Il mio vicino Totoro: la storia vera dietro alla nascita del personaggio simbolo dello Studio Ghibli
La storia vera dietro al personaggio di Hayao Miyazaki.
Salito alla ribalta coi precedenti lavori, Hayao Miyazaki si è consacrato nel genere dei film d’animazione tramite Il mio vicino Totoro. Uscito per la prima nel 1988, è approdato in Italia durante il 2009 e oggi costituisce l’opera magna dello Studio Ghibli. La storia si concentra sulle avventure di due giovani sorelle, le quali devono trasferirsi con il papà in un paesino di campagna, così da stare vicine alla loro madre.
La storia vera de Il mio vicino Totoro
La pellicola viene ancora oggi ricordata con enorme affetto da parte degli appassionati del genere, andando ad abbracciare temi quanto mai attuali. In particolare, colpisce la capacità del lungometraggio di trattare il tema della natura. Attraverso le vicende rappresentate su schermo, Miyazaki ha, infatti, cercato di fornire la sua personale concezione della natura e del suo rapporto con l’uomo.
Quando termini come ecologia e surriscaldamento globale non erano in voga, il grande maestro giapponese aveva già compreso l’importanza di rispettare il Pianeta. Tanti concetti veicolati nella narrazione desiderano, appunto, sottolineare questo aspetto, il che rende Il mio vicino Totoro contemporaneo.
A differenza delle solite produzioni, in tale circostanza, il creatore non si è rifatto a un romanzo, bensì a un libro illustrato, che aveva cominciato a disegnare mentre era impegnato nella serie TV Marco (1976). Difatti, in quel libro è possibile rintracciare delle illustrazioni poi utilizzate ne Il mio vicino Totoro e, soprattutto, nello speciale edito da Planet Manga. Da lì riusciamo a comprendere che nel corso del processo sono stati apportati degli importanti correttivi alla trama.
Tanto per cominciare, i tre Totori inseriti nella versione finale avevano dei nomi e un’identità definiti: il “grande”, Miminzuku, aveva 1302 anni, il medio, Zuku, 679 anni, e il piccolo, Min, 109 anni. Un altro aspetto interesse riguarda le bambine. Difatti, in principio l’idea era di accoglierne una sola, Mei, ma non vi sarebbe stato modo di realizzare delle scene ritenute essenziali nella trama.
È stato ragione di parecchie discussioni il colore del terreno, che, se siete dei fan o perlomeno avete visto almeno una volta il film, ricorderete senz’altro. Per lo scenografo, Kazuo Oga, lo strato argilloso della regione del Kanto (comprensiva della capitale Tokyo e delle sette prefetture intorno), a cui la pellicola si rifà, è sempre stato nero o, tutt’al più, grigio. Non secondo Miyazaki, per cui era cruciale prendere una differente direzione, in favore di un rosso sempre più acceso. Di certo, il risultato finale costituisce un tratto distintivo.
A proposito di Totoro, in tanti hanno ipotizzato sia il Signore dei boschi: una teoria smentita dal creator in persona. È stato costruito dalla generazione moderna perché avevano l’esigenza di un qualcosa di simile, sensibile sì, ma al punto giusto, evitando di togliere importanza a Gattobus.
Nella sequenza finale più di qualche spettatore ha lamentato l’assenza di un’immagine in cui i Totoro appaiono insieme alle sorelle. La decisione dipende dal fatto che, una volta rientrata la mamma a casa, le piccole avrebbe smesso di rivedere i compagni d’avventura.