Heretic: la svolta horror di Hugh Grant è la cosa migliore del film!
Non capita tanto spesso di trovare Hugh Grant alle prese con un horror e Heretic, al cinema il 27 febbraio 2025, è qui per colmare il vuoto. Una prova d'attore notevole, in bilico tra novità e richiami al passato.
Questa storia comincia con un premio, un errore e un po’ di ironia. Il premio è il Golden Globe, edizione 2025, categoria Migliore attore in un film commedia o musicale (vince Sebastian Stan, ma non è poi così pertinente), sei nominati. L’errore, se di errore si tratta, è la presenza in sestina di Hugh Grant. E l’ironia? Non c’è dubbio che l’attore inglese – la star di Quattro matrimoni e un funerale, Notting Hill, Il diario di Bridget Jones e About a Boy – sia un monumento della moderna commedia sentimentale. La sua cifra espressiva è un collaudato mix di charme, autoironia, leggerezza e un pizzico – beh, un po’ più di un pizzico – di cinismo; non c’è ragione per cui il suo nome, sostenuto dal forte apprezzamento del pubblico, non debba figurare nella lista dei candidati. Fino a poco tempo fa, la considerazione non avrebbe fatto una grinza. Fino a Heretic, il film scritto e diretto da Scott Beck e Bryan Woods con Sophie Thatcher, Chloe East e Hugh Grant, nelle sale italiane il 27 febbraio 2025 per Eagle Pictures.
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Parte dell’ironia della situazione è che poche cose sono più lontane dalla leggerezza giocosa ed emotivamente scanzonata della commedia sentimentale di questo film. Heretic è diverso, è un teso horror psicologico dal cuore nero e perverso, eppure – eccola, l’ironia suprema – l’errore di assegnazione dei Golden Globes qualcosa di interessante ce la racconta. È precisamente per il suo passato nella commedia sentimentale che Hugh Grant è il protagonista perfetto per la storia. E, proprio perché la star non è quella che uno si aspetta, la sua prova ci colpisce più di quanto non avrebbe fatto una scelta di casting più convenzionale. Hugh Grant è il protagonista di cui Heretic aveva bisogno e quello che si meritava, anche se può sembrare altrimenti.
In che modo Sergio Leone e Henry Fonda ci aiutano a capire Hugh Grant e Heretic: quando un casting a sorpresa aiuta il film
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È necessario, per capire perché Hugh Grant sia così importante per Heretic, allontanarci un attimo dal film per addentrarci nei meandri della storia del cinema. Quando Sergio Leone deve scegliere a chi affidare la parte del cattivo per il suo ultimo – e più riuscito – western, C’era una volta il West (1968), va su Henry Fonda e non c’è niente di più sorprendente. Oggi è piuttosto difficile ricordarlo, ma Henry Fonda è stato uno dei grandi eroi del western classico, soprattutto nei film diretti da John Ford; per lui ha interpretato persino Abraham Lincoln! Sceglierlo come cattivo significava, dal punto di vista di Sergio Leone, “aggredire” la mitologia del genere per puntare sulla combinazione tra shock (di pubblico e critica) e talento (dell’interprete).
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In quel caso era il sentimento del film a indirizzare la visione dell’autore: celebrare il funerale del western, omaggiandone le radici e rovesciandolo come un calzino. Fonda ha funzionato doppiamente, per quello che il pubblico si aspettava da lui…e per quello che non si aspettava dal personaggio. Emblematico è il modo scelto da Sergio Leone per farlo entrare nel film. La macchina da presa lo riprende di spalle e lentamente gli gira intorno, senza tagli e accompagnata dal crescendo orchestrato da Ennio Morricone, per fissarsi sul suo volto, con conseguente shock del pubblico: l’eroe di tanti western è infine passato al lato oscuro! Scott Becks e Bryan Woods non arrivano a tanto, ma la logica alla base della scelta del villain di entrambi i film – con le dovute proporzioni di valore artistico – è la stessa.
Tra qualche anno, lo spettatore di Heretic non avvertirà l’effetto sorpresa come capita a noi, ora. Bisognerebbe aggiungere che oggi, di Henry Fonda, si ricorda più il breve passaggio nel western come cattivo che i tanti anni da eroe, ma importa poco. In futuro Heretic offrirà spunti che la nostra sensibilità di contemporanei non può ancora cogliere, ma il film funzionerà nel 2055 per la stessa ragione per cui funziona – da buon horror, non perfetto, ma solido e vitale – nel 2025: per la sorprendente svolta villain di Hugh Grant. La storia è quella di due giovani missionarie mormoni, Sorella Barnes (Sophie Thatcher) e Sorella Paxton (Chloe East), che bussano alla porta del signor Reed (Hugh Grant), per convincerlo a interessarsi al loro credo. Quella che comincia come una discussione su fede e mistero si trasforma in una pericolosissima partita a scacchi tra la vita e la morte. Il signor Reed – e il suo interprete, e il film che lo ospita – non è quel che sembra. Per una questione di coerenza Heretic, horror in contropiede sul pubblico, aveva bisogno di un protagonista in contropiede. Hugh Grant costruisce il suo personaggio non rinnegando il passato, ma adattandolo alle necessità del film.
Un personaggio inedito, ma che allo stesso tempo riassume la carriera di Hugh Grant
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Heretic parla di fede, di come la fede può essere usata per controllare le persone, della sincerità delle nostre convinzioni. L’architettura tematica del film è riassumibile in una serie di domande. Perché crediamo? È possibile credere senza renderci vulnerabili alle manipolazioni altrui? Quanto è sincera, se c’è, la nostra fede? Per sviluppare il suo discorso il film attacca sistematicamente le aspettative del pubblico, dando priorità all’atmosfera rispetto agli shock fisici – ci sono anche quelli, niente paura – preferendo la provocazione intellettuale all’azione e, soprattutto, scegliendo un villain associato a un’idea di leggerezza e romanticismo lontana dagli umori del genere. In realtà, non è il primo ruolo oscuro nella carriera di Hugh Grant. C’è stata la partecipazione all’horror d’autore (Ken Russell) La tana del serpente bianco, nel 1988, ma erano gli inizi e non era la star che è oggi. C’è stata, più recentemente, la miniserie The Undoing – Le verità non dette (2020), regia di Susanne Bier, che non era un horror ma un dramma con venature thriller e che, in un certo senso, ha preparato la strada a Heretic, senza sopravvalutarne il valore profetico. Il film del 2025 è un’altra storia.
A colpire, dell’interpretazione di Hugh Grant – decisamente il personaggio più estremo della sua carriera – è la facilità con cui sa stare in equilibrio tra il richiamo del passato e la voglia di aprirsi alla novità. Reed ha una progressione lineare: all’inizio amabile, gentile e premuroso, poi mostra un volto via via più nero e delirante – una progressione coerente con l’evoluzione della carriera dell’attore inglese, dalla leggerezza degli inizi alla complessità successiva – che costringe le partner in scena, le brave Chloe East e Sophie Thatcher, ad adattare costantemente il passo. In più, oltre all’idea del personaggio che, nel suo incedere, riassume e sintetizza la carriera dell’interprete, c’è un’altra idea interessante che struttura la performance spiazzante di Hugh Grant in Heretic: dentro c’è tutto, letteralmente tutto, l’attore inglese. La ritrosia di Reed, l’impossibilità di leggerne l’anima, richiama alla memoria Clive Durham, lo scontroso protagonista del dramma queer in costume Maurice (1987) di James Ivory.
Nella gentilezza – accattivante per la sua natura sbruffona e maldestra – della prima parte del film, si intravede l’ombra non così appesantita dagli anni di Quattro matrimoni e un funerale (1994) e Notting Hill (1999). Nel cinismo della seconda parte c’è la svolta dei primi anni Duemila, da Il diario di Bridget Jones (2001) a, soprattutto, About a Boy (2002), e forse un autoironico riferimento alla personalità dell’uomo, affinata, nel rapporto con i media, una scontrosità dopo l’altra. E poi c’è l’oggi, la volontà di uscire dagli schemi, già misurata con le incursioni nel cinema per tutta la famiglia da Paddington 2 (2014) a Wonka (2023). Heretic è la svolta horror di Hugh Grant e, in maniera più sfumata e cupa, la riaffermazione dei punti di forza della sua personalità d’attore. E se, in fondo, i Golden Globes ci avessero visto giusto?