La fiera delle illusioni – Nightmare Alley: analisi e spiegazione del film di Guillermo del Toro
Spoiler alert! L'ultimo film del maestro Guillermo del Toro inscena la parabola prima ascendente e poi discendente di un uomo persuaso di poter riscrivere il suo destino controllando le menti degli altri, ma ignorando la propria. L'analisi del film nei suoi snodi essenziali.
Ispirato al romanzo omonimo del 1946 scritto da William Lindsay Gresham, edito in Italia da Sellerio e riconosciuto dalla critica letteraria come una delle più alte espressioni del genere noir, La fiera delle illusioni – Nightmare Alley, l’ultimo film di Guillermo del Toro, grazie a un’architrave narrativa compatta che sorregge e sigilla ogni elemento essenziale allo sviluppo della trama, mostra ascesa e caduta di Stanton “Stan” Carlisle (Bradley Cooper).
Da giostraio a mentalista e, infine, di nuovo giostraio, ma questa volta nella sua forma più abietta e degradata, quella dell’Uomo Bestia, un geek mostruoso ricettato tra i tossicomani o alcolisti disperati, tra i reietti irrecuperabili – o irrecuperati? – della società, Carlisle sperimenta su di sé il carattere reversibile della manipolazione, passando da soggetto che la agisce sugli altri a oggetto che la subisce da parte di una vera ‘decodificatrice’ della psiche, la psicoanalista Lilith Ritter (Cate Blanchett).
La fiera delle illusioni – Nightmare Alley – Stanton Carlisle e l’assassinio dei ‘padri’
Il personaggio di Stanton Carlisle è stato ispirato a William Lindsay Gresham dall’incontro con un reduce della guerra civile spagnola, il conflitto tra Repubblicani e Nazionalisti che si è consumato tra il 1936 e il 1939. E proprio il 1939 è l’anno in cui è ambientata la prima parte del film, che si apre mostrandoci Carlisle che brucia la sua casa nel Midwest dopo aver seppellito un corpo in un buco nel pavimento. Scopriamo solo alla fine del film – la simmetria tra inizio e conclusione è quasi perfetta – che il corpo appartiene al padre, uomo ormai anziano e malato che il figlio lascia morire di freddo, nel compimento sadico di una vendetta – o di una punizione? – a lungo meditata.
Le ragioni dell’odio che Carlisle nutre nei confronti del padre affiorano più avanti nel corso del film, soprattutto in occasione della ‘seduta’ alla quale la psicoanalista Ritter lo sottopone prima di stringere con lui un patto di complicità criminale: si scopre allora che l’uomo, alcolizzato, era solito vessare la moglie e i due figli e che possedeva, nel carattere, un tratto di disonestà ciarlatanesca col quale, secondo la dottoressa, Stanton era finito per identificarsi, in un rispecchiamento fatale con la figura genitoriale odiata.
L’ascesa di Stanton comincia proprio quando, dopo aver ucciso il padre e bruciato la casa, accetta il lavoro che Clem (Willem Defoe), il controverso proprietario di un luna park, gli affida: occuparsi dell’Uomo Bestia – un uomo di strada, ridotto in stato semiferino, che sbrana a morsi i polli che gli vengono lanciati all’interno della gabbia in cui si trova segregato –e impedirne la fuga, mantenendolo, grazie anche ad alcol e droghe, in uno stato di addomesticamento. Clem rivela a Stan anche dove conserva il Moonshine, un distillato di mais non invecchiato che produce per ‘sedare’ i giostrai, e lo avverte di non confonderlo con lo spirito di legno custodito nei suoi pressi. Eppure, è precisamente a seguito di uno scambio tra Moonshine e alcol di legno che Pete (David Strathairn), a cui lo stesso Stan aveva portato da bere, muore, lasciando sola l’amata Zeena (Toni Collette).
Pete e Zeena erano una coppia di mentalisti non più giovanissimi: grazie ai suggerimenti del primo, esperto di lettura a freddo, la seconda era in grado di ‘indovinare’ paure, speranze e dettagli della vita, il cui segreto sembrava apparentemente al sicuro, degli avventori del luna park, creando in loro l’illusione di trovarsi di fronte a una figura in possesso di poteri medianici e divinatori. Da Pete, che conservava in un taccuino tutte le nozioni necessarie ad apprendere l’arte della decodificazione dei segnali corporei rivelatori di verità psichiche o esistenziali, Stan ha appreso a praticare il mentalismo.
L’uccisione del suo mentore, duplicato della figura paterna inconsciamente (ri)vissuta come ‘ingombro’, quello stesso mentore che spesso lo aveva messo in guardia dai pericoli dello spiritismo, rappresenta un passo necessario ad affrancarsi dall’ambiente del luna park e a tentare il grande salto verso la conquista del mondo: Stan riesce, infatti, a convincere l’ingenua Molly (Rooney Mara), una ragazza di cui si è nel frattempo innamorato, a lasciare le giostre e partire insieme a lui, per esibire altrove, in versione raffinata, lo stesso numero a lungo performato da Pete e Zeena.
La vendetta di Lilith Ritter, psicoanalista ferita in La Fiera delle illusioni – Nightmare Alley
Due anni dopo, nel 1941, alla vigilia dell’entrata in guerra degli Stati Uniti, Stan e Molly sono divenuti illusionisti di successo e conducono una vita all’insegna del lusso grazie al nuovo – e danaroso – pubblico appartenente alle élite newyorchesi di fronte al quale si esibiscono. Durante uno spettacolo, Carlisle viene apertamente sfidato una donna dall’aspetto sofisticato e dal piglio sicuro, la quale intende smascherare i suoi trucchi. Pur riuscendo a salvare il numero (e la reputazione), Stan si sente minacciato dal carisma della donna.
In seguito scopre la sua identità: si tratta di Lilith Ritter, una psicoanalista che ha in cura molti degli uomini più influenti della città. Con lei, perfettamente consapevole di trovarsi di fronte a un truffatore ma nondimeno affascinata – e stimolata – dalla sua capacità manipolativa, Carlisle, a sua volta sia diffidente sia conquistato, stipula un patto: grazie alle informazioni sui suoi pazienti che la donna è in grado di dargli, finge di mettersi in contatto, dietro lauto compenso, con gli spiriti dei defunti a loro cari.
Se con il primo cliente, il giudice Kimball, l’inganno funziona (sebbene con conseguenze tragiche), dal secondo, il potente Ezra Grindle, desideroso di espiare le colpe per la morte di una giovane amata in gioventù e da lui costretta ad abortire, viene scoperto. Per Carlisle, il quale era stato spinto dalla Dottoressa Ritter verso l’alcol che, memore della vicenda paterna, aveva passato la vita a ricusare, è arrivata l’ora della caduta: abbandonato da Molly, ricercato per l’omicidio di Grindle e del collaboratore Anderson, cerca protezione nella studio della sua complice-amante per scoprire, una volta lì, di essere stato da lei sedotto, raggirato e derubato.
I soldi, verso cui aveva mostrato disinteresse e che si era offerta di custodire in cassaforte senza pretenderne alcuna parte, per la psicoanalista rappresentano soprattutto il segno tangibile della sua vittoria su di lui, la piena riuscita di un disegno di vendetta. La donna, solcata da una profonda cicatrice all’altezza del petto, concretizzazione simbolica della ferita ricevuta, segno visibile di un’umiliazione passata che Carlisle ha in qualche modo ricalcato, dimostra al ciarlatano cosa significa saper leggere in profondità una mente e utilizzare il sapere sull’inconscio – quello sì, reale, non frutto di una manciata di trucchetti abilmente applicati – a scopi manipolatori.
La parabola si chiude: Carlisle si è trasformato in ciò che presumeva di dominare
La parabola di Carlisle in La fiera delle illusioni si conclude, così, nel più desolante dei modi: scampato alla prigione, sopravvissuto alle difficoltà della fuga e alle privazioni materiali, abbruttito da una dipendenza dall’alcol che completa la sua sostituzione al padre odiato, finisce per mendicare un lavoro al proprietario di un luna park. Quest’ultimo, dapprima intenzionato a cacciarlo, si decide infine per assumerlo come Uomo Bestia. Il ghigno con cui saluta la notizia e l’affermazione, nel riso scomposto, di essere nato per diventarlo tradisce la consapevolezza sinistra di aver attirato ciò che desiderava rifuggire.
Si compie, infatti, il paradosso: colui che aveva nutrito l’illusione di controllare i destini altrui e aveva imparato a manipolare gli uomini intercettando i loro fantasmi interni, si ritrova ad occupare la posizione del mostro addomesticato, quando il suo primo compito da giostraio era stato esattamente quello di controllarne uno: la degradazione alla condizione di ‘bestia mangiabestie’ concretizza, per via metaforica, sia la discesa agli inferi, in una dimensione animalesca soggetta al dominio altrui, sia lo stato pre-simbolico, diremmo inconscio, resistente al linguaggio ‘codificato’ dell’uomo civilizzato. La folla, infatti, come spiegato da Clem allo stesso Carlisle al momento della prima assunzione al luna park, accorre alle giostre per vedere l’Uomo Bestia sporco e arruffato azzannare polli, e paga proprio per la compiacenza di sapersi e vedersi superiore.
L’avidità con la quale aveva cercato di ottenere il riscatto sociale si è quindi inceppata di fronte alla sua monca scaltrezza: divenuto esperto nella lettura delle menti degli altri, Carlisle ha trascurato di leggere la sua, forse per la paura e la certezza di trovarvi verità sgradite. Ma è la cecità di fronte a sé stesso che ha fatto sì che si trasformasse proprio in ciò che non voleva diventare ed anzi presumeva di dominare: la bestia ‘fallita’ che ai suoi occhi di bambino era stato il padre.