Johnny Depp vs Amber Heard: così il processo si fa specchio della nostra incapacità sociale
Nel processo Johnny Depp-Amber Heard, ha vinto la verità processuale, ma la realtà è più complessa delle nostre tifoserie.
Dopo sei settimane di processo, diffuso mediaticamente via YouTube e altamente spettacolarizzato sui canali social a rilascio immediato come Tik Tok, nonché quasi tredici ore di deliberazioni in camera di consiglio, è arrivato il verdetto che assegna un lauto risarcimento – 15 milioni di dollari, a fronte dei 50 richiesti – a Johnny Depp per essere stato diffamato dall’ex moglie Amber Heard (che lo aveva accusato di violenza domestica) e avere, per questo, perduto reputazione e occasioni di lavoro.
La verità processuale, di per sé un’approssimazione, ma la più vicina al piano di realtà secondo le logiche della giustizia umana, è stata, infine, stabilita e chiude (per ora) non solo un caso giudiziario lungo e complicato ma anche una dinamica relazionale di raro squallore che nel caso giudiziario in oggetto ha trovato la sua propaggine terminale.
Johnny Depp versus Amber Heard: un processo spettacolarizzato che ha polarizzato il suo “pubblico”
Al di là delle implicazioni morali della vicenda, che non ci interessa né compete esplorare, il processo che ha visto l’uno contro l’altra i due ex coniugi ha assunto la funzione di termometro di un’incapacità oggi sempre più radicata nella nostra società: quella di sostare nelle zone grigie e di sostenere un pensiero che non sia polarizzato.
Le tifoserie che si sono sollevate a difesa dell’uno o dell’altra pagano lo scotto di un eccesso di ideologizzazione: molti di quelli che hanno difeso Depp e si sono scagliati contro Heard spesso lo hanno fatto non per simpatia personale o affetto nei confronti del personaggio pubblico, ma perché l’attrice avrebbe, con le sue bugie, invalidato tutto il lavoro fatto dalla attiviste sull’onda del MeToo, causando un grave contraccolpo alla causa.
L’argomentazione alla base del sostegno all’una o all’altra parte si è spesso radicata su un piano ideologico, non emotivo. La nostra emotività, e quindi la nostra componente più irrazionale, è stata assorbita dal pensiero ideologico che, in quanto tale, è pseudo-razionale e ci offre garanzie solo apparenti di un controllo sulla realtà che, invece, sembra sfuggirci sempre di più proprio perché il reale non si lascia interpretare facilmente e, soprattutto, non si lascia interpretare fino in fondo, in modo definitivo.
Depp e Heard: simboli prima che persone
In Depp e Heard molti hanno visto il potenziale simbolico prima ancora del materiale umano; hanno nondimeno visto il maschio e la femmina anziché la persona con una struttura psichica non riconducibile al genere, quasi che essere (anatomicamente) maschio e femmina si debba tradurre per forza in una disposizione a perpetrare il male e a subirlo, senza contemplare la possibilità che i ruoli, in una coppia (da intendersi non solo in senso sentimentale), non sono mai granitici, bensì suscettibili di scambi, ribaltamenti, inversioni impreviste, di rispecchiamenti e identificazioni che rendono impossibile stabilire il confine tra soggetto e oggetto.
È vero che sono tanti quelli che hanno sottolineato che in una relazione tossica non esistono vittime e carnefici: spesso anche chi è oggettivamente una vittima, perché subisce le angherie altrui, si compiace inconsciamente della propria condizione, in quanto questa gli o le assicura dei vantaggi narcisistici, o comunque patisce una dipendenza di cui è parte attiva, pur nell’apparente passività. È altrettanto vero che molti hanno evidenziato come non si possa senz’altro sostenere un’iconografia beatificante di Depp.
Tuttavia, il sollievo quasi esultante con cui è stata accolta la notizia della sua vittoria al processo ci dice non solo che abbiamo ancora bisogno di alimentare le nostre mitologie, perché ci rassicurano di fronte a ciò che non capiamo, ma anche e soprattutto che l’ambiguità ci spaventa dentro e fuori di noi. E che pure le nostre lotte più nobili – quella contro la violenza di genere, in primis – non riescono a sollevarsi completamente dalla nostra esigenza di schermare le contraddizioni, le vischiosità che ogni relazione, in quanto tale, dolorosamente porta con sé.
Colpevole e innocente sono categorie che possono sussistere soltanto come approssimazioni, all’interno di un recinto processuale; difficilmente possiamo credervi, se ci consideriamo adulti, al di fuori di esso. Il caso Depp-Heard ci ha mostrato, forse, il grado di infantilità in cui la nostra società, complici i media e la massa di solitudini che ne è aggiogata, indulge, nella ricerca di categorie da contrapporre, in una binarietà di visione a cui si chiede nient’altro che un’impossibile rassicurazione.