Jean-Luc Godard e Anna Karina: storia di un grande amore. Intenso, folle e doloroso
Dall’incontro su un set pubblicitario alla precipitosa rottura, senza dimenticare il rifiuto iniziale di lei di diventare sua attrice e il momento per loro più doloroso: la morte del figlio. Ricostruzione di una relazione iconica, consumata in fretta, tra alti e “bassissimi”.
Jean-Luc Godard si è spento martedì 13 settembre 2022 a Rolle, in Svizzera, dopo essere ricorso al suicidio assistito. Tra le immagini che sono circolate sul web a poche ore dall’annuncio della morte ce n’era una, diffusa dall’account @retro__couples, che lo riprendeva di spalle, trentenne strizzato in un maglioncino, nell’atto di abbracciare colei che è stata il suo primo grande amore adulto: Anna Karina. La didascalia del post riferisce: Together Again. Ora sono “insieme di nuovo”, quasi che il ricongiungimento oltremondano con la donna amata sessant’anni prima possa delinearsi quale pensiero consolatorio, parziale risarcimento del sacrificio della vita attraverso la restituzione di un affetto perduto.
Benché dopo di lei Godard abbia amato altre due Anne – Anne Wiazemsky, a cui, tra la fine dei Sessanta e per tutto il decennio successivo, ha reso la vita impossibile, come mostra anche il film Il mio Godard di Hazanavicius, e Anne-Marie Miéville, la fotografa restatagli accanto fino alla fine –, nell’immaginario collettivo è Anna Karina, scomparsa nel 2019 a causa di un cancro, la Musa per eccellenza, la compagna indimenticabile di vita e d’arte. “Non era solo mio marito, ma anche mio fratello e mio padre. Il mio Pigmalione. Lui mi ha insegnato tutto”: con queste parole era solita ricordare colui che fu, per lei, croce e delizia, occasione di continua crescita e ragione di continue destabilizzazioni. Geloso degli altri registi con cui lavorava, con lei tenero ma spesso anche furibondo, la lasciava per giorni sola senza avvertirla che se ne sarebbe andato, non tanto alla ricerca di altre donne, ma in ascolto dei suoi pensieri, sequestrato dalle sue fantasie d’evasione.
Quando nasce un amore: l’incontro nella vasca da bagno
È proprio Anna Karina il volto simbolo della Nouvelle Vague: con la frangetta che volteggia sulla fronte spaziosa e gli occhioni perennemente sgranati, incarna la libertà, la grazia spontanea e ingenua del nuovo cinema, nato in contrasto con il canone, con una tradizione che si è fino a quel momento servita di effetti speciali e di logiche industriali per colpire il suo pubblico imbolsito di fronte ai cliché. Rappresenta l’elegante nonchalance di cui la Nouvelle Vague contribuisce a consolidare l’identificazione con un modo di concepire la femminilità peculiarmente francese e nessuno sospetterebbe infatti che Anna Karina – nata come Hanna Karin Blarke Bayer; il nome d’arte è un’idea di Coco Chanel – viene invece dalla Danimarca, figlia di una ragazza madre che l’ha lasciata crescere ai nonni. Di classe sociale inferiore a quella a cui appartiene Godard, che proviene da una famiglia alto-borghese di medici e banchieri, è negli anni della loro unione per questa ragione risolutamente osteggiata dalla famiglia di lui.
I due si conoscono quando lei, appena arrivata a Parigi, gira alcuni spot pubblicitari – viene filmata sfregarsi il corpo con prodotti saponieri dentro una vasca piena di bolle – e Godard, folgorato, le propone di prendere parte al suo film d’esordio Fino all’ultimo respiro. Anna Karina rifiuta perché la sceneggiatura contempla una scena di nudo e a lei non va di spogliarsi. “Ma come“, protesta Godard, “se ci siamo conosciuti su un set pubblicitario in cui recitavi all’interno di una vasca da bagno?” Lei risponde che, dentro quella vasca, era coperta da bolle; nulla del suo corpo si vedeva. Tre mesi dopo, Godard torna all’attacco: le invia un telegramma in cui le chiede se è disposta ad assumere il ruolo di protagonista nel film che sta scrivendo: Le pétit soldat. Lei gli chiede se sono previste scene di nudo; lui la rassicura: si tratterà di un film politico, sulla guerra d’Algeria. Affare fatto. È l’inizio di un amore.
Jean-Luc Godard e Anna Karina. La gioia del matrimonio e il dolore per la perdita del figlio
“Godard dirigeva noi attori come fosse un coreografo: non ci diceva cosa fare ma si muoveva tra noi, quasi danzando. Le prove erano infinite: provavamo e provavamo, ma tutto fluiva naturalmente, quasi fosse la vera vita”, Anna Karina avrebbe ricordato in questi termini la sua prima esperienza come attrice di un film. Godard non era solito dare indicazioni ai suoi interpreti, ma li spingeva a dedurre ciò che da loro avrebbe voluto. Lei non faceva eccezione. Con Anna Karina inizia a costruire il suo terzo film, La donna è donna, appena concluse le riprese de Le pétit soldat, condannato alla censura e, per questo, uscito nelle sale con tre anni di ritardo. Durante la lavorazione de La donna è donna, opera che è anche “saggio” sulla loro relazione di coppia, Godard e Karina si sposano con una cerimonia religiosa, molto mediatica: anche dopo la loro dolorosa rottura, lei avrebbe ricordato quel giorno – il 3 marzo 1961 – come “il più bello” della sua vita.
Di lì a poco la felicità coniugale, però, si incrina: Anna Karina perde al settimo mese di gravidanza il figlio concepito all’interno della loro unione. Non ne avrebbe mai avuti altri – come Godard stesso, del resto – e, alle domande dei giornalisti sul suo rapporto con quel lutto, si sarebbe sempre rifiutata di rispondere.
Godard, nel suo film successivo Questa è la mia vita, sceglie non a caso di adottare il bianco e nero: il film asseconda una tonalità lugubre che corrisponde al sentimento dell’autore, affranto per la perdita del suo bambino. La coppia gira insieme, furiosamente, altri tre film – il più difficile, Band à part (1964), seguito da Il bandito delle 11 (1965) e da Una storia americana (1966) – prima di separarsi definitivamente: nel luglio 1967, Godard, che aveva orrore del passare del tempo, sposa l’allora minorenne Anne Wiazemsky, discendente di una famiglia aristocratica russa, diretta appena qualche mese prima nel lungometraggio La cinese.
Anna Karina si sarebbe, invece, sposata, senza incontrare se non fugacemente la felicità, altre tre volte nel corso della sua vita. Nei confronti di quel primo amore geniale, un amore consumato in fretta e, per sua stessa ammissione, “tra alti e bassissimi”, Karina conserva fino alla fine la gratitudine e l’amarezza, memorie emotive di una stagione sentimentale e professionale tanto irripetibile quanto precipitosamente consegnata alla caducità e al fallimento.