanto) come atto di privazione fisica bensì come movimento psichico, ennesima circonvoluzione della mente che riflette nel reale i suoi effetti.
La storia è un inabissamento nell’oblio vischioso della storia, nei suoi chiaroscuri, portando la narrazione in una terra di mezzo, sabbie mobili di fatti accertati, documenti e libere ipotesi dell’immaginazione: niente di nuovo, insomma, se non le ossessioni di un autore che indaga la natura umana sempre con la stessa lente.
Perché il cinema di Marco Bellocchio continua a soffrire splendidamente la fascinazione della potenza delle immagini, un’illusione (il cinema) che si muove tra iconoclastia e venerazione.
Un cinema che è, definitivamente, un racconto del limbo, un paradiso promesso ma precluso, un tumulto eterno della mente e del pensiero che si divincola per trovare pace nella realtà ma non trova la sua giusta prospettiva e posizione. Un diavolo in corpo mai domato, sottile, eterno.
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