In Good Company: spiegazione del finale del film con Dennis Quaid
Diretto, sceneggiato e prodotto da Paul Weitz, In Good Company è una commedia del 2004, sullo spietato mondo del marketing pubblicitario, nel periodo di transizione dal cartaceo al digitale.
In Good Company è la vicenda di Dan Foreman (Dennis Quaid), direttore di vendite pubblicitarie per la rivista “Sports America”, uomo molto stimato e con una solida famiglia alle spalle, che lo supporta: moglie e due figlie. Tuttavia, questo equilibrio iniziale si infrange quando riceve prima la notizia della nascita di un altro figlio e poi l’annuncio dell’inglobamento all’interno di una multinazionale della società per cui lavora. Il ruolo di Dan viene assegnato ad un giovane ventisettenne, ambizioso e promettente, Carter Duryea (Topher Grace), mentre lui viene degradato a braccio destro. Fin da subito emergerà una nascente simpatia tra Carter e la figlia maggiore di Dan, Alex (Scarlett Johansson), relazione che andrà pian piano a creare instabilità nell’economia della storia.
Negli ultimi sette minuti di In Good Company, vediamo Carter tornare in ufficio e per la prima volta veste in modo informale: dei jeans, una semplice t-shirt bianca, un’anonima felpa marrone che ben si amalgama alle tonalità dell’arredamento e con uno sguardo curioso sembra riscoprire per la prima volta quel luogo. Si dirige verso l’ufficio di Dan che saluta, esordendo con “Bell’ufficio!”; Foreman lo accoglie interrogandolo su come avesse vissuto quel periodo di inattività e a seguire gli propone di tornare a lavorare per lui come secondo pilota, ritenendolo un buon manager e un buon venditore.
Tuttavia, il giovane non sembra molto esultante, ma riconoscente della proposta ricevuta esprime per la prima volta la sua più grande incertezza: non saper cosa fare della propria vita; questo dubbio di Carter evidenzia come le sue esperienze lo abbiano portato a crescere prima del tempo: un matrimonio prematuro, una vertiginosa scalata professionale vissuti come un fuoco di paglia. Ma forte, è in lui, il desiderio di vivere una vita piena di emozioni e ricca come quella del suo interlocutore.
Dan sembra, in un primo momento, rimanere contraddetto da questa risposta negativa ma poi si rivela comprensivo, dimostrando tutta la sua approvazione e con queste parole si congeda: “Senti Carter, non ti devi preoccupare. Andrà tutto bene. […] Sei un bravo ragazzo”. Segue puoi un abbraccio commosso, una stretta di mano tra uomini e la promessa di non sparire.
Nell’uscire nell’atrio dell’edificio, il giovane si imbatte in Alex e subito tra i due inizia un dialogo, dove si raccontano, e lascia intuire a Morty che tra i due ci sia stato un trascorso; rimane, così, solo un “ciao” mentre vediamo la figlia di Dan sparire dietro le porte dell’ascensore e Carter allontanarsi.
In Good Company: “Il tempismo è tutto nella vita.”
La sequenza finale inizia con una dissolvenza da bianco che ci porta al primo piano del profilo del volto di Carter che intuiamo trovarsi a correre in un luogo indefinito; è in questo momento che riceve una telefonata e dallo scambio di battute capiamo subito che si tratta di Dan. Il giovane riferisce di trovarsi a fare jogging all’aria aperta; è in questo momento che la macchina da presa con una piccola panoramica a inseguimento crea un’apertura di campo che va a mostrare il paesaggio circostante, una solitaria spiaggia al tramonto, esaltata dai caldi colori del sole.
Il primo incontro con Alex, quello con Dan e l’attività fisica di Carter sono elementi che in una ciclicità si ripetono sia nell’inizio che nella fine di In Good Company; tuttavia, abbiamo potuto assistere ad un’evoluzione personale, professionale e negli intenti dei singoli personaggi. Infatti, i tre protagonisti, nel corso della vicenda, hanno vissuto una crescita che ha portato ciascuno di essi a maturare.
Infatti, in In Good Company, la nascita del terzo figlio rappresenta metaforicamente la comparsa di un nuovo sentimento filiale quello nei confronti Carter; proprio perché l’uomo si dimostra essere per il giovane come un padre, quella figura genitoriale da sempre assente nella sua vita. Così, quel rapporto professionale che per tutta la trama vive un lenta evoluzione finisce per diventare un sincero e rispettoso legame amicale, alla cui base non sono presenti interessi personali ma un’onesta conoscenza dell’altro.
Quest’ultima scena mostra Carter che si riappropria della propria esistenza, precedentemente schiavizzata dall’arrivismo lavorativo, dalla routine frenetica del lavoro e della frenesia della città di New York; grazie a questa fuga, il giovane può riprende, finalmente, coscienza di sé e della sua persona, rimpossessandosi, così, della propria libertà.
“Dan grazie. […] Credo per avermi insegnato un po’ di cose. Nessuno aveva mai perso tempo per sfidarmi prima di te o per insegnarmi qualcosa che valesse la pena imparare.”