Kirk Douglas: i 100 anni di una delle stelle più luminose di Hollywood
“I’m Spartacus!” – “I’m Spartacus!” – “IO SONO SPARTACUS!” Ogni appassionato di cinema ha ben impresso quel momento: ad una folla di schiavi ribelli sconfitti durante l’Impero Romano pre-cristiano viene detto che le loro miserabili vite verranno risparmiate, ma solo se il loro condottiero, Spartacus (Kirk Douglas) lascia che sia lui stesso a subire l’esecuzione. Proprio mentre sta per sacrificarsi, uno schiavo, Antonino, (Tony Curtis) salta su e dice di essere Spartacus, poi un altro, e un altro, poi tutti loro, una magnifica dimostrazione di solidarietà, mentre l’uomo si concede una lacrima, che solca il suo volto in primo piano.
Questa variante del mito cristiano – a fronte della crocifissione, i discepoli di Spartacus decidono di non abbandonarlo al suo destino- è un’arguta finzione politica. Nella vita reale, Spartacus è stato ucciso sul campo di battaglia. La sceneggiatura è stata scritta da Dalton Trumbo, l’autore nella lista nera che ha dovuto lavorare sotto pseudonimi, non trovando solidarietà ad Hollywood. Eppure lo stesso Douglas, come produttore del film, si schierò a favore di Trumbo, mettendo il suo vero nome nei titoli di coda, e dando fine così all’isteria del McCarthyismo.
Il motivo principale per cui la scena risulta così potente è la sua straordinaria ironia. Chi mai avrebbe potuto affermare di essere Spartacus quando Spartacus aveva quell’aspetto?
Kirk Douglas è un animale da palcoscenico hollywoodiano, quasi surreale nella sua mascolinità. È il Colosso di Rodi del cinema mondiale, una statua di puro granito che emana virilità, ma con qualcosa di felino e una voce roca sinuosa.
Douglas è un attore che sa donarsi col cuore in mano, sensibile ed imprevedibile; ha interpretato sia personaggi duri che vulnerabili, eroi e cattivi. E, come produttore d’avanguardia, ha portato due film di Stanley Kubrick sul grande schermo: Spartacus (ingaggiò Kubrick per sostituire Anthony Mann) ed il suo primo classico sulla prima guerra mondiale Orizzonti di Gloria, nel quale è apparso magnifico, nei panni di un virtuoso ufficiale dell’esercito francese.
Cento anni fa, oggi, Kirk Douglas nacque a New York col nome di Issur Danielovitch, figlio di un ebreo russo straccivendolo originario di Mosca, nello stato di New York.
Uno zio era stato ucciso in una sommossa nella città di origine. Nel suo libro di memorie del 1988, Douglas descrive l’antisemitismo velato che ha dovuto affrontare nel corso di quasi tutta la sua carriera. Ribattezzarsi con un nome d’arte attraente era quello che gli attori – e gli immigrati in generale – erano obbligati a fare in America, per sopravvivere e avere successo.
Dopo un inizio sui palcoscenici di Broadway, Kirk Douglas ha cominciato a costruire la sua reputazione sugli schermi interpretando Midge Kelly nell’entusiasmante film sulla box Champion (1949), che gli valse la prima delle sue tre nomination agli Oscar. Champion ha immagini mozzafiato e memorabili scene al ralenty; è molto ammirato da Martin Scorsese ed ha esplicitamente influenzato Toro Scatenato.
In Detective Story (1951), diretto da William Wyler, Douglas dà prova del suo enorme talento in un melodramma ambientato in una stazione di polizia, nei panni del vendicativo e violento McLeod, un ufficiale che nasconde un segreto terribile. È stato un film che ha rappresetanto una sorta di stampo per tutti i polizieschi televisivi, tra cui The Streets of San Francisco, che avrebbe dovuto avere come protagonista il figlio di Kirk, Michael Douglas.
Ma è stato in L’Asso nella Manica (1951), diretto da Billy Wilder, che Kirk Douglas compie la sua prima performance classica nel ruolo del sinistro giornalista Chuck Tatum, un uomo che prolunga il calvario di un uomo intrappolato in una caverna per creare una storia migliore. Douglas è un cattivo elettrizzante in quel film, un emblema perfetto delle menzogne create ad hoc dai media per i loro interessi.
Ad un certo punto schiaffeggia la moglie dell’uomo intrappolato (che sta anche seducendo) perché non sembrava sufficientemente pudica e triste, come farebbe un regista imperioso alla ricerca di una migliore prestazione. Douglas appare altresì brillante ne Il Bruto e la Bella di Vincente Minnelli (1952) nel ruolo di Jonathan Shields, il produttore cinematografico diabolicamente persuasivo, che tradisce chiunque.
Probabilmente, è in Orizzonti di Gloria (1958), che Kirk Douglas trova il suo personaggio migliore, nelle vesti del duro e virtuoso colonnello Dax, che si scaglia contro i suoi ufficiali superiori insensibili e incompetenti. Il volto impassibile e bellissimo di Douglas appare qui come una magnetica maschera di disprezzo.
Douglas vede invece la sua performance più sensibile (per la quale fu candidato all’Oscar) come Vincent Van Gogh in un altro film di Vincente Minnelli, Brama di vivere, del 1956.
Alcuni oggi potrebbero sorridere al cospetto di questa pellicola seria e di nobili sentimenti, ma è ancora molto fruibile, trasmettendo la sincera convinzione che l’arte di Van Gogh possa essere compresa da tutti.
Un’altra audace e appassionata interpretazione di Kirk Douglas che riesce semplicemente a far ardere di agonia. Si tratta di un film che però non piacque a tutti. John Wayne notoriamente inveì con rabbia contro Douglas dopo una proiezione:
Cristo, Kirk, come si può interpretare un ruolo del genere? C’è così dannatamente poco di noi. Abbiamo avuto modo di interpretare personaggi FORTI, duri. Non quei deboli finocchi!
Kirk Douglas ha subito una situazione quasi da trauma freudiano nella sua carriera. Dopo aver acquistato i diritti del romanzo di Ken Kesey Qualcuno volò sul nido del cuculo nel 1960, ha interpretato lui stesso il protagonista dell’adattamento i Broadway: McMurphy, l’uomo sovversivo e selvaggio imprigionato in un ospedale psichiatrico.
Per anni, ha lottato per raccogliere il denaro necessario per realizzare la versione cinematografica. Suo figlio Michael prese le redini del progetto come produttore e, nei primi anni ’70, portò a suo padre una buona notizia e una cattiva notizia. Il film si sarebbe fatto, ma con protagonista il giovane Jack Nicholson. Fu un momento di dolore unico, sia per il padre che per il figlio. Il momento della ribalta per Kirk Douglas era passato.
Douglas è l’eroe per eccellenza e stella della vecchia Hollywood. Si può solo far tesoro di tutte le sue eccezionali performance, senza dimenticare quella che lo vede vestire i panni del provocatorio cowboy Jack Burns nel superbo thriller Lonely are the Brave (1962). Kirk Douglas qui ha forse interpretato l’ultimo cowboy in America, surreale mentre porta il suo cavallo attraverso un paesaggio moderno popolato di automobili. Douglas non è mai stato più fresco, spiritoso e carismatico. Un altro film glorioso per una gloriosa stella come lui. Buon compleanno, Kirk!