I figli del fiume giallo: la dialettica tra Cina capitalista e operaia
Jia Zhangke torna al cinema dal 9 maggio con I figli del fiume giallo per raccontare di nuovo le mutazioni socio-culturali della sua Cina.
Nella Cina delle enormi sperequazioni sociali c’è un autore che meglio di tutti è riuscito a raccontare l’incontro-scontro tra la vorticosa espansione tecnologica e l’arretratezza delle campagne in cui tuttora versa la macchina cinese. Stiamo parlando di Jia Zhangke, acclamato cineasta cinese, già vincitore nel 2006 del Leone d’oro a Venezia per il suo bellissimo Still life, storia di diseredati e sconfitti sullo sfondo della provincia cinese di Chongqing (la stessa a cui faceva riferimento Chongqing Express, capolavoro firmato Wong Kar-wai). Ora Zhangke torna con un nuovo progetto: il film I figli del fiume giallo.
Questa volta Jia Zhangke parte da alcune riprese che aveva girato nel 2001, insieme ad altri spezzoni di film successivi scartati in sede di montaggio, e delinea così lo scheletro narrativo del suo ultimo lungometraggio, I figli del fiume giallo. Fatica però a scrollarsi di dosso le scorie (seppur di deliziose scorie si tratta) dei suoi due film precedenti, restando imprigionato in dinamiche forse un po’ stanche, già viste, ma non per questo prive di fascino contenutistico. È vero però che da uno dei registi più talentuosi, nonché stimati dalla critica internazionale – Jia Zhangke è stabilmente ospite ai principali festival del cinema – ci saremmo forse aspettati una più prolifica vena creativa. Zhangke dopotutto è esponente di punta del cinema asiatico contemporaneo, abile manovratore della macchina da presa, cantore di paesaggi rurali minacciati dalla speculazione edilizia.
I figli del Fiume Giallo: il trailer del film di Jia Zhangke
Come già nei lungometraggi precedenti il film è diviso in diverse linee temporali, sempre imperniate sulla mutazione socio-culturale a cui è andata incontro la Cina degli ultimi decenni, tra sindacalisti nostalgici di Mao e gangster privi di scrupoli. Tacciato da alcuni di autoreferenzialità, I figli del fiume giallo è un film che incappa poi in qualche prolissità di troppo, diluito com’è specialmente nel terzo e ultimo capitolo della vicenda, quello in cui i due amanti si ritrovano per l’ennesima volta, decisi finalmente ad accettare la propria sciagurata condizione.
Con I figli del fiume giallo, Jia Zhangke racconta la dialettica tra Cina capitalista e operaia
Zhangke cerca reiteratamente il finale, lo insegue tra le pieghe della vicenda, ma resta imbrigliato nel gorgo dell’eccessiva durata. Ne è inevitabile riflesso la sbrigativa inquadratura finale: ben altra cosa se corriamo con la mente alla figura in controluce sospesa sugli edifici con cui si chiudeva magnificamente Still Life. Restano però le sequenze di bellezza abbacinante, su tutte la scena in cui le note di YMCA in discoteca accentuano la dialettica tra Cina capitalista e operaia, così come il brutale pestaggio di cui Bin è vittima, funesto presagio di un epilogo tutt’altro che conciliante.
Zhao Thao, moglie e attrice feticcio di Jia Zhangke, regge su di sé l’intera impalcatura filmica, dimostrandosi ancora una volta eccezionale e bellissima nella sua interpretazione. Nonostante le criticità di cui sopra, I figli del fiume giallo è un’opera che smuove, si erge a lucida rappresentazione di un popolo in immane sommovimento, e rigetta ogni sorta di etichettamento di genere. Il cinema del regista originario dello Shanxi procede quindi per sottrazione: schiva con destrezza la facile emotività del melò, abbraccia il surreale (come già aveva fatto con fantastico successo in Still life), affronta di petto i sentimenti dello spettatore. I nemici di oggi, secondo alcuni, sono ancora le tigri di carta (termine con cui Mao Tse Tung designava dispregiativamente tutti i reazionari), la minaccia di domani è incarnata invece dal social-capitalismo di Xi Jinping.
I figli del fiume giallo è al cinema dal 9 maggio grazie a Cinema Distribuzione.