Il diritto di uccidere: il significato del finale del film con Alan Rickman
Il diritto di uccidere è un film scritto come un thriller che si dilata e monta, che parte da una decisione che sembra facile (in guerra) ma che si fa difficile a causa di complicazioni...
Droni, kamikaze, generali e colonnelli; è materia pulsante quella che sta alla base di Il diritto di uccidere, il film di Gavin Hood in cui si racconta la “nuova guerra”, quella a distanza, che si guarda sugli schermi, che pur lontana da noi è vicinissima. Il diritto di uccidere pone al centro una guerra combattuta tramite droni. Si mette Steve Watts/Aaron Paul nel sedile di comando come se giocasse ad un videogioco, mentre il colonnello inglese Katherine Powell/Helen Mirren impone di sparare senza se e senza ma e Frank Benson/Alan Rickman fa da mediatore tra lei e le altre alte sfere. Si parla di un pezzo di terra nel Corno d’Africa in mano ad un immaginario califfo di nome Al Shabaab, di alleati britannici/statunitensi in patria, di una bambina che vende pane per la strada, ignara di cosa stia per accadere. E ancora ci sono tre futuri martiri tra cui un’inglese convertita all’Islam che stanno per essere imbottiti di esplosivo nella casa alle spalle della bambina.
Il diritto di uccidere: il racconto di chi non ha altre possibilità
Il diritto di uccidere: un racconto lento per arrivare allo straziante e cinico finale
Il diritto di uccidere: un finale difficile da sopportare
Il diritto di uccidere si muove lento e inesorabile verso un finale che turba e sconvolge. Lo spettatore sa cosa accadrà, deve solo attendere per comprendere, se possibile, i modi e i tempi. Il tenente Watts deve “premere il grilletto”, nonostante gli occhi pieni di lacrime e i ripensamenti perché pensa a quella bambina. Attende a schiacciare per permettere a lei di allontanarsi ma non può molto rispetto agli ordini della Powell che continua a invitarlo ad agire, incalzandolo contando i secondi che mancano. Anzi, dopo aver sganciato la prima bomba e aver visto che oltre ad aver colpito il bersaglio hanno anche ferito la piccola civile – raggiunta dai disperati genitori -, è costretto a sganciarne un’altra per colpire una dei tre criminali ancora “in movimento”. Tutti “i buoni” sono in tensioni, guardando la scena, come se fosse un film dagli schermi, però nessuno fa un passo indietro, eseguono consapevoli che i rischi sono sempre più alti (i genitori immobili accanto al corpo della bambina sono altre possibili vittime).
Mentre si celebra la riuscita dell’operazione, con un grave peso nel cuore, dall’altra parte del mondo, non seguito da droni c’è il dramma di una famiglia che segue la figlia sotto ai ferri. Mentre telefonate percorrono le alte sfere, in quel pezzo di mondo un dramma umano e familiare si sta consumando.
Tutto si fa ancora più penoso quando, dopo aver visto il piccolo corpo senza nome sul tavolo operatorio, su cui si gettano i genitori in lacrime, il tenente Watts e la collega vengono prima elogiati per il lavoro svolto dal superiore e poi invitati cinicamente a riposarsi perché devono essere pronti per il giorno dopo. La storia della bambina che vendeva il pane e che tristemente e sfortunatamente si trovava lì, accanto al rifugio di tre terroristi verrà archiviata come molte altre. Questa pagina di ordinaria tragicità lascerà il posto ad un’altra giornata probabilmente, drammaticamente e ripetitivamente uguale.