Quella volta che James Caan diede degli str*** ai membri dell’Academy
Il ritratto di un divo “rancoroso”, che non smise mai di essere Sonny Corleone.
Infiammabile come quel Santino Corleone che gli diede la fama, amico di un mafioso, James Caan soffrì di depressione e dipendenze e non perdonò mai all’Academy di non averlo premiato.
Il suo volto fulvo dai lineamenti sottili, eredità ashkenazita – i genitori, Arthur, macellaio kasher, e Sophie erano ebrei immigrati a New York dalla Germania -, lo ha consegnato perlopiù a film crime-noir, nei quali alternò le parti, sovrapponibili nonostante il diverso posizionamento morale in virtù di una comune malinconica distanza dai fatti, di sbirri e gangster.
Eppure James Caan (1940-2022), venuto a mancare all’età di 82 anni, per tutti è stato soprattutto Santino ‘Sonny’ – in inglese suona come “figlioletto” – Corleone, figlio primogenito di Don Vito Corleone, da questo prediletto per la tempra infiammabile e l’impulsività nel gesto che, pur spesso scomposto e fuori misura, è sempre rivolto alla difesa della famiglia. Ricordiamo tutti che, per le stesse ragioni, anni dopo essere stato crivellato e ucciso, nel romanzo di Mario Puzo poi trasposto al cinema da Francis Ford Coppola, Sonny viene dolorosamente riconosciuto dal padre come fin dal principio inadatto alla leadership a cui pure aspirava, leadership infine assunta dal fratello minore Michael, ben più acuto e di temperamento posato.
James Caan, nel cast de Il padrino grazie allo sponsor Marlon Brando
Francis Ford Coppola, che nel 1970 soffiò la regia del film a svariati concorrenti di rango, era stato compagno di studi di James Caan e lo aveva diretto, appena l’anno precedente, in Non torno a casa stasera; tuttavia, non lo scelse subito per la parte: valutò, infatti, in primo luogo Robert De Niro, ma poi si diresse, in nome di uno scrupolo filologico, su attori di maggiore avvenenza poiché nel romanzo il personaggio a rigore è descritto come il più attraente dei rampolli Corleone. Dopo aver sottoposto Warren Beatty, Ryan O’Neal e Robert Redford a provino, Coppola decise, infine, di ascoltare Marlon Brando, già entrato nel cast per la parte del capofamiglia, il quale fin da subito aveva sostenuto Caan per il ruolo.
Anche per questo, nei confronti di Brando, Caan ha sempre manifestato amicizia e gratitudine. Proprio lo scorso febbraio, in occasione delle celebrazioni per i cinquant’anni dall’uscita al cinema del primo capitolo de Il padrino, Caan dichiarava: “Non ce n’è mai più stato uno come lui, più attore di qualunque altro attore mai esistito, gli volevo molto bene».
Non c’è mai stato nessuno più attore di Marlon Brando. Gli volevo molto bene. I membri dell’Academy, invece, sono una manica di str***
Diverso fu il suo atteggiamento nei confronti dell’Academy, rea di non avergli attribuito l’Oscar come miglior attore non protagonista nella corsa del 1973: Caan era candidato insieme al ‘fratello di sangue’ Al Pacino (per il ruolo di Michael Corleone) e al ‘fratello adottivo’ Robert Duvall (per il ruolo di Tom Hagen), ma la statuetta finì nelle mani di Joel Grey, interprete di Cabaret, di cui ebbe a dire: “L’hanno premiato perché ballava il tip tap!”. Senza dimenticare, tra l’altro, di apostrofare l’Academy come “una manica di str…“. Del resto, Caan non nascose mai di essere un uomo “terribilmente rancoroso“, tratto del carattere che lo avvicinava all’irruenza collerica del suo personaggio-feticcio.
James Caan e Francis Ford Coppola, uniti dal lutto
A lui si può dire sia capitato quel che spesso capita agli attori toccati dalla benedizione, che rapidamente volge nel suo contrario, di un ruolo memorabile, di non riuscire, cioè, a scrostarselo via, di restare aderente alla sua pelle fino alla fine dei giorni. Come Sonny, Caan nutriva nei confronti della famiglia d’origine un affetto viscerale, forse persino vischioso: quando, nel 1982, la sorella minore Barbara, a trentotto anni, muore a causa di una leucemia, non riesce a superare il lutto e trascina dietro di sé anni di depressione, dipendenza da cocaina e disimpegno.
Fino al 1987, resta inattivo. È poi lo stesso Coppola a convincerlo a tornare a recitare: il regista, come il suo attore e amico, soffriva a causa della perdita del figlio Gian-Carlo, morto in un incidente nautico all’età di ventidue anni. Insieme realizzano Giardini di pietra, un film scandito da accenti elegiaci, quasi sentimentali, iconograficamente segnato dalle bare dei giovani caduti durante la guerra del Vietnam, vite recise anzitempo dall’insensatezza del guerra e rese metafora della precarietà di ogni esistenza.
Un paio di anni dopo, a Caan sarebbe arrivata la chiamata di Rob Reiner per Misery non deve morire, il lungometraggio tratto dal romanzo di Stephen King che segnò la sua rinascita professionale. A dispetto del rinnovato successo, faticò ancora a lasciar andare Sonny. Testimonianza di ciò, l’ombra rappresentata dall’amicizia mai rinnegata con JoJo Russo, un mafioso statunitense di origini siciliane che, a metà degli anni Ottanta, divenne capo dell’organizzazione criminale che controllava la maggior parte del territorio occidentale di Boston, giudicato colpevole di estorsioni, omicidi, furti e spaccio all’inizio della decade successiva.