Il caso Freddy Heineken: analisi del film e spiegazione del finale
Cinque amici, e un piano folle: rapire il milionario Freddy Heineken, proprietario dell'omonimo birrificio. Un fatto di cronaca che ha lasciato il segno, trasposto in un film dal finale inaspettato.
La storia, quella vera, all’epoca destò grande clamore: nel 1983 un gruppo di amici d’infanzia dedito ai piccoli furti decise di mettere a segno il colpo gobbo che avrebbe dovuto risolvere le loro vite. Il piano prevedeva il sequestro del magnate Freddy Heineken, erede dell’impero della birra, e la successiva richiesta di riscatto. Un riscatto da capogiro, la cifra più alta mai pagata per un individuo: 35 milioni di fiorini olandesi, corrispondenti a circa 50 milioni di dollari.
Frutto di una coproduzione europea, Il caso Freddy Heineken punta sulla regia di Daniel Alfredson (già visto all’opera in due dei tre capitoli svedesi della saga Millennium, La ragazza che giocava con il fuoco e La regina dei castelli di carta) e su un manipolo di attori ben assortito, fra i quali spiccano il gallese Anthony Hopkins e l’australiano Sam Worthington. Le premesse sembrano esserci tutte, ma non possiamo certo dire che il risultato rispecchi le aspettative: la potente vicenda originale – tratta dal libro del giornalista Peter de Vries – si trasforma in un racconto cinematografico gestito con scarsissima ispirazione, sorretto unicamente proprio dal fatto di cronaca da cui trae spunto.
Il caso Freddy Heineken:
rapire qualcuno è facile
Si parte proprio da alcuni frammenti del rapimento, senza troppi preamboli e troppi fronzoli. Ma subito si fa marcia indietro, tornando al 1982 e alle ragioni che hanno portato un gruppo di ragazzi di Amsterdam ad un’operazione così clamorosa: un mancato prestito bancario, fondamentale per sovvenzionare l’impresa di costruzioni in cui i cinque lavorano. In questa prima parte Il caso Freddy Heineken oscilla fra un registro curiosamente comico (la scazzottata nella palazzina occupata abusivamente) e la successiva tensione tipica del crime movie, mostrando subito la corda della propria insicurezza.
La messinscena è debole, fredda, e non conosce sussulti nemmeno nel momento in cui appare evidente che in una disperata situazione di bancarotta come quella che affligge i protagonisti l’unica soluzione sia il rapimento del vecchio tycoon della Heineken, con un piano studiato nei minimi dettagli (nella realtà durato ben due anni) di cui ci viene mostrato davvero pochissimo. I piatti inseguimenti e le superficiali caratterizzazioni dei personaggi vengono tuttavia controbilanciati da alcuni buoni dialoghi, capaci di racchiudere il senso ultimo di ciò che accade sullo schermo e le sue inevitabili conseguenze. Così, quando sentiamo pronunciare la frase “Rapire qualcuno è facile. Ottenere i soldi e farla franca impossibile” sappiamo che per quanto il sequestro sia stato organizzato in modo ottimale, qualcosa andrà sicuramente storto.
Il caso Freddy Heineken:
i due modi per essere ricchi
A rapimento avvenuto, si apre la seconda parte del film, incentrata sul nuovo rapporto che si instaura fra i criminali nell’attesa che il riscatto venga pagato. Freddy Heineken e il suo autista Ab Doderer sono rinchiusi in due stanze insonorizzate, incatenati al muro e costretti ad infinite giornate di isolamento. I due reagiscono tuttavia in modo differente: mentre Ab è terrorizzato e rannicchiato in un angolo della stanza, Freddy si dimostra più rilassato, al punto da potersi permettere anche di prendere in giro e schernire i suoi rapitori. Ed è proprio una sua affermazione (“Ci sono due modi in cui un uomo può essere ricco: può avere molti soldi oppure avere molto amici. Ma non può avere entrambi”) a scatenare il caos.
Si insinua così, nel gruppo, il germe del dubbio, sia in relazione alla buona riuscita del piano che in relazione alla fiducia che ognuno prova nei confronti degli altri. Qualcuno propone di liberare Heineken e bruciare tutto, qualcun altro invece di uccidere l’autista per rendere la minaccia più concreta. La soluzione arriva dal pagamento – ormai quasi inaspettato – del riscatto, punto di svolta che invece di riappacificare gli animi scatena (coerentemente con quanto avvenuto nella realtà) il panico e la paranoia: si decide confusamente di recuperare il denaro (sepolto in alcuni bidoni nel bosco) e di abbandonare Heineken al proprio destino, senza liberarlo.
Il caso Freddy Heineken: il crimine non paga
Attraverso una curiosa ibridazione di stile documentaristico e taglio paratelevisivo (a tratti sembra di assistere a uno di quei polizieschi tedeschi di serie B degli anni ’80), si arriva alla resa dei conti. La banda di malfattori si sgretola e viene bloccata: c’è chi viene preso dalla polizia mentre sta tornando a casa da moglie e figli, chi viene arrestato quando ormai pensa di averla fatta franca e chi si costituisce non reggendo il peso del crimine compiuto. Gli unici a restare in libertà sono i due capibanda Cor e Willem, che fuggono a Parigi.
Ma è solo questione di tempo, perché anche il duo viene intercettato: a Cor manca Sonja, la compagna incinta sorella di Willem, e la contatta nonostante le rimostranze dell’amico. L’errore è fatale, e mentre Freddy Heineken (liberato assieme all’autista grazie ad una soffiata anonima) afferma in tv che “Si può scappare, ma non ci si può nascondere”, i due amici vengono braccati e arrestati in mezzo ad una strada deserta, quando con i borsoni pieni di denaro stanno per tentare una ultima disperata fuga verso una impossibile libertà.
Il caso Freddy Heineken: i Padrini d’Olanda
Il sipario si chiude su una lunga serie di anonime didascalie esplicative, ulteriore segnale di incompiutezza di un’opera che purtroppo non riesce a esprimere il proprio potenziale abbandonandosi a una narrazione spenta e meramente illustrativa. Viene spiegato il futuro dei personaggi: dopo il suo rapimento, Heineken metterà in piedi uno dei sistemi di sicurezza privati più complessi al mondo, mentre i membri del gruppo – Cat, Breakes, Cor e Willem – sconteranno dagli 8 ai 12 anni di carcere.
Più curiosa la vicenda di Spikes (il componente che si era consegnato alle forze dell’ordine), che scappa dall’ospedale psichiatrico in cui era rinchiuso e si rifugia per dieci anni in Paraguay, per poi essere scoperto ed estradato nei Paesi Bassi. Per Cor e Willem poi, il caso Heineken non sarà che l’inizio: una volta rilasciati torneranno infatti al crimine, salendo al potere con la nomea di Padrini d’Olanda. Più che sul magnate della birra, è per loro due che batte (o meglio, avrebbe dovuto battere) il cuore pulsante del film: un’intenzione destinata purtroppo a restare tale, a cui non rende giustizia né l’incerta e asettica regia di Alfredson né la didattica sceneggiatura di William Brookfield.