Jaume Balagueró: i film del regista de La Settima Musa
James Balagueró, diventato celebre con [Rec], è uno dei maggiori esponenti del cinema horror europeo contemporaneo. Scopriamo le caratteristiche del suo cinema e i suoi film meno conosciuti
Uno dei film più attesi dell’imminente inizio della stagione cinematografica è La settima musa di Jaume Balagueró, horror che uscirà nelle sale italiane il 22 agosto. Balagueró è famoso soprattutto per avere ideato e diretto, in collaborazione con Paco Plaza, [Rec] e i successivi sequel e prequel che negli anni hanno composto una delle saghe più significative del cinema dell’orrore contemporaneo. L’uscita di [Rec] avvenne in un periodo in cui l’horror spagnolo viveva una stagione floridissima, apparendo come il principale alfiere continentale della paura sul grande schermo grazie a film genuinamente inquietanti pur nel loro tradizionalismo come The Orphanage di Juan Antonio Bayona, a fiabe cupe e con un sottofondo di tenerezza come La Madre di Andrés Muschetti – prodotto da Guillermo Del Toro – e soprattutto grazie a Jaume Balagueró. Il regista può essere considerato parte del tridente che, in epoca contemporanea, è stato decisivo nello sviluppo di questa stagione dell’horror iberico, insieme a Guillermo Del Toro e alla sua “duologia” dedicata alla guerra civile spagnola (La spina del diavolo e Il labirinto del fauno) e a Alejandro Amenabar (dall’indipendente Tesis al blockbuster The Others).
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Jaume Balagueró: le caratteristiche della sua poetica horror
Balagueró è autore di un horror molto esplicito, carnale e violento che non nasconde il sangue, la violenza e i particolari più adatti a stomaci forti che agli amanti della paura suggerita, e che in questo modo rende “concrete” le situazioni dichiaratamente soprannaturali di fondo. Allo stesso tempo però la crudezza non appare fine a se stessa, ridondante o gratuita. Il suo, in particolare nella prima parte della carriera, è infatti un cinema che mischia la sgradevolezza dell’approccio esplicito alla violenza e al sangue con la più sottile inquietudine delle atmosfere soprannaturali e gotiche. È anche un tipo di horror estremamente cupo, apocalittico e talvolta quasi cinico nella sua durezza, come dimostra l’assenza di qualsivoglia lieto fine, anche vago o parziale, e del minimo senso di speranza e di salvezza. In questo modo, il regista, perlomeno nelle sue opere più riuscite, riesce a cogliere le possibilità quasi catartiche tipiche del genere di mettere di fronte lo spettatore all’indicibile, al perverso e al male, turbandolo e favorendone una rielaborazione. Talvolta, proprio per la centralità della violenza delle azioni e reazioni umane, il suo è inoltre anche un horror che assume un chiaro significato psicologico; lo si vede in particolare nel sottovalutato Bed time (2011).
Jaume Balagueró: gli esordi
Prima del successo e della consacrazione arrivate con [Rec], Jaume Balagueró ha saputo giocare con archetipi e stereotipi del genere, coltivando il suo talento visivo e mostrando una capacità di spaventare senza ricorrere a trucchetti, anche se talvolta solo in singole sequenze e in dettagli di film complessivamente non riuscitissimi. Significativo di ciò è Darkness (2002), rilettura del cliché delle case maledette e stregate e delle eredità che i nuovi coinquilini ricevono da fatti di sangue e di terrore del passato. Non ci troviamo di fronte ad un film particolarmente riuscito; è un horror prevedibile e pure un po’ caotico, anche perchè Balagueró, autore di quasi tutte le sceneggiature dei suoi lavori, ha sempre dimostrato di essere più bravo con la cinepresa che con la scrittura. Il film però, pur non salvandosi del tutto, guadagna punti e tensione nel finale grazie al climax sanguinolento, ad una manciata di buone soluzioni di regia e alla capacità dell’autore di unire il disagio della violenza esplicita all’inquietudine delle atmosfere, esaltate a livello visivo come a livello sonoro. Una base altrettanto tradizionale e una capacità molto simile di lavorare con cliché e archetipi esaltando il proprio talento in singole sequenze e in dettagli caratterizzano anche il più compiuto e affascinante horror gotico Fragile – A ghost story (2005), dove a essere maledetto è un ospedale pediatrico di una piovosa e tetra isola della Gran Bretagna.
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Jaume Balagueró: [Rec] e la consacrazione
Nel 2007 [Rec] diventa il punto di svolta della carriera di Balagueró, la sua consacrazione. Il film è realizzato con la tecnica del Found footage e può essere inserito nel filone del mockumentary. Assistiamo infatti alla diretta di un programma televisivo, per il quale una giovane e combattiva giornalista e il suo cameraman devono documentare la nottata di una pattuglia dei pompieri. Non sarà una nottata qualunque, non ci saranno incendi da spegnere né gattini da salvare. I pompieri, la giornalista e gli spettatori si ritroveranno bloccati all’interno di un palazzo dove la situazione diventerà sempre più apocalittica. Il punto di forza del film è il fatto che la poetica del Found footage non appare come un trucco; le sue potenzialità di ridurre le distanze tra le condizioni e le sensazioni dei personaggi e quelle dello spettatore sono in qualche modo portate alle estreme conseguenze e rese con un minor senso di artificio rispetto al altre opere simili – si paragoni la tensione costante del film in questione agli spaventi che subito svaniscono dei, per esempio, Paranormal activity e dei loro jumpscare. La sceneggiatura è minima, così come le spiegazioni di ciò che avviene sono ridotte all’essenziale e seguono la totale aderenza tra le consapevolezze dei personaggi e quelle di chi osserva. Traspare davvero la sensazione di essere immersi in una lunghissima soggettiva, e davvero c’è la sensazione che la “quarta parete” sia molto fragile. In questo modo lo spettatore viene immerso nell’incubo dei personaggi partecipando al loro terrore, e l’inquetudine e gli spaventi sopravvivono alla visione e ai titoli di coda. Anche grazie, ancora una volta, alla violenza esplicita e ai particolari sanguinolenti, esaltati pure dal fatto che il contesto (una palazzina e i suoi variegati abitanti) è quotidiano e riconoscibile.
Jaume Balagueró: Bed time e l’horror reale
[Rec] diventerà una saga e Balaguerò dirigerà il secondo e il quarto capitolo, lasciando al sodale Plaza il terzo. Come tutte le saghe man mano diventerà sempre più ripetitiva, continuando però a garantire una discreta dose di inquetudine e spaventi. [Rec] inoltre è in qualche modo più realistico rispetto alle opere precedenti del regista. Il timore di un’epidemia e la sensazione di un’apocalisse più o meno metaforica sono paure reali che negli ultimi anni molto cinema, horror e no, ha intercettato e metaforizzato. Del resto, gli zombie sono, da Romero in poi, i “mostri” più adatti ad una lettura sociale, politica e “realistica”. Il realismo diventa però esplicito in quella che probabilmente è l’opera – almeno da noi – più sottovalutata di Balagueró: Bed time (2011). Qui non c’è l’ombra di paranormale, di fantastico o di soprannaturale. È un’immersione nella malattia, nella cattiveria, nella perversione e nell’ossessione umana. È la storia di un portinaio di uno stabile del centro di Madrid che soffre di una particolare forma di sociopatia; non riesce ad essere felice, e rimedia provocando l’infelicità altrui. La sua vittima preferita è una gioviale e ottimista inquilina dello stabile. Il protagonista farà di tutto per rovinarle la vita, narcotizzandola ogni notte in modo da avere mano libera nella sua opera di distruzione fisica e morale e arrivando fino alle estreme conseguenze, riassunte in un finale potente e quasi spiazzante nella sua cattiveria. L’approccio di Balagueró è ancora una volta diretto, al limite questa volta di un consapevole cinismo, e ancora una volta quasi del tutto privo di filtri che ammorbiscano almeno in parte la sostanza della perversione raccontata. In questo modo Bed time diventa una quasi insostenibile radiografia del male più puro e gratuito, nascosto e quotidiano.