Editoriale | Jojo Rabbit e l’allegra follia di Taika Waititi
Candidato a 6 Oscar, arriva anche in Italia la nuova creatura cinematografica di uno dei registi più vulcanici attualmente in circolazione
Molto pop nel suo mostrarsi al pubblico, Jojo Rabbit è un piacere per gli occhi. Ha i colori di certi film di Wes Anderson, ma azione ancora più fluida nelle sue situazioni surreali. Il nuovo film del neozelandese Taika Waititi, dopo la prima mondiale al Toronto International Film Festival si è aggiudicato il People’s Choise Award ma continua a muoversi con destrezza, viste le 6 nominations agli Oscar 2020 – Miglior film, Migliore attrice non protagonista, Migliore sceneggiatura non originale, Migliori costumi, Miglior scenografia, Miglior montaggio – da aggiungere a un AACTA International Award alla Miglior sceneggiatura e un Golden Bicycle for Best Film in Together Again Program per il regista, più un Critics’ Choice Movie Award al Miglior giovane interprete. O meglio, la felice scoperta Roman Griffin Davis, un attore dodicenne al suo esordio. Con i suoi 14 milioni di dollari investiti per il budgete la prima uscita in Usa avvenuta a metà ottobre, Jojo Rabbit ha superato i 35 milioni comprendendo anche alcune nazioni come Gran Bretagna, Olanda, Australia e Nuova Zelanda. Però mancano ancora Asia, America Latina e moltissima Europa che Disney e Fox Searchlight toccheranno molto presto. In Italia per esempio, la data d’uscita è il 16 gennaio. Perciò siamo solo all’inizio del cammino.
Jojo Rabbit, tra un omaggio a Benigni e uno a Chaplin
Soggetto con il gusto dell’ironia Taika Waititi. In questo film scrive, dirige e interpreta Adolf, l’amico immaginario del ragazzino protagonista, un bambino della Gioventù hitleriana che vorrebbe abbracciare i principi del nazismo. Jojo Rabbit, nel suo mettere alla berlina il nazismo ricorda da una parte La vita è bella, dall’altra Il Grande Dittatore. Rispetto al primo c’è l’intromissione della comicità in un contesto pesantemente drammatico come la guerra ai suoi ultimi fuochi prima della caduta tedesca. Se Roberto Benigni era l’unico corpo comico presente nel lager, Waititi fa da capocomico ”immaginario” in un grappolo di personaggi irriverenti mettendo insieme una parodia di tutto rispetto. Primi complici della risata sono Sam Rockwell e Rebel Wilson. Il primo continua ad affilare ruoli e performance clamorose, ma qui sfuma lo spettatore dall’inquietudine alla commedia, senza tralasciare emozioni più accorate. La seconda mantiene le sue caratteristiche di commediante di razza, per l’occasione ariana. Proprio a Rockwell dobbiamo una scena fondamentale e non anticipabile che cita dolcemente proprio il Guido di Benigni.
Intorno a Charlie Chaplin invece ancheggia sbruffona tutta la figura dell’Adolf targato Waititi. Un Hitler clownesco partorito dalla mente di un bambino di 10 anni che mangia piattoni luculliani di carne in tempo di guerra. L’autore li mostra come fossero montagne di kebab a forma di testa d’unicorno sbeffeggiando, non solo nelle scene a tavola, anche tutta la mitologia nazista intorno ad animali magici e immaginari. Balla e non fa marameo giusto perché è neozelandese, Waititi. Ma la sua caricatura sgorga d’energia e bel cinema. In lui ci sono indubbie reminiscenze chapliniane nelle movenze, che tende a sguaiare restando perfettamente al passo con i nostri tempi moderni.
Aveva già perso in giro i vampiri in un suo vecchio film divenuto serie tv, Vita da vampiro, ma una candidatura all’Oscar l’aveva già ricevuta per il suo cortometraggio Two cars, one night, nell’edizione 2005. Prolifico attore quanto regista, sceneggiatore e produttore, lo abbiamo visto al fianco di Ryan Raynolds nel Lanterna Verde del 2011, mentre in voce ha doppiato il roccioso Korg di Avengers: Endgame e ultimamente il drone IG-11 nella serie Disney+ The Mandalorian. Interpretazione che ha fatto salire alle stelle le sue quotazioni nei confronti dei fan di Star Wars, che ora lo vorrebbero alla guida di un nuovo film della saga. Vispo e irriverente lo è stato anche come regista di Thor Ragnarok. Tra l’altro, si può godere ancor meglio della sua vena di allegra follia anche dai contenuti speciali della versione home ideo, dove tra scherzi, lazzi e travestimenti vari sul set, ha tirato fuori un simpatico giocattolone da box office. E probabilmente non smetterà di mostrare la sua verve nel seguito, Thor – Love and Thunder, attualmente in preparazione.
Scarlett Johansson in Jojo Rabbit, tra nazismo e nomination
Tornando al nazismo raccontato in Jojo Rabbit, Waititi sceglie due attrici che dipingono coi loro volti il lato più vitale, drammatico e salvifico del film. Scarlett Johansson interpreta la mamma di Jojo, e la doppia candidatura agli Oscar – una come Migliore attrice non protagonista qui, l’altra Migliore attrice protagonista in Storia di un matrimonio – suona già come una vittoria per la diva del cinema che negli ultimi anni ha attraversato coraggiosamente set e generi molto diversi, vincendo sempre i tanti pregiudizi legati alla sua bellezza. La giovanissima Thomasin McKenzie, un’interprete da tenere d’occhio per il suo talento, invece dà vita con decisione e delicatezza alla ragazza ebrea che Jojo si ritrova nascosta in soffitta. Qui il chiaro riferimento sarebbe ad Anna Frank, ma la bravura del regista sta nel non debordare mai nella farsa, mentre quella delle sue attrici dai ruoli principali acquista valore nel senso di maternità, speranza e salvezza per la pace. Tutto senza mai cedere a lacrimosità ma saltellando verso un’emozionalità genuina, splendidamente ricostruita per un film di finzione, anzi, di magnifica parodia come se ne fanno raramente.