La tenerezza: la spiegazione e il significato del film di Gianni Amelio
La spiegazione e il significato de La Tenerezza, il film diretto da Gianni Amelio con Elio Germano, Micaela Ramazzotti, Giovanna Mezzogiorno, Arturo Muselli e Renato Carpentieri.
Diretto da Gianni Amelio e tratto dall’omonimo romanzo di Lorenzo Marone, La tenerezza è un film pregno di simboli, parole, espressioni e atteggiamenti che tentano di strappare continuamente un sorriso, di scavare nella nostra anima, cercando di rintracciare una porta aperta, uno spiraglio di luce che ci supplichi di vivere, di godere delle piccole cose oltre le apparenze e gli obblighi imposti dalla vita.
Il titolo stesso di questa pellicola, La tenerezza, è un fil rouge che ci spiega fin dal principio come approcciarci a essa, ci consiglia di trattare i protagonisti con delicatezza, di non giudicarli, di proteggerli. Perché, nonostante i loro difetti, la loro ira, gli sbagli, nonostante le cattiverie che talvolta si sputano addosso, ciò di cui hanno bisogno è solo un posto sicuro in cui tornare; una mano amica, un sorriso che li accarezzi, nel terrore del mondo che li circonda, e che li faccia sentire amati, semplicemente accettati per ciò che sono.
La tenerezza e la perenne condizione del figlio
C’è poesia nel film di Amelio ma c’è anche, e soprattutto, una spiccata voglia di rimanere bambini. Potremmo dire che la base de La Tenerezza sia il rapporto genitori-figli, ma sarebbe errato affermarlo: è la perenne condizione del figlio quella che ci viene spiattellata davanti in tutte le sue forme. Figli che non si sentono amati e vengono esclusi dalla vita genitoriale – come nel caso di Saverio (Arturo Muselli) ed Elena (Giovanna Mezzogiorno) -, figli che già in tenera età stanno architettando la fuga – il nipote del protagonista (Renato Carpentieri Jr) -, figli che non sono mai stati tali, fuggiti di casa troppo presto (la Michela interpretata da Micaela Ramazzotti) e altri che invece hanno fatto esattamente ciò che voleva mamma, accaparrandosi una vita florida ma infelice. È questo il caso di Fabio (Elio Germano), il personaggio che esplode davvero, quello di cui si carpiscono le debolezze fin dal modo di esprimersi, quello che non riesce ad amare, che mette a nudo il suo bisogno di tornare bambino.
La tenerezza: cosa succede verso la fine del film?
Nel cercare di carpire il significato del film andiamo a focalizzarci sul finale, esattamente nelle sequenze che mostrano la morte della famigliola felice.
Vediamo l’anziano Lorenzo Marone (Renato Carpentieri) recarsi verso casa con un dolce tra le mani, scorgere la bolgia di vigili de fuoco e forze dell’ordine e subito intuire che è successo qualcosa di tragico; lo vediamo recarsi dentro casa e vedere i corpicini avvolti in sacchi di plastica nera, addentrarsi nell’appartamento di quella famiglia che sembrava tanto perfetta e felice e scorgere il corpo senza vita di Fabio con una pistola incastrata tra le dita. “Una famiglia normale, più normale di me, di te e tua sorella”, dirà in seguito Lorenzo ai figli, facendoci venire in mente le testimonianze che talvolta si sentono anche in tv in occasione di tragedie simili. Ma Fabio era davvero una persona così normale?
Scorgiamo tenerezza nei suoi atteggiamenti, quando imbocca la moglie senza guardarla in faccia, in una delle scene più intime di tutto il film; la scorgiamo nel suo raccontare che ha tre figli (includendo quindi anche la moglie tra loro), ma notiamo anche una profonda crisi identitaria nel suo farci intendere come la vita per lui altro non sia stata se non un rispettare le regole; notiamo la sua voglia di felicità rintracciata in momenti infantili, come quello in cui gioca con un elicottero telecomandato, incurante della presenza di suo figlio, o quello in cui è disposto a spendere 500 euro pur di avere un vecchio modellino della camionetta dei vigili del fuoco e, quando il tizio chiede se lo sta acquistato per il figlio, lui risponde “è per me”, come se gli fosse stata negata l’infanzia e il diritto alla spensieratezza. Scorgiamo poi la sua follia nel modo in cui risponde a un venditore ambulante e poi, certamente, nel fatidico gesto che rattrista e sconvolge tutti.
La tenerezza: il significato di tutto ciò che non facciamo
Ma c’è un significato nel suo gesto estremo, compiuto probabilmente dopo l’acquisto di quel giocattolo che gli aveva fatto brillare gli occhi? Forse si; è il gesto di chi sta cercando disperatamente la felicità e la sta cercando nelle materialità della propria infanzia, ma poi non riesce a renderla reale.
Fabio non sa adeguarsi al mondo, non sa neanche adeguarsi ai suoi cari: tratta la moglie come una bambina per cercare di sentirsi grande, poi non riesce a instaurare un dialogo con i propri figli, dicendo di non sapere di cosa parlare con dei bambini (e qui la grande lezione la dà Lorenzo, che dall’alto della sua vecchiaia e del suo egoistico bisogno di sentirsi amato e utile insegna che con i bambini ci si può parlare di qualunque cosa, persino della Divina Commedia!). Per terminare la parentesi Fabio, possiamo dire che abbiamo una dimostrazione di quanto lo squilibrio sia parte fondante della sua persona nel racconto della madre, ovvero di quando da bambino disse di aver gettato in un burrone il suo unico amico.
C’è però un altro personaggio che merita di essere affrontato ed è quello di Michela, di certo la figura più fiabesca e genuina di questa pellicola. Nonostante abbia sicuramente avuto una vita difficile e priva dell’affetto genitoriale, si dimostra sempre solare, felice e pacifica. In La tenerezza lei è la figlia che Lorenzo vorrebbe avere, la ragazza indifesa da tutelare. Si crea un parallelismo, soprattutto verso la fine, tra questi due personaggi in apparenza opposti. Mentre lei giace su un letto d’ospedale lui le parla paragonandosi a lei e intercettando i loro punti in comune – “anche io come te ho un maschio e una femmina” -, le insegna a fare il sugo come farebbe una mamma, la aiuta nelle difficoltà quotidiane e si appende palesemente al suo fantasma, come se fosse il suo grillo parlante.
Una delle scene che corredano la conclusione del film ci mostra Michela seduta su una sedia della sala d’aspetto ospedaliera, mentre dice al signor Lorenzo che lei sta bene, che ha accanto Fabio e i bambini. La mattina successiva il corpo di Michela non c’è più, per cui intuiamo che a parlare la sera prima fosse la sua anima – cosa appurata dal fatto che il protagonista si era addormentato -, che nella vita ultraterrena loro sono quella famiglia felice che Lorenzo aveva conosciuto, immersi perennemente nella fase più bella delle loro esistenze terrene (madre, padre e due figli piccoli: che dolce poesia).
E dopo quell’evento scatenante forse Lorenzo capisce di più di sé, capisce che deve dare una possibilità alla sua vera famiglia, a sua figlia Elena, capisce che la sua vita ha semplicemente bisogno di tenerezza, come quella di tutti noi.
Così Amelio mette in scena il suo personale ritratto della società odierna, una società in cui siamo tutti figli, in cui si soffre la mancanza di empatia e in cui la città di Napoli, così maestosa e caotica, con i suoi modi invadenti e la sua gente inopportuna offre una sorta di rimedio alla solitudine (bellissima la scena in cui i personaggio di Elio Germano racconta che da bambini stava per pagare un suo compagno di scuola affinché fosse suo amico e Lorenzo gli risponde che dalle sue parti si usa bussare alla porta altrui, quando si ha bisogno).
Qual è dunque il significato de La tenerezza se non un invito ad abbracciare chi ci sta accanto? Ma abbracciarlo davvero, con tutto il cuore, ricordando la condizione di figlio a cui tutti apparteniamo e vorremmo appartenere per sempre, perché farne parte è amore gratuito e incondizionato, è un “io ci sono” perenne.
Qual è il significato di questa pellicola se non un’immersione totale nelle nostre debolezze umane con tutta la delicatezza che solo un dio potrebbe riservarci.
Non c’è un unico significato in La tenerezza, ce se sono tanti, forse anche troppi, ma c’è sicuramente un invito valido per chiunque