Le lezioni di vita di Gigi Proietti tra frasi, barzellette e sketch
Un ricordo di Gigi Proietti scomparso a 80 anni il giorno del suo compleanno: le sue lezioni di vita, fra risate, riflessioni goliardiche e momenti commoventi.
Gigi Proietti ci ha fatto la “mandrakata”: ci ha lasciati all’improvviso, il giorno del suo 80esimo compleanno, il 2 novembre, il giorno dei morti. Sul giorno della sua nascita aveva sempre ironizzato e, quasi a volerci raccontare a modo suo un’ultima beffarda barzelletta, è uscito di scena proprio oggi, morendo come è vissuto: con una sardonica risata, con irresistibile ironia, genio del sarcasmo anche nella morte. E Gigi Proietti di queste lezioni di vita ce ne ha date tante attraverso i suoi sketch, i siparietti, le indimenticabili barzellette, le scene cult dei film che ha interpretato. Simbolo vivente di quella romanità “paracula”, cinica, canzonatoria, che prende sempre in giro la vita con sarcasmo fino alla fine.
Gigi Proietti – La romanità irriverente
Gigi Proietti è stato spesso identificato con uno dei suoi personaggi cult: Mandrake in Febbre da cavallo di Steno, maestro dell’arte di arrangiarsi, con la “febbre”, condivisa con i suoi compari Er Pomata e Felice Roversi, per le scommesse ippiche e per le truffe geniali. Come i personaggi che ha sempre raccontato e interpretato nei suoi spettacoli Mandrake diventa quel modello di romanità sbeffeggiante, che vive alla giornata e nonostante le difficoltà riesce sempre a cavarsela, seguendo il brivido del pericolo e facendo sempre autocritica:
Io c’ho un mestiere, che adesso non faccio per vantarmi, ma se non ero un fregnone a quest’ora il sottoscritto poteva essere un attore de grido sai soltanto con il mio sorriso maggico potevo sfonna’. Fatte conto un Dusti Ofman… Steve Mequeen… Ar Pacino… .
Proietti ci ha sempre raccontato verità universali spiegandole, in questo modo, con poche, semplici parole e con esempi di vita quotidiana nei quali tutti ci possiamo ritrovare.
Stronzo: epiteto che si usa per persone imbecilli, cretine, inette, incolte … no, io non sono d’accordo perché stronza anche una persona colta può esserla, anzi a vorte più so’ colti…
La parola stronzo è uno degli sketch più famosi attraverso il quale, tra le risate generali del pubblico incapace di trattenersi anche solo un minuto per le movenze e la mimica comica di Proietti, il mattatore ci spiega come sia necessario e indispensabile l’uso di questa parola, seppur volgare e offensiva, utilizzata in particolar modo dai romani con tanto di mano “a cucchiara”, perché a volte non c’è altro modo di esprimere la propria frustrazione: quando ti stanno per mettere sotto con la macchina, quando dopo tre ore di fila all’ufficio postale ti chiudono la cassa quando è il tuo turno, quando uno se lo merita proprio.
“E che cosa ‘ie vuoi dire?”
Come anche la barzelletta Er cavaliere bianco, er cavaliere nero, uno dei suoi cavalli di battaglia, con la quale Proietti esprime al meglio lo spirito romano sottolineando la differenza tra due bambini di estrazione sociale diversa, uno dei Parioli, l’altro della periferia più vera, sincera e sboccata. Come la morale della storia del cavaliere nero che arriva dirompente, con una secca e significativa battuta finale che non può che suscitare risate sguaiate.
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Questo è il romano: canzonatorio per natura, sornione, dalla comicità irriverente che ha come bersaglio gli altri, come nella barzelletta 18 dal “profondo” insegnamento. Il romano non si morde mai la lingua ma, anzi, trae piacere nello sbeffeggiare gli altri, nel ridere di loro ma anche di sé stesso come unico antidoto per sopravvivere in un mondo di gente “che nun se fa li cazzi sua”.
E d’altronde chi altri se non Proietti poteva sottolineare l’assunto fondamentale per l’umanità del “vivere e lasciar vivere” tramutando una canzone dal fascino francese in un monito romanesco universalmente riconosciuto? Tutte le lingue del mondo lo esprimono certamente a loro modo, ma vuoi mettere un sincero e più “musicale” “Nu’ me rompe er ca”?
Gigi Proietti – Ridere e piangere di cuore
Ma Gigi Proietti non è stato solo questo e anche prendendo in prestito le parole di altri autori o vestendo i panni di personaggi molto lontani da lui è riuscito a mettere sempre sé stesso, con il suo sorriso disarmante e accogliente, con la sua voce inconfondibile, calda, “di famiglia”, con la sua risata coinvolgente.
Nello spettacolo A me gli occhi, please del 1976 Proietti, infatti, recita per la prima volta un monologo che spesso riprenderà nel corso della sua carriera: la poesia di Roberto Lerici Mio padre è morto partigiano.
Un brano commovente in dialetto romano che esprime tutto il dolore e il rammarico, ma sempre con ironia, di un padre e di un figlio che non si sono mai incontrati, di un padre morto giovane per difendere la libertà e il futuro di suo figlio e di tutti noi:
“Ma che ne so io de quello che è successo, io so’ rimasto come v’ho lassato, quanno giocavo, giocavo, giocavo… giocavo a calcio e mica me stancavo, giocavo co’ tu’ madre e l’abbracciavo, giocavo co’ la vita e nun volevo, coi fascisti io però nun ce giocavo… io sparavo, sparavo, sparavo”.
E come non menzionare uno dei personaggi che ha accompagnato grandi e piccoli per tanti anni, un personaggio giusto, sincero, buono: il Maresciallo Rocca esempio di Arma senza macchia, così lontano da quei, per fortuna pochi, esempi reali di cattiveria e corruzione. Giovanni Rocca che sconfigge quasi sempre i criminali, che ci difende senza paura e ci spinge ad essere migliori, un po’ come lui, anche se sappiamo benissimo che è tutto una finzione, un ideale di bontà, giustizia e integrità difficili da realizzare nella realtà. Siamo stati accanto a lui nelle indagini difficili e pericolose, siamo stati in casa sua a vivere la sua famiglia un po’ strampalata ma piena d’amore, quella che tutti vorremmo, abbiamo sofferto con lui alla morte per un terribile attentato della sua amata Margherita (Stefania Sandrelli).
Oggi invece piangiamo e ridiamo per la scomparsa del “nostro” Gigi Proietti, rivedendo in continuazione su YouTube parte della sua sterminata produzione, quasi per tenerlo ancora in vita, qui con noi, come il Genio della Lampada che può apparire quando vogliamo per tornare a ridere nel modo in cui lui ci ha insegnato: “de core”.