John Ford: i 10 film migliori di un poliedrico mito senza tempo
L’1 febbraio 1894 nasceva John Ford. Pipa in bocca, occhiali da sole che non nascondono lo sguardo perennemente imbronciato e collerico, berretto da marinaio sul capo, il piglio da Capitano senza macchia e senza paura, pronto a condurre la sua nave in ogni mare in burrasca. Questo era John Ford, il più grande regista americano di tutti i tempi, secondo Orson Welles “il più grande di sempre”.
Di certo è stato il regista che più di tutti ha saputo diffondere il mito dell’America in tutto il mondo, in un periodo storico (tra la fine degli anni Trenta e la prima metà degli anni Sessanta) dove gli Stati Uniti erano il paradiso, la Camelot dell’Occidente, il luogo dalle mille possibilità. Da Wim Wenders a Sergio Leone, da Clint Eastwood a Martin Scorsese, non c’è regista che non abbia avuto in Ford un modello, un totem, un esempio.
E se il suo nome è legato in modo inestricabile al western (e al suo attore feticcio John Wayne) è anche vero che Ford ha sempre saputo destreggiarsi anche con altri generi, sempre con maestria, conquistando premi su premi ed entusiasmando il pubblico: il war movie, la commedia romantica, il thriller, l’avventuroso, il documentario, ognuno di questi generi è stato affrontato con successo da un regista dallo stile inconfondibile, capace di ricreare sullo schermo le emozioni più diverse e contrastanti.
Sfida Infernale
Girato nell’immediato dopoguerra, è uno dei tanti film western che hanno cercato di ricreare la leggendaria sparatoria all’OK Corrall, con i fratelli Earp e Doc Holliday da una parte, e la banda dei Clanton dall’altra, in un episodio leggendario dell’epica western. Questo film di Ford si avvale di un Henry Fonda in stato di grazia, coadiuvato da un cast di primissima grandezza, da una fotografia perfetta e un’ ottima sceneggiatura. Ford si dimostra qui capace di creare sullo schermo uno dei film stilisticamente più innovativi di sempre.
Alcune inquadrature e momenti del film sono stati ripresi migliaia di volte da fumettisti, pittori, e naturalmente decine di altri cineasti, facendo di Sfida Infernale un momento di svolta assoluto nella storia del cinema. Dal punto di vista tematico, è un film che porta sullo schermo i principali temi cari a Ford: l’amicizia virile, la vendetta, l’individualismo e l’idealismo americano al suo livello più classico.
Su tutto domina l’omaggio di Ford agli operosi coloni, coloro i quali fecero sorgere da deserti e pianure l’America; quelle maestre, preti e contadini che avrebbero un giorno ereditato la terra lasciata insanguinata da pistoleri senza paura e senza futuro. Da non perdere!
Il Grande Sentiero
Ford è passato alla storia come il più Hollywoodiano dei registi, soprattutto per quello che riguarda il suo rapporto con il genere western. A partire dagli anni sessanta i suoi film furono duramente criticati per l’immagine negativa e sovente squallida che dava dei nativi americani, rappresentati più che come nemici quasi come alieni, forme di vita estranee a questo pianeta. In realtà Ford rappresentava il punto di vista dei bianchi verso una civiltà, quella dei pellirosse, con la quale era inevitabile lo scontro, la guerra e una sanguinosa quanto ingloriosa vittoria.
Eppure il regista in età avanzata tentò con Il Grande Sentiero di fare mea culpa, purtroppo senza fortuna, visto che questo lavoro era destinato ad essere poco apprezzato sia da pubblico che dalla critica. Il film è una ricostruzione della disperata e fallimentare marcia verso la libertà compiuta nel 1885 dagli ultimi Cheyenne, capitanati da Piccolo Lupo, destinata a concludersi nel sangue e nel dramma per gran parte di loro.
Affidandosi a Richard Whymarck, (John Wayne come paladino degli indiani sarebbe stato troppo!) Ford creò un film che anticipava in modo netto quel filone passato alla storia come “western crepuscolare”. L’atmosfera è cupa, presaga di morte, e mostra come pochi altri la morte della Frontiera, del West, che lascia posto ad una civiltà dominata da burocrati, politici senza morale e affaristi. Un film all’epoca sottovalutato ma da riscoprire e rivalutare.
Furore
Non è mai facile portare sullo schermo un romanzo, è sempre come lanciare una moneta. Ma Furore di John Ford è uno dei migliori esempi di sempre, ed è un’ennesima prova delle capacità e della maestria del regista, capace di ricreare sullo schermo (pur con qualche variazione) la tragedia della Grande Depressione descritta da John Steinbeck nel suo più celebre romanzo. Henry Fonda presta le sue notevoli qualità di attore al protagonista, il povero ma orgoglioso Tom Joad, membro di un’ umanissima e disperata famiglia, che si aggira per l’America della grandi pianure, dove ormai non vige altra legge che quella del più forte.
È in assoluto il miglior film mai fatto sull’epoca più tragica degli Stati Uniti contemporanei, e fu la vera e propria consacrazione di John Ford, che dimostrò un anno dopo Ombre Rosse di non essere solo un regista di film su cowboys e indiani. Etichettato come “conservatore” da sempre, Ford creò uno dei film più progressisti e di sinistra che si ricordino, tanto che per avere un maggior realismo, bandì il make up sugli attori. Un film di una bellezza straziante, premiato con due Oscar su ben sette nominations: uno a Ford per la Regia e uno a Jane Darwell per Migliore Attrice Protagonista. Furore è stato inserito già nel 1989 tra i film conservati nel National Film Registry ed è considerato tra i primi trenta film americani di sempre.
I Sacrificati
A guerra ancora in corso, John Ford girò un film bellico, inerente una delle prime e più cocenti sconfitte subite dagli americani contro i Giapponesi, in quelle Filippine che aprirono al Sol Levante le porte del Pacifico e fecero temere ad alcuni l’imminente invasione del paese. Ce ne vuole di coraggio per fare un film così antimilitarista, realista e critico verso gli stessi generali (MacArthur in primis) che ormai vivevano nello status di eroi della patria un giorno sì e l’altro pure. Ma questo film è la prova del coraggio di un regista che seppe sempre osare, innovare e spiazzare. Il titolo originale faceva riferimento all’aver sacrificato volontariamente i soldati statunitensi, al loro essere senza valore, per loro stessa scelta, nell’ottica strategica di una guerra dove la vita umana non valeva nulla.
È un film aspro, toccante, immune alla retorica trionfalistica che di lì a qualche tempo avrebbe fatto del war movie qualche cosa di molto simile alla propaganda pro USA. Ispirato alla vera storia del tenente John Bulkeley, amico di Ford ed eroe di guerra a bordo di quelle PT Boats, sulle quali si erge il confronto machista tra Robert Montgomery (il protagonista) ed un inedito John Wayne, nei panni di un ufficiale carrierista, egoista ma pronto al riscatto. Sottostimato e sottovalutato, uno dei più bei war movies di sempre.
Il Massacro di Fort Apache
Sempre in tema di conservatorismo (l’accusa più frequente rivolta a John Ford) è da segnalare questo film, da sempre una delle pellicole più amata di Ford, parte di una trilogia western che tra la fine degli anni 40 e gli anni 50 fece di lui e John Wayne una delle coppie più vincenti della storia del cinema. Il Massacro di Fort Apache fu uno dei primi western ad allontanarsi dalla retorica tout-court dell’epica americana, donando una nuova visione sui pellirosse dipinti non più come selvaggi infingardi ed urlanti, ma come uomini e donne, decisi a lottare per se stessi.
Il film è sublimato dall’eterno confronto tra due monumenti del calibro di John Wayne (certo non poteva mancare) ed un Henry Fonda che, con la sua performance, si ispirava chiaramente al coraggioso ma vanaglorioso George Amstrong Custer, figura controversa e che è sempre stata dipinta in due modi da Hollywood: o come un eroe perfetto, bellissimo e puro nel suo martirio pro-civiltà, o come un generale stupido e immorale, capace solo di sterminare indiani inermi e di portare al massacro i suoi uomini.
Questo film si pone a metà strada in molte cose. A metà tra un western revisionista e uno conservatore, tra un’agiografia della conquista del West e una sua condanna, tra il grande classico e la sperimentazione. Rimane uno dei più riusciti, poetici e coraggiosi film di John Ford.
Soldati a Cavallo
La Guera Civile americana, il primo conflitto moderno, ha ispirato capolavori come Via col Vento, Ritorno a Cold Mountain, Glory e tanti altri. Questo film di John Ford narra la storia di un reparto di cavalleria dell’esercito nordista, incaricato di una missione speciale al culmine della Guerra di Secessione, quando la vittoria del nord cominciava a delinearsi.
Il colonnello Benjiamin Grierson (ebbene si ancora lui il nostro John Wayne) comanda un reparto di bravi soldati, ed è rispettato ed amato da ognuno dei suoi uomini. L’unico con cui non riesce a legare è l’ufficiale medico, l’arcigno Henry Kendall (un bravissimo William Holden), che si ribella ogni volta che può alla sua autorità. Quando poi, avanzando in territorio sudista, si imbattono nella giovane e ribelle ereditiera confederata Hannah Hunter (Constance Towers), il loro rapporto diventa burrascoso.
Si tratta dell’unico film in cui John Ford si concentra sulla Guerra Civile, ha un tono leggero, ma che – dietro la facciata avventurosa – mette in scena un’aspra critica alla guerra, vista come follia e caos organizzati, che proprio nella Guerra Civile ebbero un apice le cui conseguenze sono vive ancora oggi. Rimane tuttavia un film western, più che un film di guerra, e lo dimostrano le tematiche, trasmesse attraverso i personaggi e l’ambientazione: uomini duri ma onesti, donne coraggiose, una natura ancora quasi incontaminata che circonda il fiorente cammino dell’uomo, l’onore, il rispetto.
I Dannati e gli Eroi
In quasi tutti i film western, viene taciuta la presenza degli afroamericani (se non nei panni di ubbidienti schiavi o corpulente serve), dei cinesi (se non in tono caricaturale), mentre gli ispano americani o sono dei banditi o dei tavernieri leccapiedi. John Ford con I Dannati e gli Eroi, riuscì a creare un precedente che gli fa onore, non solo e non tanto per l’aver fatto un grandissimo film, ma per aver reso giustizia al ruolo degli afroamericani nell’epopea americana.
Qui il protagonista è il valoroso Sergente Rutledge dei Buffalo Soldiers, che si trova accusato di stupro e duplice omicidio ai danni di una giovane ragazza bianca e del padre, il comandante del Forte. Disperato e sicuro di non poter avere un giusto processo in un tribunale di bianchi, il Sergente diserta, inseguito dal Tenente Tom Cantrell. Rutledge però successivamente si riunisce ai suoi inseguitori, ex commilitoni, per salvare una giovane colona dagli apache, convincendo Cantrell a difenderlo nel processo che lo attende al Forte.
Il film è a metà tra il thriller giudiziario e il western classico, ennesima prova della genialità di John Ford che seppe creare un film avventuroso, pieno di tensione, con i bellissimi paesaggi della Monument Valley a fare da contorno alla performance di un cast dove oltre a Jeffrey Hunter (sfortunata carriera la sua), vi sono lo statuario Woody Strode e Billie Burke. Quello che Ford mette in atto non è tanto un processo ad un personaggio, quanto un processo al razzismo, all’intolleranza e ai soprusi che gli afroamericani hanno dovuto subire per tutta la loro storia e che proprio in quel 1960, con le lotte per i diritti civili, avrebbero cominciato ad avere la loro riscossa. Un film intenso, intelligente, mai banale.
L’Uomo che uccise Liberty Valance
Non poteva certo mancare questa perla dal nostro elenco. Forse il film più rivoluzionario di John Ford dal punto di vista tematico, il più politico, il più duro dietro la scorza di ennesima avventura western tra buoni e cattivi.
Protagonista è il giovane, onesto, idealista ma debole Ramson Stoddard (un James Stewart semplicemente perfetto), avvocato che cerca di difendere il diritto e l’ordine nel West senza la pistola ma con un piccolo giornale. Impresa ardua e oggettivamente impossibile, sopratutto perché il bandito Liberty Valance (il carismatico Lee Marvin) è stato assoldato da dei proprietari terrieri per seminare il terrore nel territorio.
Solo il valoroso Tom Doniphon (John Wayne, chi sennò?) è pronto a lottare assieme a lui.
Il tutto sfocerà in uno dei finali più malinconici e politici di Ford, che si scaglia contro la politica, il malaffare, l’opportunismo che sono succeduti all’onore, la rispettabilità e il coraggio della frontiera. Film girato praticamente solo per interni, è anche e soprattutto un’opera in cui sono chiari i riferimenti a gran parte della Filosofia della Politica di eredità classica, nonché una riflessione su verità e apparenza nel mondo moderno. Un evergreen.
Sentieri Selvaggi
Opera di mirabile concezione e realizzazione, straordinaria bellezza estetica, con paesaggi in grado di togliere il fiato, che si ammanta della tragicità cara alla tradizione della classicità antica, è un film sulla vita, sulla sua mutevolezza, su come l’uomo sia portato a cambiarla e ne venga cambiato suo malgrado.
È senza alcun dubbio la più grande interpretazione di John Wayne, quella che (ben più di Ombre Rosse o Il Grinta) ne ha consegnato l’immagine ai posteri.
Ambientato nel Texas del 1868, narra la storia di Ethan Edwards, reduce della Guerra di Secessione, tornato a casa dopo la guerra dalla sua famiglia, in cerca di pace e tranquillità. Tuttavia un’attacco degli indiani Comanche lascia Ethan e il nipote Martin (Jeffrey Hunter) alle prese con una situazione drammatica: il fratello di Ethan, la moglie e tutti i componenti della famiglia uccisi, con l’eccezione delle due ragazze più giovani, rapite. Sarà l’inizio di un inseguimento (una ricerca) che durerà anni e porterà Ethan e Martin per tutto l’ovest selvaggio, in un’odissea intricata e pericolosa. Alla fine nessuno dei due sarà più come prima.
Accolto in modo discordante dalla critica (che in parte accusò John Ford di razzismo e addirittura sadismo), è un film che nel panorama western non ha pari per profondità dei personaggi, evoluzione, capacità di saper suscitare le più diverse emozioni nello spettatore e stupirlo.
L’Ethan di John Wayne attinge all’epica shakespeariana e classica, ergendosi a protagonista di un percorso di formazione dove odio e vendetta cedono il passo poco a poco a compassione e umanità. È alla dodicesima posizione tra i più gradi film statunitensi di tutti i tempi e dal 1989 è stato selezionato per la conservazione nella Biblioteca del Congresso degli Stati Uniti. Semplicemente imperdibile.
Ombre Rosse
Il più importante film western di tutti i tempi. Senza se e senza ma. Una pietra miliare della cinematografia mondiale, dal punto di vista narrativo, tecnico, concettuale. Ogni istante, ogni suono, ogni inquadratura è storia del cinema di fronte ai nostri occhi; ha creato un genere, lo ha strutturato, lo ha definito, ogni film, romanzo, serie tv o fumetto western ha avuto questo lungometraggio del 1939 come punto di riferimento. La sua influenza è andata oltre, contaminando il poliziesco, il war movie, il road movie, l’horror…ogni genere
Basato su un romanzo di Moupassant, modificato per l’epica del Far West in alcune parti, ha lanciato il cinema verso una nuova frontiera: quella della metafora visiva e narrativa.
La diligenza, il viaggio, tutto questo non è fine a se stesso, ma metafora dei tempi, della società, del vivere dell’uomo moderno. Il tutto serve a parlarci della nostra doppiezza, della doppia faccia pirandelliana che ognuno di noi indossa, con realtà e apparenza che si abbracciano e si strangolano, mostrando l’ipocrisia della vita moderna.
John Wayne ferma non solo la diligenza ma anche la sua essenza, ferma noi, il cinema, entrando nel mito, nella cultura pop, nella coscienza collettiva.
Anche lui, come tutti i personaggi di questo capolavoro, ha uno scopo, un significato, un posto nella storia degli uomini del loro stare assieme, concepita da un regista capace di portare quello che era un semplice sottogenere abitato da pistoleri e damigelle, ad un livello di complessità per il quale non smetteremo mai di essergli grati.