Perché Freaks Out merita di vincere ai David di Donatello 2022?
Freaks Out ha incantato tutti e meriterebbe il David di Donatelo come miglior film, ma non solo: la rivelazione di questo film è sicuramente la giovane Aurora Giovinazzo, a cui potrebbe andare il premio come miglior attrice.
Ai David 2022 anche noi facciamo il tifo, come molti, per Freaks Out: un film di tecnica e sensibilità che universalizza il romanesco e mette al centro della sua epica fanta-ucronica il processo di individuazione di una ragazzina alle prese con un dono ‘spaventoso’.
In Creuza de mä, il suo undicesimo album in studio, Fabrizio de André sceglie di andare contro ogni legge di mercato e di fare del ligure, un idioma locale, una lingua universale: un dialetto parlato da pochi diventa il mezzo linguistico, a tutti comprensibile ben al di là del suo testo letterale, attraverso il quale, come i viottoli del titolo che conducono al mare, la transitorietà della condizione umana, la sua fluida mobilità, può svolgersi e riavvolgersi secondo moto ondoso.
Dentro quelle parole ci sono le parole di altre lingue, le nenie e i lamenti, ma anche le esultanze dell’insieme dei popoli che hanno calpestato la stessa terra e l’insieme dei sentimenti che, sempre diversi, hanno abitato lo stesso uomo o la stessa donna, e così l’umanità tutta.
La scelta di deglobalizzarsi per farsi globale che fu del cantautore è anche quella che Gabriele Mainetti, dopo il successo del suo primo film, Lo chiamavano Jeeg Robot, ha confermato per la sua più ambiziosa opera seconda, Freaks Out, scritta e recitata in romanesco.
In occasione dei David di Donatello 2022 il lungometraggio, uscito nelle sale lo scorso autunno ed ora disponibile alla visione solo agli abbonati di Prime Video, si contende con È stata la mano di Dio – un altro film che ricorre a un “lessico famigliare”, senza riuscire, però, nonostante interpolazioni archetipiche, a sollevarsi del tutto da un claustrofilico autobiografismo – sedici David di Donatello. Noi ci auguriamo che la spunti almeno nella sezione miglior film e in quella riservata alla miglior interprete femminile.
Freaks Out: un epos del diverso che salva l’uomo comune dall’impossibilità di accettare la propria mancanza
Nel primo caso, si tratterebbe di un giusto riconoscimento: Freaks Out è un’epica fanta-ucronica – siamo nel 1943, in piena epoca nazista, ma la veridicità storica non è un obiettivo narrativo: la cornice è piegata a esigenze simboliche – dei diversi, di coloro che sono radicalmente Altri rispetto ai più.
C’è l’ebreo Israel, il ‘padre’ dei freaks, l’unico punto di riferimento per i ‘suoi’ circensi negletti; la sua diversità radica nell’alterità esemplare rappresentata dal popolo ebraico agli occhi dei nazisti: gli Ebrei venivano dipinti come avidi, pulsionali; igienizzare l’Europa dalla loro presenza significava concretizzare il sogno di una pulizia in primo luogo interiore, dalla bonifica della passioni violente e contrarie all’unitarietà dell’io, alla sua tenuta narcisistica.
C’è Fulvio, l’uomo-bestia, figura che ritroviamo anche nell’ultimo lavoro di Guillermo del Toro, incarnazione del residuo di ferinità che alberga nell’uomo civile, deriso da quest’ultimo perché temuto; c’è Cencio, l’albino che dirige i movimenti degli insetti, creatura fragile e notturna, a suo agio con la misura minuscola dell’esistenza; c’è Mario, il nano affetto da un ritardo cognitivo, in possesso di una sapienza alchemico-manipolatoria.
La paura del dono: la straordinaria avventura di formazione della Ragazza elettrica di Aurora Giovinazzo in Freaks Out
Come ai bardi ciechi o zoppi delle tradizioni popolari, quelli amati dalle muse e abili nella pratica mitologica che trasforma le angosce senza nome in storie rituali, anche a questi irregolari protagonisti di Freaks Out corrisponde una compensazione, un Dono a supplenza del maltolto. La paura del dono è al centro del conflitto interno a Matilde, la ragazza elettrica, l’anima pulsante del racconto, attorno alla quale i suoi compagni ugualmente emarginati gravitano e vibrano.
Imparare a non temere il dono – appunto elettrizzare, in senso metaforico e no, chi le si avvicina – è la premessa necessaria affinché gli altri non siano spaventati dal suo potere: integrarlo a sé stessa – integrare le proprie frastagliature, mai solo nettamente benefiche o venefiche – le costa una grande fatica, ma le permette di imparare ad accogliere la possibilità che qualcuno la ami non benché sia diversa, ma in quanto diversa. Del resto, Israel, da lei rispettato e difeso a dispetto di ogni evidenza abbandonica, glielo ripete a gran voce: “Matì, tu non devi ave’ paura de gnente, de gnente devi ave’ paura”.
Aurora Giovinazzo, attrice che al tempo delle riprese non aveva ancora vent’anni, meriterebbe un premio proprio perché è riuscita a restituire al suo personaggio tutta la grazia e la vulnerabilità che lo caratterizzano da scritto, la sua ‘mancanza’ strutturale quale condizione di amabilità, prima rinnegata negli altri perché rifiutata in sé, e, come la mancanza, il rinnegamento attuato vale anche per il suo contrario: il potere che può salvare. E, infatti, alla fine, compiuto il processo di affrancamento dalla paura, salva. Gli altri e sé stessa. Salva gli altri perché salva sé stessa.
Freaks Out è un esempio di cinema che, in tutte le articolazioni in cui si dispiega, dalla fotografia al reparto interpretativo senza dimenticare l’embrione, il soggetto e la sceneggiatura, coniuga la competenza tecnica di caratura internazionale con una sensibilità orgogliosamente europea, anzi proprio italiana – e non si legga l’aggettivo nell’intenzione (e intonazione) di Stanis La Rochelle –, tale nella sua accezione più alta: la capacità di innervare la stratificazione mitica di un lungo passato di opere, pensieri, simboli, persino cliché, di una punteggiatura rimodulata, in grado di rinegoziare il senso del tutto, rivelandone una nuova urgenza.