La spia – A Most Wanted Man: il finale dell’ultimo film di Philip Seymour Hoffman
Il finale di La spia - A Most Wanted Man lascia interdetti, pieni di domande. Proviamo a dare una spiegazione all'ultimo film di Philip Seymour Hoffman
Philip Seymour Hoffman è stato uno degli attori più brillanti e capaci della sua generazione. Morto il 2 febbraio del 2014, l’attore ha lasciato Hollywood dopo un ultimo film, una sorta di canto del cigno. Come spesso accade in questi casi, quando ci si trova davanti all’ultimo lavoro di un artista, lo si interpreta, si cerca di leggere qualcosa in più tra le battute, di trovare dietrologie e spiegazioni, soprattutto se il personaggio in questione se n’è andato con una siringa nel braccio. La spia – A Most Wanted Man è il suo canto del cigno. Certo, non è un finale degno di una carriera come quella di Hoffman, costellata da interpretazioni indimenticabili, ma bisogna arrangiarsi con ciò che passa il convento.
La spia – A Most Wanted Man ci porta in Germania, ad Amburgo. Nella prolifica comunità islamica della città, fa capolino Issa: mezzo ceceno, mezzo russo, convertito all’Islam, brutalmente torturato. L’uomo reclama, presso una banca del luogo, una vera e propria fortuna versata dal padre anni prima. Non passa molto prima che le autorità tedesche e americane drizzino le orecchie in ascolto: la paura del terrorismo è tanta e l’identità di Issa rimane un mistero. È innocente o è uno spietato assassino guidato dal fondamentalismo religioso? Il film è tratto dal romanzo di John le Carré ed è un racconto di intrighi, amore, rivalità e, soprattutto, politica, che stuzzica lo spettatore fino alla fine con un epilogo al cardiopalma.
Le due parti coinvolte – i servizi segreti tedeschi e quelli americani – si contrappongono senza lasciarsi libertà di manovra, fino a quando il Günther Bachmann di Hoffman – guida di un team governativo incostituzionale e altamente segreto – sembra riuscire a convincere ogni autorità che saranno le sue modalità e, soprattutto, il suo piano a permettergli di incastrare il filantropo Abdullah, sospettato di raccogliere fondi a sostegno di Al Qaeda.
I soldi di Issa verranno usati come esca: faranno credere ad Abdullah di voler fare delle donazioni benefiche e se l’uomo dovesse devolvere parte della cifra a disposizione ad un ente in particolare (la fittizia ditta di trasporti Seven Friends), quella sarebbe la prova della sua colpevolezza. E così succede. Ma proprio quando Bachmann sta per concludere la missione, sulla scena irrompono i servizi segreti tedeschi (alleati degli americani), che rapiscono Abdullah e Issa. Il piano è fallito: a Günther Bachmann non resta che ritirarsi.
È un finale che ci lascia interdetti, pieni di domande, quello di La spia – A Most Wanted Man.
Com’è possibile che gli obiettivi dei servizi segreti tedeschi, in combutta con gli americani, fossero tanto differenti da quelli di Bachmann da comportare un vero e proprio sabotaggio? Non stanno, in fondo, cercando tutti di fermare i terroristi? Era questo il piano dei servizi segreti fin dall’inizio? Hanno fatto credere a Bachmann e la sua squadra di poter agire indisturbati con l’intenzione di intervenire alla fine?
Sembra ovvio che la presa in custodia di Abdullah da parte di Bachmann sarebbe stato solo l’inizio. Ora, è nelle mani degli americani che, probabilmente, lo spediranno a Guantanamo. Dopo aver gettato l’esca, il lavoro di Bachmann era da considerarsi concluso. È vero che, fondamentalmente, sia il suo team che i servizi segreti lavorano per lo stesso obiettivo, ma le loro intenzioni sono profondamente differenti. Come il personaggio di Hoffman spiega ad un certo punto, il suo gruppo opera in un’area grigia dal punto di vista legale, non hanno appoggio o sostegno dal governo. Per questo devono basarsi su una rete di informatori che definiremmo “della strada”, raccattati qua e là.
Günther Bachmann è una spia vecchia scuola e preferisce usare segreti e sotterfugi invece della forza bruta. Per lui, catturare i due uomini è inutile: Issa è innocente e Abdullah è solo la punta dell’iceberg e sarebbe stato meglio convincerlo a lavorare per loro, piuttosto. Il governo, d’altro canto, ha una visione per lo più burocratica. Vogliono i risultati e li vogliono in fretta: l’operazione di Bachmann, per quanto avrebbe potuto rivelarsi un successo, avrebbe richiesto tempi troppo lunghi.
Questo ci porta alla sequenza finale: Günther Bachmann è un uomo distrutto, non gli resta altro che arrendersi all’evidenza e lasciare che siano gli altri ad agire al posto suo. La spia – A Most Wanted Man si chiude con un addio al personaggio che, inevitabilmente, si trasforma in un addio all’attore.
Philip Seymour Hoffman si allontana di spalle, ci lascia in macchina ad attendere qualcosa: una rivelazione, un cenno, un ritorno. Non accade nulla. Rimaniamo in attesa, travolti dallo stacco al nero e dai titoli di coda, consapevoli che quella camminata faticosa e affaticata è l’ultima che l’attore è riuscito a regalare al suo pubblico.