Il ciclone: la canzone e la musica del film di Leonardo Pieraccioni
Uno dei punti centrali de Il Ciclone è sicuramente la musica, o meglio la canzone del film, The Rhythm is magic, attorno cui si costruisce la storia di Levante e del paese ammaliato dalla bellezza spagnola.
Dopo il grande successo di I Laureati (1995), Leonardo Pieraccioni torna alla regia e realizza un cult del cinema pop, Il ciclone (1996), una pellicola pluripremiata (David di Donatello, Nastri d’argento, Globo d’oro e Ciak d’oro) che è entrata nei record, campione d’incassi, con una colonna sonora di Claudio Guidetti che è diventata cult. Pieraccioni con i primi due film ha fatto centro con delle opere pulite che hanno come minimo comun denominatore la felicità del vivere – lontana dalla realtà forse ma di forte impatto – e una delicatezza e malinconia tipiche di un certo cinema.
Il ciclone: Un arrivo inaspettato
Leonardo Pieraccioni porta sullo schermo una storia semplice: un gruppo di ballerine, che fanno parte di una compagnia di flamenco, arriva per errore (cade l’insegna della locanda Arcobaleno), dopo un guasto al pullman su cui viaggia, a casa della famiglia Quarini. Il nucleo familiare è composto dal padre Osvaldo (Sergio Forconi) e dai tre figli, Levante (Leonardo Pieraccioni), un ragioniere di provincia, intrappolato nella solita rountine quotidiana e impacciato con le donne, Libero (Massimo Ceccherini), pittore di quadri sui cui troneggiano frasi teologiche e ironiche (“Dio c’è”, “Dio è stato qui”) e Selvaggia (Barbara Enrichi) che vince il premio come miglior attrice non protagonista ai David di Donatello del 1997), lesbica che vive di nascosto una relazione con la farmacista del paese (Benedetta Mazzini). Un arrivo inaspettato, dovuto ad un errore, che diventa la manna dal cielo. Come può vivere una famiglia qualunque questo tornado generato da cinque dee? Come un uragano, un terremoto, un ciclone appunto.
Come si può dire di no alla richiesta di Caterina (Lorena Forteza), una delle ballerine, che chiede, a nome suo e delle sue compagne, di poter dormire solo per quella notte a casa loro? Non si può dire di no, soprattutto se la richiesta è accompagnata da un ballo sul tavolo, sulle note di Il ciclone, una delle musiche più note del film, che stuzzica le fantasie dei Quarini, scalda le già torride serate di una calda estate Toscana.
Le giornate non sono più quelle di prima, vengono cadenzate dal ritmo del flamenco su cui le ballerine danzano, su cui ci si innamora – primi fra tutti Levante e Caterina, una delle danzatrici -, su cui l’intero paese si muove, spinto dalla gelosia – sarebbe potuto capitare a chiunque altro, perché proprio a loro? – e dal desiderio di incontrarle. Le cinque ragazze diventano il sogno di ogni uomo, sono belle, giovani, in viaggio e, a causa di certe balzane e antiquate idee, disponibili.
Levante è diverso dagli altri, è lunare, è timido, non ci sa fare con le donne, tormentato da chi non vuole (Carlina, che ogniqualvolta lo vede gli ricorda la loro vecchia storia di quando erano ragazzini, apostrofandolo “Piripi”) e incapace di esprimersi con chi desidera; è uno di quei personaggi che, in un modo o nell’altro, tra buoni film, opere mediocri e film di cui si può fare a meno, abitano la cinematografia di Pieraccioni.
Levante è un uomo che si innamora senza filtri, che si perde negli occhi di quella spagnola dolce e bellissima e che sbaglia a parlare, è buffo e non riesce a fare mai la prima mossa – anche a causa del fatto che Caterina è fidanzata. Il suo è un amore così sconvolgente e travolgente, come lo è il flamenco che fa da fil rouge all’interno dell’opera, ma anche tenero e malinconico come la musica strumentale che punteggia il film, che la sua famiglia lo prende in giro; lo si vede nel momento in cui tutti insieme, vedendo il fratello e il figlio giocare con il boomerang regalatogli da Caterina prima di lasciare la loro casa, cantano Che cosa c’è? di Gino Paoli.
Che cosa c’è
Che cosa c’è
C’è che mi sono innamorato di te
C’è che ora non mi importa niente
Di tutta l’altra gente
Di tutta quella gente che non sei tu
Il ciclone: Una canzone che scalda un intero paese
Uno dei punti centrali del film è sicuramente la musica, o meglio la canzone del film, The Rhythm is magic, attorno cui si costruisce la storia di Levante e del paese ammaliato dalla bellezza spagnola. Ogni bar, ogni piazza, ogni esercizio “va a ritmo” di flamenco: il vecchio Osvaldo ritrova quel ragazzino che non è più, Levante palpita per la bella Caterina, Selvaggia perde la testa per Penelope (Natalia Estrada), Libero per costringersi a non fare una pazzia, cioè “importunare” le giovani donne che abitano in casa loro, si chiude dentro una bara chiedendo al fratello “Tappami Levante, tappami”.
The rythm is magic, siente su vibrar!
bebe su poder de sensaciones!
en todo lo que ves, la fuerza es
the rythm is magic, the rythm is king
Nella canzone, cantata da Marie Claire D’Ubaldo, c’è tutto, non solo la forza della musica e del ritmo che vivifica e smuove, che anima e conturba – si pensi alle prove che le ragazze fanno nel giardino dei Guarini, prove a cui la famiglia assiste quasi al completo, manca solo Levante, come si partecipa all’apparizione della madonna – ma anche la forza dell’attrazione – come non ricordare il personaggio di Pieraccioni che per tornare presto a casa, corre come un pazzo sul suo Motobecane 50V type luxe e poi, a causa di un problema ai freni, si schianta sul muro. Passione per il ballo da una parte e passione per il corpo femminile che si muove a tempo di flamenco vanno di pari passo e se Il ciclone è una storia d’amore lo è in senso lato, sia quello tra Levante e Caterina, ma anche quello verso la musica e verso la donna.
Il ciclone: il flamenco diventa cuore pulsante del film
Il secondo lavoro di Pieraccioni ci mostra il flamenco, la danza che arriva dall’Andalusia, influenzata dai Gitani, che affonda le sue radici nella cultura dei Mori e degli Ebrei. La musica scorre nei corpi, sotto la pelle delle ballerine della compagnia di Il ciclone, come scorre anche in quello di tutto il paese, vivificato da quelle forme sconosciute: le cinque ragazze sembrano venire da un altro pianeta. Se il flamenco nasce come un canto, senza musica, qui diventa un inno di passione e d’amore, è musica viva come sono vive l’eccitazione e i sentimenti dei protagonisti. Le danzatrici – che rientrano in un cliché ben preciso, tutte scure, seduttive e ammaliatrici – non usano nacchere o ventagli ma le mani, ogni centimetro di pelle per incantare, stregare e anche per esprimersi in ciò che amano fare.
Pieraccioni, con una opera corale senza troppe pretese, scrive una fiaba che racconta come andrebbero le cose se cinque ballerine irrompessero nella quotidianità di un paese della Toscana, abitato da personaggi strani e naif, smuovendo la sua storia con un flamenco di cui ci si ricorda ancora.