Green Book: 5 motivi per vedere il film di Peter Farrelly

Perché vedere Green Book, il film di Peter Farrelly con Viggo Mortensen e Mahershala Ali? Ecco 5 buoni motivi per andare al cinema!

Dopo essere stato accolto con successo al Festival di Toronto (dove si è aggiudicato l’ambitissimo People’s Choice Award) e aver ottenuto 3 Golden Globe, anche la serata degli Oscar si prospetta promettente per Green Book: la pellicola di Peter Farrelly si è guadagnata infatti 5 nomination per miglior film, miglior attore protagonista, miglior attore non protagonista, miglior sceneggiatura originale e miglior montaggio. Il film, ispirato alla storia vera di Tony Lip, padre dello sceneggiatore Nick Vallelonga, racconta l’amicizia tra un buttafuori italoamericano e un pianista di origine giamaicana che devono affrontare un viaggio nell’America del sud degli anni ‘60 e i suoi pregiudizi. I due personaggi hanno il volto, rispettivamente, di Viggo Mortensen e Mahershala Ali, sicuramente tra gli artefici del successo di questo drama-comedy. Green Book sarà distribuito in Italia a partire dal 31 gennaio da Eagle Pictures e Leone Film Group.

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Film comico ma che invita a riflettere, Green Book sembra essere l’opera di cui, oggi più che mai, abbiamo bisogno. Ma vediamo insieme quali sono i 5 motivi principali per cui non dovete assolutamente perdervelo!

Green Book: l’italianità made in Usa
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Lo si ripete spesso, e anche in questo caso non si fa eccezione: i film è meglio vederli in lingua originale. Anzi, il discorso ha ancora più valore proprio per un film come Green Book. Tony Lip, il protagonista interpretato da Viggo Mortensen, è un italoamericano: di origini calabresi, la sua famiglia si è trasferita dall’Italia negli Stati Uniti dove Tony è nato e cresciuto, in un contesto però profondamente immerso nelle sue radici. Insieme ad altri immigrati italoamericani, Tony ha ricreato a New York un’atmosfera alla Little Italy, dove si parla, si urla e si mangia italiano.

Ed è proprio la sua italianità, così travolgente e anche un po’ sopra le righe, che emerge con vivida bravura dall’interpretazione di Mortensen: per gustarla appieno, sarebbe meglio sentire la differenza nella recitazione dell’attore tra i dialoghi in lingua americana (così “strascinata”, proprio come un non madrelingua) e quelli in italiano (così eccessivi ma proprio per questo credibili), percepibile appunto nella versione in lingua originale. È un po’ il solito discorso: quella storpiatura che di noi fanno oltreoceano può sembrare che ridicolizzi il nostro linguaggio e la nostra gestualità, ma in un contesto come quello di Green Book risulta del tutto funzionale, soprattutto perché deve andare comicamente a opporsi alla linearità e al rigore linguistico e comportamentale del pianista nero Don Shirley, interpretato da Mahershala Ali. Se avete poi avuto modo di vedere altri film in lingua originale con Viggo Mortensen, vi accorgerete anche del profondo lavoro che l’attore ha compiuto per dar vita al suo chiassoso personaggio, nelle colorite espressioni italiane ma anche nei gesti.

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Green Book: il rapporto così stretto tra sceneggiatura e realtà
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La vicenda di Green Book è basata su una storia vera: quella dell’amicizia tra l’italoamericano Tony Lip e il pianista di origine giamaicana Don Shirley.
Tony Lip, pseudonimo di Frank Anthony Vallelonga, non è altri che il padre di Nick Vallelonga, tra gli sceneggiatori del film. Oltre a ciò, Tony è stato anche attore: ha interpretato il boss Carmine Lupertazzi nella serie tv I Soprano.
Donald “Doc” Shirley è stato invece un grande pianista a cavallo tra jazz e musica classica, un vero virtuoso. Quasi del tutto ignorato nel Vecchio Continente, nel Nuovo è stato comunque dimenticato: la sua morte nel 2013 non ha destato attenzione. Negli anni ‘60, però, e cioè nel periodo di ambientazione di Green Book, Don Shirley era molto famoso e apprezzato da tutti gli appassionati di musica, tanto da essere chiamato da ogni dove per esibirsi dal vivo. Nonostante il successo e la stima ricevuta dai fan e dai colleghi musicisti, il colore della sua pelle gli ha però creato non pochi problemi.

Per quanto sia stata “romanzata”, Nick Vallelonga ha cercato di restare il più possibile fedele alla realtà dei fatti che gli sono stati raccontati dal padre. L’amicizia tra Tony e Don è davvero iniziata da questo viaggio nel sud degli States ed è davvero durata per tutta la loro vita. Inoltre, per rendere più realistico il tutto, la famiglia di Tony sul set è la vera famiglia Vallelonga, solo di una generazione successiva rispetto a quella presente nella narrazione. La sceneggiatura di Nick, Peter Farrelly e Brian Hayes Currie ha perciò esplorato il rapporto tra i due protagonisti, prima conflittuale e poi di reciproco affetto, tenendo conto anche dello sfondo sociale e politico che lo ha visto nascere.

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Green Book: la regia di Peter Farrelly
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Leggi qui la recensione di Green Book

Il regista di Green Book, Peter Farrelly, ha alle spalle una lunga carriera come direttore di commedie. Quasi mai, però, ha lavorato da solo: solitamente dietro la macchina da presa è seduto insieme a suo fratello Bob. Nel corso degli anni, i fratelli Farrelly sono infatti divenuti noti per aver realizzato molte pellicole divertenti e di successo, caratterizzate anche da elementi politicamente scorretti. Sono loro ad aver diretto cult come Tutti pazzi per Mary (1998), Io, Me & Irene (2000), Amore a prima svista (2001) e Lo spaccacuori (2007), solo per citarne i più famosi. Da solo, invece, Peter ha firmato la regia di un grande “classico” come Scemo & più scemo (1994), a cui ha però dato un seguito insieme a suo fratello con Scemo & + scemo 2 (2014).

Green Book segna una svolta nella produzione di Peter Farrelly: abbandonata la comicità demenziale delle sue precedenti pellicole (colme di allusioni sessuali e di unpolitically correct), in quest’opera il regista utilizza i toni di un’ironia più edulcorata. Al centro vi è sempre uno scontro comico, basato qui su una differenza culturale, ma nel ritrarre i caratteri più accesi dell’italianità di Tony e l’atteggiamento snob di Don Shirley, stavolta la presa in giro di queste due dimensioni risulta smorzata. L’intento di questo film, infatti, non è tanto ridere della esagerata gestualità del protagonista affiancata dall’eccessivo riserbo del pianista, ma quanto dare negativo risalto a chi trova queste due figure (con l’universo culturale che si portano dietro) “meritevoli” di disprezzo. Non che in Green Book non si rida, anzi: le scene di ilarità non mancano, ma appare ben presto chiaro che esse celino momenti di profonda riflessione.

Green Book: un cast semplicemente perfetto
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Non è un caso che entrambi i personaggi principali di Green Book abbiano ricevuto una nomination ai prossimi Oscar 2019: Viggo Mortensen e Mahershala Ali sono semplicemente gli interpreti perfetti per dar vita a Tony Lip e Don Shirley.

Mortensen dona colore a una figura come il buttafuori italoamericano: ingrassato di 20 chili, capelli tinti, sigaretta al lato della bocca, rissoso e chiassoso, l’attore dà sfoggio anche delle sue capacità linguistiche. Le frasi in italiano da lui pronunciate acquistano una carica ironica proprio in virtù della sua conoscenza non perfetta della nostra lingua, specie quando si trova a doversi confrontare con le parolacce. Ma Mortensen ha fatto anche un grande lavoro in merito alla gestualità (un po’ il nostro marchio di fabbrica): le mani diventano un altro strumento attraverso cui l’attore dà sfogo alla vivace personalità di Tony, logorroico e perennemente affamato. Mortensen ci ha abituato a un arcobaleno di ruoli, sempre interpretati con performance eccellenti: il ramingo Aragorn della trilogia Il Signore degli Anelli (2001 – 2002 – 2003), il glaciale Nikolai di La promessa dell’assassino (2007), il padre controcorrente di Captain Fantastic (2016)… l’attore – un vero anti-divo – ha sempre ottenuto il plauso di pubblico e critica. Questa per lui è la terza nomination agli Oscar (chissà che non sia la volta buona).

L’ambita statuetta invece Mahershala Ali l’ha già vinta nel 2017 (il primo musulmano a ottenerla) per il suo ruolo da non protagonista in Moonlight (2016) di Barry Jenkins. Ma questo è stato solo uno degli ultimi lavori di questo talentuoso attore, che ha iniziato la sua carriera in tv nella serie drammatica Crossing Jordan. Seguono altri ruoli in New York Police Department, Codice Matrix, CSI – Scena del crimine, Fantasmi, 4400, Alcatraz e Alphas. In seguito ha recitato in numerosi film, tra cui Il curioso caso di Benjamin Button (2008), Come un tuono (2011), Free State of Jones (2016) e nella serie di film Hunger Games. Ali è anche noto per il suo ruolo di Remy Danton nella serie televisiva House of Cards – Gli intrighi del potere e di Cornell Stokes in Marvel’s Luke Cage.

In Green Book, l’attore statunitense riesce nuovamente a dare sfoggio della sua grande capacità di immedesimazione, interpretando il superbo pianista Don Shirley. Un’arroganza, la sua, di facciata, un atteggiamento altezzoso che in realtà cela una profonda sensibilità e una tristezza dovuta a un inguaribile senso di solitudine. Ali, alto e snellissimo nei completi eleganti del suo personaggio, piega il suo volto a questa miriade di sentimenti, accompagnando alla fermezza del suo sguardo la mestizia del suo sorriso.
Riservato e dedito alle buone maniere uno, rozzo e chiassoso l’altro, la coppia formata dai due protagonisti di Green Book – e dai suoi interpreti – è sicuramente tra gli elementi di punta della pellicola.

Green Book: una storia necessaria per i nostri tempi
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L’intolleranza e l’ignoranza sono dovunque, soprattutto fra chi è ai vertici del mondo e ricopre ruoli da leader. In Green Book una semplice amicizia riesce a superare ogni differenza e pregiudizio, invitando a riflettere sui limiti della prima impressione: è da qui che bisogna ripartire oggi, perché in questo momento ci possono salvare solo i piccoli gesti di umanità. Dobbiamo ritrovare passione e umanità. E l’odio sparisce.

Viggo Mortensen ha presentato così, in numerose interviste rilasciate in giro per il mondo, la sua partecipazione alla pellicola di Peter Farrelly. Tematiche, quelle toccate dall’attore, che permeano tutto il film, a metà tra dramma e commedia.

Nel fare da autista al pianista Don Shirley e accompagnarlo nel suo tour nel sud degli Stati Uniti, Tony Lip segue l’itinerario tracciato da una guida speciale, il “green book” che dà titolo all’opera, che indica quali sono i locali e i ristoranti che accettano di servire neri. Non stiamo parlando di secoli fa: siamo solo negli anni ’60, ma ancora vigeva questo clima di razzismo e intolleranza. Anche tra Tony e Don, inizialmente, le cose non sono proprio idilliache: c’è molta diffidenza, la distanza abissale che li separa culturalmente sembra pesare in maniera irreparabile, e più volte tra i due la rottura del rapporto lavorativo sembra essere dietro l’angolo.
Ma Tony e Don vanno oltre le apparenze: approfondiscono reciprocamente la loro conoscenza, non negano ciò che li differenzia ma, semplicemente, si rispettano per come sono. Il senso di umanità prevale sulla loro diversità, non più percepita come minaccia: è di fronte a questa nuova consapevolezza che i due possono diventare amici, apprezzandosi finalmente per quello che sono.

Una storia vera e bellissima quella raccontata da Green Book, un messaggio di luce che, oggi più che mai, si profila come necessario.