La nona porta: la spiegazione del finale del film di Roman Polanski
Ne La nona porta Roman Polanski traghetta lo spettatore in un viaggio onirico attraverso un Inferno antidantesco.
La nona porta è un film di Roman Polanski del 1999, tratto dal romanzo Il club Dumas, interpretato da Johnny Depp, Emmanuelle Seigner e Lena Olin. La nona porta ci traghetta nel mondo di un uomo esperto di libri antichi, Dean Corso, il cui lavoro lo porta, oltre che ad identificare e stimare rarità e cimeli introvabili, talvolta a vestirsi di un abito meno terso, per speculare e rivendere libri di enorme valore diventando un vero mercenario di antichi manoscritti, ceduti poi al miglior offerente.
Un giorno Dean viene avvicinato da un editore newyorchese, Boris Balkan, che gli chiede di indagare sulla validità di un libro in suo possesso, ovvero Le nove porte del regno delle ombre, scritto da un tale Aristide Torchia, un esoterico che quattrocento anni prima fu giustiziato sul rogo dall’Inquisizione, e il cui libro venne bandito e ogni trascrizione bruciata. Questo tomo dannato, secondo Balkan, sarebbe a tutti gli effetti la trascrizione di un libro leggendario mai trovato, l’Horrido Delomelanichon, scritto da Satana. Torchia, nel 1666, riprese e riportò nel suo libro, tramite le xilografie originali, nove raffigurazioni che si crede nascondano al loro interno il segreto per evocare Lucifero in persona.
La nona porta: Dean Corso percorre un viaggio antidantesco verso il finale
Ebbene, del manoscritto di Torchia sono sopravvissute nel tempo solo tre copie, di cui una appartenente a Balkan. Egli, dubitando dell’autenticità del suo libro, chiede a Corso di scovare le altre due copie e di studiarle pagina per pagina, per sapere quale delle tre corrisponda al libro originale di Torchia. Corso parte per l’Europa, per poter confrontare le tre copie esistenti, che appartengono a collezionisti esperti che sono certi dell’autenticità della copia in loro possesso. Più andrà avanti con la sua indagine, più comprenderà di essersi imbattuto in una vicenda molto più ampia e oscura del previsto, inizierà a sentirsi perseguitato, stretto tra forze oscure che lo costringono a procedere, senza potersi divincolare, restando coinvolto in omicidi ed eventi inspiegabili, finché una donna misteriosa lo inseguirà, per mostrargli il proprio cammino.
La nona porta si inserisce in una filmografia, quella di Polanski, da Rosemary’s Baby a The Tenant che ha tanti stilemi dell’horror, ma in questo caso The Ninth Gate se ne distanzia abbracciando più coerentemente il genere del thriller satanico, del noir esoterico.
È interessante notare come Satana venga sempre e solo evocato nel film, non si mostra mai allo spettatore apertamente: questo, forse, ci fa comprendere come il regista aveva ben in mente fin dall’inizio che l’unico Lucifero da lui delineato non aveva ancora assunto la sua fattezza diabolica. Bisogna comprendere anche che Corso approda nella sua indagine inconsapevole di tutto, non ha idea che quello che andrà a percorrere sarà una vera e propria iniziazione, un viaggio antidantesco, (l’Inferno dantesco è diviso in nove cerchi al centro dei quali si trova Lucifero) e sarà per quasi tutto il film accompagnato da una donna, che in qualche modo lo protegge, lo dirige, lo conduce al suo compimento.
La nona porta: la spiegazione nella concezione che la vera conoscenza è un viaggio onirico, personale
Corso è un uomo infido, succube del denaro, crede solo nella sua percentuale, ed è probabilmente l’unica persona adatta per questo incarico, sia per Balkan che per la donna/sacerdotessa. La nona porta è un cammino verso l’oscurità e l’unico degno di essere accolto tra le braccia delle tenebre è proprio chi compierà le missioni decretate dalle xilografie, il predestinato potrà varcare la porta della conoscenza, perché ha compreso il suo cammino, l’ha tracciato e ha seguito le tappe, una ad una, senza essere minimamente desideroso della gratificazione finale, un’iniziazione sancita infine dal sesso, come se fosse una resurrezione del corpo, un’illuminazione.
Balkan lascia fare il lavoro sporco a Corso, credendo che una volta in possesso delle copie originali potesse invocare Lucifero, ma ciò non accade poiché l’ultima xilografia in suo possesso, firmata LCF, è un falso. Per questo nel film avvengono due viaggi, antitetici: uno lo intraprende Boris Balkan, assetato di potere e determinato a perseguire ciò che desidera. Il secondo viaggio è quello di Corso, che diventa un ricercatore della conoscenza senza una chiara visione di ciò che accadrà. L’uno si si sta dirigendo verso la distruzione, trascinato nelle fiamme dell’inferno, l’altro va verso l’illuminazione. Il finale del resto mostra tutto questo: Corso attraversa la nona porta e finalmente può completare il rituale per raggiungere la luce e consacrarsi a Lucifero.
Il regista mostra di sbieco che la vera conoscenza, al di là del bene o del male, è un viaggio, onirico, personale, forse incomprensibile, un’allegoria gnostica di illuminazione attraverso l’unione degli opposti, una dualità che si compie attraverso nove porte, che non vengono aperte attraverso dei rituali di culto (Polanski non manca di ridicolizzare coloro che cercano Satana nelle sette e compiendo riti esoterici) ma nella mente umana, in questo caso di Dean Corso.