Il Mistero di Donald C. e la magistrale interpretazione di Colin Firth
Colin Firth è Donald Crowhurst, il velista amatoriale che decise nel 1968 di intraprendere la circumnavigazione del globo in solitaria e senza soste.
Nelle sale italiane a partire dal 5 aprile, Il mistero di Donald C. è il nuovo biopic firmato dal regista de La Teoria del Tutto, James Marsh. Al centro della storia, l’impresa eccezionale tentata dall’imprenditore inglese Donald Crowhurst che si imbarcò sul suo trimarano Teignmouth Electron per compiere il primo giro del mondo su barca a vela, senza soste e in solitaria. Una prova umana di altissima levatura che l’attore britannico Colin Firth porta sul grande schermo con una performance memorabile, in cui dà prova di tutta la sua capacità di analisi (e resa) del personaggio e del suo portato psicologico.
Colin Firth e l’umanità dietro Il mistero di Donald C.
Rendere sullo schermo un personaggio controverso come quello di Crowhurst non è stata una missione semplice. L’aura di leggenda e la connotazione negativa associata alla sua figura ha posto Firth davanti alla sfida di umanizzare il simbolo e far comprendere al pubblico le profonde motivazioni alla base delle sue scelte. Nonostante l’entusiasmo e il grande spirito di avventura che contraddistinguono Crowhurst all’inizio del film, le vicende di cui è protagonista lo conducono verso un progressivo cambiamento, un deterioramento fisico e mentale che l’attore inglese mette in scena con crudo realismo. L’interpretazione di Firth è sottile, sobria, consapevole che il personaggio – un ex-aviatore della RAF che fonda un’azienda per poi lanciarsi in un’improbabile navigazione attorno al mondo – è di per sé già sufficientemente sopra le righe. Tutto, nelle scelte di Firth, porta ad allontanare da Crowhurst l’immagine di folle, irresponsabile, imbroglione. Al contrario, si carpisce dallo sguardo dell’attore il desiderio di trasmettere ingenuità quasi infantile, un’emergenza del tutto umana di fare della vita un’esperienza all’altezza dei propri sogni.
Il mistero di Donald C., raccontare con il corpo
Da vero professionista, Firth si avvicina con rispetto alla biografia del personaggio, tenendo sempre ben presente la sensibilità degli eredi e – soprattutto – il suo essere a 360 gradi. Quando ci si confronta con un uomo (o una donna) realmente vissuto si incorre nel rischio dell’imitazione, che può portare a una resa superficiale e grottesca: questo impasse è stato magnificamente risolto da Firth attraverso un’interiorizzazione del personaggio, passata anche attraverso la trasformazione fisica. Nelle scene in cui Crowhurst si prepara per il viaggio e in cui condivide la quotidianità con la moglie Clare (Rachel Weisz), il suo aspetto è aitante, quadrato, ai limiti dell’ordinario, è quello di un uomo comune pronto a lasciare le sue spoglie convenzionali per lanciarsi nella più grande avventura della sua vita. Una volta imbarcato, Crowhurst affronta la prova più difficile di tutte, la cui gravità sembra passare quasi inosservata in fase preliminare: la solitudine. Là, nel mare aperto, il protagonista si spoglia progressivamente del superfluo, abbandona gli abiti borghesi, perde peso e lascia che il sole, il vento e la salsedine incidano le loro profonde tracce sulla sua pelle.
Il mistero di Donald C. – il messaggio universale di Colin Firth
Tralasciando ogni velleità mimetica, Colin Firth punta a rendere Donald Crowhurst un personaggio universale, portavoce di temi che il pubblico potrà sentire facilmente come propri. Grazie alla lettura data dall’attore, anche senza trascorrere mesi e mesi in mare orfano di ogni contatto col mondo (se non qualche rara telefonata), lo spettatore riuscirà a sentire la stessa spinta verso l’ignoto che ha portato il velista a rischiare la vita. Tutti, in fondo, abbiamo sentito almeno una volta il desiderio di superare noi stessi e, con altrettanta frequenza, abbiamo dovuto affrontare il peso del fallimento. L’evoluzione del personaggio e l’incrinatura della sua onestà, inoltre, sono espresse in modo tale da creare empatia e inducono automaticamente a chiedersi: cosa avrei fatto io in quel momento?
Molto amato da pubblico e critica, Colin Firth dà prova ancora una volta di un talento solido, che lo rende versatile e adatto sia a ruoli brillanti, sia a ruoli drammatici. Scena dopo scena, spogliatosi progressivamente delle convenzioni e del caos del vivere sociale, Crowhurst diventa puro pensiero e sensazione; Firth riesce a fare propri i pensieri astratti contenuti nei veri diari di bordo del marinaio, compiendo uno sforzo di immedesimazione fuori dal comune: ogni confessione, anche le più allucinate, diventano coerenti, ogni azione credibile. Ecco la forza di un grande attore, rendere familiare l’eccezionale e creare legami empatici in grado di esplodere e diramarsi ad ogni proiezione. Vedere per credere.