Hill of Vision: la storia vera di Mario Capecchi dietro al film
Mario Capecchi non ha di certo avuto una vita semplice. Hill of Vision la storia vera del premio Nobel, tra scoperte scientifiche e drammi
Il regista Roberto Faenza firma la storia del premio Nobel Mario Capecchi nel film Hill of Vision, presente nelle sale a partire dal 16 giugno distribuito grazie ad Altre Storie Distribuzione. La vita avventurosa e travagliata di Mario Capecchi (impersonato da Lorenzo Ciamei da bambino e da Jake Donald da ragazzo) è stata un soggetto perfetto per la realizzazione di Hill of Vision.
Chi è Mario Capecchi: la straordinaria vita del genetista premio Nobel
Nato a Verona il 6 ottobre del nel 1937 e cresciuto durante la Seconda Guerra Mondiale, Mario Capecchi ha solo quattro anni quando sua madre, la poetessa americana Lucy Ramberg (interpretata nel film da Laura Haddock), viene arrestata dai fascisti e deportata a Dachau per via della sua frequentazione dei circoli antifascisti e per la stesura di opuscoli che andavano contro il governo vigente.
La donna vendette tutti i suoi averi poco prima di essere arrestata, consegnando il ricavato ad una famiglia di contadini che aveva promesso di occuparsi del bambino.
Mario passa così parte della sua infanzia in una fattoria in Trentino dove tuttavia non rimane per troppo tempo. La paura di una possibile visita da parte dei fascisti lo porta a fuggire a Bolzano, ma ad allontanarlo è anche l’impossibilità dei genitori adottivi di riuscire a mantenerlo. Così Mario impara le dure leggi della strada per poter sopravvivere in un mondo che non mostra troppa simpatia ai più deboli. Il film racconta questo spezzone della vita di Mario Capecchi, che in quegli anni era entrato a far arte di una banda di ragazzini che viveva di ruberie, contraendo persino in tifo e finendo in sanatorio, con un ritmo fluido, accompagnato dalle immagini e da una regia dai toni e dai colori freddi che propongono una ricostruzione storica solida e accurata.
Gli anni dell’infanzia formano in Mario un carattere stoico e forte che gli permette di poter vedere sempre l’alba di un nuovo giorno. Si trova a Reggio Emilia quando, nel 1945, riesce quasi per miracolo a ricongiungersi con sua madre, la quale era riuscita a fuggire da Dachau. Entrambi si ritrovano provati dagli orrori della guerra, ma c’è ancora speranza! Lucy decide di portare Mario in America da suo fratello, in modo da poter iniziare una nuova vita. La prima parte della vita di Mario finisce in questo modo: lasciando il suo passato alle spalle per vivere finalmente l’infanzia che non ha mai avuto. Tuttavia il passato e il trauma subiti trovano sempre un modo per riaffiorare dalle tenebre.
Una nuova vita a Hill of Vision. Da qui inizia la carriera del permio Nobel!
Mario ha otto anni quando si trasferisce insieme a sua madre in America, nella comunità Quacchera di Hill of Vision. Le immagini, la regia e la fotografia appaiono d’un tratto meno fredde. La comunità accoglie Mario con calore e tutto sembra andare per il meglio. Ma (e c’è sempre un ma) il trauma di Mario lo porta a non integrarsi completamente nella comunità. I continui scatti di ira e i problemi con il bullismo lo trascinano sempre di più verso l’alienazione e l’isolamento. Sarà l’amore per la scienza trasmessagli dallo zio (insegnante di fisica presso l’Università di Princeton e collega di Albert Einstein) a salvarlo da sé stesso e a creargli una nuova identità. Dopo tanto vagabondare senza meta, Mario ha finalmente tutto ciò di cui la guerra lo ha privato.
Capecchi si laurea in chimica e fisica presso l’Antioch College per poi conseguire, nel 1967, il dottorato di ricerca all’Università di Harvard (uno degli scopritori della struttura del DNA, James Watson, fu suo supervisore per la tesi) per poi intraprendere l’attività di docente universitario sia presso la Harvard School of Medicine che presso l’Università statale di Salt Lake City.
Cosa ha inventato Mario Capecchi?
Le vicende personali di Mario lo hanno reso autosufficiente e consapevole dell’importanza di trovare maestri capaci di offrire sostegno e ispirazione ai giovani che intraprendono una carriera scientifica. Ed è così che Mario Renato Capecchi diventa l’inventore del sistema di topi transgenici, ideato nel 1986 attraverso la ricombinazione omologa nelle cellule staminali murine. Detta “gene targeting”, tale tecnica consente di rendere inoperativi alcuni geni, il che è fondamentale per progredire nella cura di malattie genetiche, ma non solo. Per tale ragione Mario Capecchi ha ricevuto nel 2007 il Premio Nobel per la Medicina insieme ai colleghi Martin Evans e Oliver Smithies.
Oggi il medico vive a Salt Lake City, ai piedi di una montagna che gli ricorda quella vicino a Bolzano dove ha vissuto da bambino. La sceneggiatura di Roberto Faenza e di David Gleeson, la componente forse più curata ed efficace del film, pone al centro la resilienza, la caparbietà e la volontà di sopravvivere di Mario Capecchi. Nelle parole di Roberto Faenza: “Il messaggio è chiaro: se ce l’ha fatta Mario partendo da una condizione così estrema, allora possiamo farcela anche tutti noi. Basta saper essere resilienti, ovvero non darsi mai per vinti.” Un messaggio che non conosce età e che, forse, è rivelante oggi più che mai.