Il Signor Diavolo: spiegazione del finale del film di Pupi Avati

La spiegazione del finale de Il Signor Diavolo, ultima opera di Pupi Avati nelle sale dal 22 agosto. Ecco cosa accade nell'epilogo del film.

Il Signor Diavolo è un film di Pupi Avati, tratto dalle pagine del suo omonimo romanzo e pubblicato quasi in concomitanza con l’uscita del film nelle sale. L’esperienza di circa cinquant’anni nel mondo del cinema e della televisione, vanto di cui Avati può far sfoggio, suggeriscono l’impossibilità logica che un autore ha di rimanere fedele a un solo genere cinematografico per tutta la vita, ma rivelano anche qualcos’altro; rivelano che, giunto a questo punto della sua carriera, il regista è ormai in grado di maneggiare con agilità tutti i generi che gli anni gli hanno consentito di esplorare.

Il Signor Diavolo: recensione del film di Pupi Avati

E fra questi l’horror, sebbene sviscerato in una sola manciata di occasioni, occupa un posto di rilievo molto particolare. Certo, soprattutto negli ultimi anni Avati ha saputo fare della commedia la sua specialità, ma sono state le sporadiche incursioni nel macabro e nell’orrore ad avere un impatto di portata considerevole nel panorama cinematografico europeo (esemplare è in tal senso La casa dalle finestre che ridono, ma si ricordino anche i seguenti Zeder e Il nascondiglio), nonché un’eco che persiste nei tempi attuali e giunge ad avvolgere in quelle atmosfere anche la sua ultima opera.

Il Signor Diavolo cinematographe.it

Al centro delle vicende de Il Signor Diavolo c’è Furio Momenté, ingenuo protagonista modellato sul calco di quello Stefano cui Lino Capolicchio prestò corpo e voce ne La casa dalle finestre che ridono. Ispettore del Ministero di Grazia e Giustizia, Momenté viene invitato da Roma a risolvere un caso di omicidio che si è consumato in Veneto, ma la questione è a dir poco delicata: un bambino, di nome Carlo, ha ucciso un suo coetaneo credendo di uccidere nientemeno che il Diavolo. Lo spazio e il tempo di riferimento sono fattori cruciali: ci troviamo nell’Italia del 1952, e lo spostamento avviene dalla capitale al cattolico Veneto della Democrazia Cristiana, in cui le proporzioni di un caso come quello affidato a Momenté possono arrivare a toccare dimensioni impensabili.

Pupi Avati su Il Signor Diavolo: provocare e sollecitare [VIDEO]

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Parlare di ritorno alle origini, stavolta, è spontaneo: il fascino per le ambientazioni rurali, per un Nordest di provincia profondamente religioso e per la sua popolazione, la cui ostilità nei confronti del nuovo arrivato dalla Capitale non tarda a farsi sentire, rendono Il Signor Diavolo un film che conta più di un’affinità con il suo predecessore di oltre quarant’anni fa: anche Lino cercava di sbrogliare l’intrico di eventi che immergevano la provincia ferrarese in una melma scura di enigmi e omertà, e anche lui si ritrovava a fronteggiare una verità (celata fino all’emblematico e angosciante finale) sotterranea e ben più cupa di quanto non si fosse calcolato.

Un vero e proprio conflitto politico divampa a partire dal caso di cronaca nera: da una parte è schierata una mentalità di paese che affonda i propri credo nella superstizione, nella verità terribile (ma pur sempre rassicurante, in quanto certezza) di un Diavolo che si aggira nel mondo terreno vestito da comune umano, ed è questo un elemento che tradisce (o, meglio, comunica intenzionalmente) la convinzione naïf che il Male si annidi nel diverso, nell’emarginato Emilio. Si punta un faro sulla superficialità di un cattolicesimo ingenuo e fuorviante, che ancora fatica a non provare un sentimento di timore, aggressivo e mai reverenziale, nei confronti dell’elemento discordante della comunità. Dall’altra parte abbiamo una fazione rappresentata dal solo personaggio di Clara Vestri Musy (interpretata da una bravissima Chiara Caselli), madre della vittima che diffida della Chiesa dopo essere stata, per svariato tempo, sua sostenitrice politica, e che ha pagato le conseguenze della sua scelta con una sorta di esilio analogo a quello del figlio, per il quale dagli occhi del paese viene ora vista come una figura malfida.

Il finale de Il Signor Diavolo: cosa significa? [Attenzione: SPOILER]

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Il periodo in cui le vicende hanno luogo sono caratterizzate dall’assimilazione della religione da parte della politica, di un ritorno all’unità ben amalgamata di due facce dello Stato italiano in cui quella clericale si aggiudica sempre la maggior parte di spazio e influenza. Il background cattolico ed estremamente puritano della collettività descritta da Avati non permette agli individui di osservare la realtà attraverso il filtro di un raziocinio puro e del buonsenso. La scelta di far ricadere il peso della più grave colpa umana immaginabile sulle spalle di un bambino (quindi anche un minore) consente ad Avati di riflettere sul concetto stesso di maligno, costruendo uno schema in cui poter giustapporre continuamente i concetti di bene e male, di apparenza e verità, questa celata spesso dietro la prima.

Sin dall’inizio de Il Signor Diavolo, il sagrestano Gino (Gianni Cavina) specifica che non avrebbe mai più aperto una sorta di “porta dell’inferno” che conduce ai sotterranei della chiesa. In questo luogo, anni addietro, sarebbe stato ricacciato il Diavolo. Secondo una leggenda contadina, il giovane Emilio avrebbe sbranato a morsi la sua stessa sorellina, quando era ancora in fasce. Verso il finale del film, Gino confida a Momenté che il cadavere della piccola viene ancora conservato nei sotterranei della chiesa, sebbene la madre della vittima avesse negato che la morte della bambina avesse a che fare con Emilio.

EXCL Il Signor Diavolo: il misterioso Emilio in una scena dal film di Pupi Avati

A Momenté viene concesso l’ingresso per indagare meglio sui resti della piccola: quel che scopre è che il corpo non porta segni, eccetto quelli dello scorrere del tempo e della naturale decomposizione. Proprio in questo momento, le porte dietro di lui si chiudono lasciando che le ultime immagini visibili al protagonista, prima del buio totale, siano i volti impassibili del sagrestano e del piccolo Carlo, che a questo punto si rivelano essere il vero Male. Un male che consiste nel manipolare il pensiero e la capacità di giudizio di un’intera comunità attraverso il terrore e la minaccia, veicolati dallo strumento sempre efficace della religione, i cui rappresentanti sono spesso le uniche persone a custodire la verità e a non poterla rivelare per non ritrovarsi costretti alla rinuncia del potere che detengono, spesso interamente basato sulla menzogna.