5 generi cinematografici che non esistono più

Più che di generi sarebbe più corretto parlare di sottogeneri, ma il punto è che sembrano essere spariti, passati di moda. Riscopriamoli insieme!

Molti sono i generi che caratterizzano la storia del cinema, come il Western, l’horror, il Noir o la fantascienza, per citare alcuni esempi, ognuno dei quali con un proprio percorso e una propria struttura fatta di archetipi, stereotipi e sviluppi. Ma all’interno di essi (o di alcuni di essi) vi sono dei sottogeneri cinematografici che hanno avuto vita all’interno di queste macrocategorie. Ad esempio il cinema horror ha generato al suo interno dei film che sono distinguibili in altre microcategorie, come nel caso dei film slasher (quegli horror in cui l’assassino fa stragi, prevalentemente di adolescenti, con armi da taglio) o i film splatter (quel sottogenere in cui l’abbondanza di sangue a litri la fa da padrona), o nei casi della fantascienza che ha generato il filone Cyberpunk (fatto di futuri distopici e tecnologie pericolose) o il sottogenere delle invasioni aliene (che già si capisce a cosa fa riferimento). Ma quali sono, invece quei sottogeneri cinematografici che hanno avuto vita in passato per poi finire totalmente nel dimenticatoio o che hanno completamente cessato di esistere? Scopriamoli nella nostra lista.

1. Mondo Movies tra i sottogeneri cinematografici che sono stati dimenticati

Appartenenti prevalentemente al genere dei documentari, i Mondo Movies sono stati un vero e proprio fenomeno di consumo popolare degli anni ’60. Tra i sottogeneri cinematografici che possiamo considerare scomparsi, questo filone di pellicole si prodigava di esplorare il mondo attraverso testimonianze bizzarre, spesso ai limiti del macabro, o particolarmente esotiche in giro per il globo, specialmente dai paesi dell’Asia del sud est e nei paesi del terzo mondo. Capofila di questo breve filone che ha proliferato all’incirca fino agli anni ’80, andando via via scomparendo con l’espansione della globalizzazione e della conoscenza del mondo ampliata dalla televisione e di seguito col web, è certamente Mondo Cane (1962) dei registi italiani Franco Prosperi, Paolo Cavara e Gualtiero Jacopetti. Appartengono al filone dei Mondo Movies anche tutta una schiera di pellicole, come il sequel Mondo Cane 2 (1963) o Africa addio (1966), sempre di Jacopetti e Prosperi, che sono poi sfociate nell’orrore più esplicito con titoli come Faces of death (una saga composta da diversi capitoli) che aprono le porte al cosiddetto sottogenere degli shockumentary, ovvero un mix letale di immagini e argomenti piuttosto forti all’interno di documentari con l’intento sempre più deciso di scioccare lo spettatore.

2. Spaghetti Western

Uno dei sottogeneri cinematografici che hanno reso piuttosto vivo il cinema italiano negli anni ’60 è lo spaghetti western, filone che ha lanciato nell’olimpo uno dei grandi registi come Sergio Leone, con titoli quali Per un pugno di dollari (1964), Per qualche dollaro in più (1965) e Il buono il brutto e il cattivo (1966), ma anche altri nomi hanno caratterizzato un sottogenere, preso in prestito dal western americano, che ha imperversato con centinaia e centinaia di titoli fino alla metà degli anni ’70, epoca in cui ha trovato il declino. Nomi come quello di Sergio Corbucci, creatore di Django (1966) e del western innevato Il grande silenzio (1968) o il regista Tonino Valerii con I giorni dell’ira (1967) e Il mio nome è nessuno (1973).

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3. Nazisploitation tra i sottogeneri cinematografici scomparsi

Uno dei sottogeneri cinematografici derivato dal più ampio filone del cinema exploitation, il Nazisploitation sfruttava il filone dei Women in Prison (altro sottogenere piuttosto finito nel dimenticatoio) e il cinema di guerra, per raccontare storie legate al nazismo e ai suoi infimi ufficiali. Un sottogenere non troppo florido che ha proliferato per una manciata di film a ridosso di pochi anni. Titoli di spicco di questo micro filone attivo prevalentemente negli anni ’70, sono Ilsa la belva delle SS (1975) o il disturbante L’ultima orgia del III Reich (1977), in una chiave più “arty” si allinea al filone anche Salon Kitty (1976) di Tinto Brass e in vesti più autoriali il film di Liliana Cavani, Il portiere di notte (1974), opera che in qualche modo ha dato il via all’interessamento verso la tematica di Eros e Thanatos inserita nel contesto della memoria del potere politico.

4. Nunsploitation

Exploitation con le suore, ovvero un sottogenere che fonde l’ambientazione monacale con sviluppi solitamente erotici o in alcuni casi horror. Il filone ha preso, timidamente, piede sul finire degli anni ’60 e proseguendo fino ai primissimi anni ’80, trovando vita soprattutto nel cinema italiano. Primo titolo a dare via al filone fu La monaca di Monza (1969) di Eriprando Visconti, mentre Suor Omicidi (1979) è uno degli ultimi e forse più riusciti lasciti, con Anita Ekberg protagonista in un convento dove avvengono brutali delitti. Un recente tentativo di riportare in scena il nunsploitation è stato con Benedetta (2021) di Paul Verhoeven, un torbido dramma erotico e visionario tra le mura di un convento italiano.

5. Shockumentary tra i sottogeneri cinematografici scomparsi

Pur non essendo tra i sottogeneri cinematografici scomparsi, sopravvissuto anche grazie ad internet e al mercato Home Video che negli anni duemila ha incrementato la morbosa curiosità di immagini forti e sempre più scioccanti, lo Shockumentary è uno dei sottogeneri cinematografici più oscuri e, senza dubbio rimossi o ignorati da un’ampia fetta di pubblico. Sebbene la paternità possa essere legata ai Mondo Movies o anche ai documentari exploitation degli anni ’30, il filone inizia a proliferare sul finire degli anni ’70 con titoli come Faces of Death (1978), un campionario di situazioni che ritraggono (a volte scene ricostruite in modo finto) esecuzioni capitali, scene di violenza urbana, autopsie, disastri aerei, e cose simili. Un atto di morbosità legato all’orrore ed alla immanenza della morte nel mondo, che via via diventerà sempre più estremo in altre pellicole della saga che prosegue fino agli anni ’90 con Faces of Death VI (1996). Ma al sottogenere dello shockumentary appartengono anche documentari dagli intenti più sofisticati e di impatto, non tesi esclusivamente a scioccare e appagare la morbosità dello spettatore, come Orozco the embalmer (2001) un documentario dalle immagini sicuramente forti e inadatte ai sensibili, che racconta l’attività e la quotidianità di un imbalsamatore di cadaveri in uno dei quartieri più violenti della Colombia o The Bridge – il ponte dei suicidi (2006) che racconta l’enigmatica e ambigua location del Golden Bridge di San Francisco, dove avvengono un altissimo numero di suicidi ogni anno, tra interviste ai parenti delle vittime ed immagini di videosorveglianza che riprendono gli atti estremi di decine di persone.