La Verità Negata: la storia vera raccontata nel film di Mick Jackson
La Verità Negata vede la storica statunitense Deborah Lipstadt costretta a dimostrare l'esistenza dell'olocausto. Ecco la storia vera a cui fa riferimento il film.
La Verità Negata è diretto da Mick Jackson e scritto da David Hare e tratto dal libro History on Trial: My Day in Court with a Holocaust Denier (La storia sotto processo: La mia giornata alla Corte con un negazionista dell’olocausto) scritto da Deborah Lipstadt. L’autrice, storica statunitense interpretata nel film da Rachel Weisz, racconta la storia vera di quando si trovò denunciata per diffamazione da un negazionista dell’Olocausto, David Irving, che nel film è Timothy Spall. Ecco quindi come sono andate le cose…
La Verità Negata – L’allarme di Deborah Lipstadt e la risposta di David Irving: una denuncia per diffamazione
La verità negata: leggi qui la recensione del film con Rachel Weisz
Tutto parte dall’opera del 1993 firmata Deborah Lipstadt, ovvero Denying the Holocaust (Rinnegare l’Olocausto). Qui l’autrice denunciava David Irving come “Uno dei portavoce più pericolosi della negazione dell’Olocausto”, accusando lo storico britannico di aver falsificato le fonti, se non ignorato quelle che non compiacessero la sua posizione: quella di un uomo che riteneva fossero morte più persone nella macchina di Ted Kennedy a Chappaquiddick che nelle camere a gas di Auschwitz.
David Irving risponde, il 5 settembre 1996 intentando causa alla storica e alla casa editrice del libro di lei, la Penguin Books, facendolo però in Gran Bretagna, dove le prove sono a carico della difesa e non dell’accusa. In questa causa, che si svolge tra il 1996 e il 2000, non è solo a rischio la reputazione di due storici, ma anche la storia stessa per come è concepita. Per la sua difesa, Debora Lipstadt sceglie come avvocato Anthony Julius, mentre la Penguin Books assume Kevin Bays e Mark Bateman. Per testimoniare a favore della difesa furono interpellati gli storici Richard J. Evans, Christopher Browning, Robert Jan van Pelt e Peter Longerich.
La Verità Negata – Il Rapporto Rudolph
Durante il processo, David Irving cerca in tutti i modi di dimostrare la veridicità delle sue posizioni, affidandosi a dei testi negazionisti, tra i quali un documento detto Rapporto Rudolf e scritto dal chimico Germar Rudolf. Questi fu in seguito espulso dall’istituto di cui faceva parte, il Max Planck Gesellschaft. Nel 1999 il professore di architettura anti-negazionista Robert J. Van Pelt, recentemente assunto dalla Penguin Books come consulente della difesa, criticò aspramente il Rapporto Rudolf. Alla base delle sue argomentazioni, come ne ha parlato nel suo libro del 2002, The Case for Auschwitz: Evidence from the Irving Trial (Il caso di Auschwitz: Evidenze dal processo di Irving), un analisi ingegneristica e storica della struttura delle camere a gas di Auschwitz fondate su documenti che venivano direttamente dal relativo Museo Statale, chiamando a testimoniare anche chi a quelle strutture ci aveva lavorato, ovvero Michael Kula. In particolare si tratta di chi aveva costruito l’impianto per l’immissione del gas nelle camere, una testimonianza che dal team di accusa fu reputata inaffidabile, aprendo una discussione macchinosa sul fatto che non ci fossero evidenze sui resti dell’edificio della presenza di fori da dove passasse il gas.
La Verità Negata – La sentenza e cosa accadde dopo
Al momento della Sentenza, la ragione viene data completamente alla parte della Lipstadt. David Irving viene definito come “Attivo negatore dell’Olocausto” e “associato con degli estremisti di destra che promuovono il negazionismo”. Viene confermata l’accusa della storica statunitense sul fatto che questi avesse in modo continuo e deliberato alterato le evidenze storiche. L’esito di questa sentenza fu un vero e proprio disastro per David Irving, i cui libri vennero vagliati per poi perdere alcuna validità scientifica. Nel 2002 lo storico fu costretto a dichiarare bancarotta e nel 2005 fu arrestato in Austria (fonte The New Zealand Herald) per due discorsi negazionisti che aveva tenuto nel 1989 e nel 20 febbraio dell’anno successivo fu condannato a tre anni di reclusione (che dopo 400 giorni divenne libertà condizionata per decisione della Corte d’Appello).
A seguito di questo episodio, Irving ritrattò le sue posizioni sul negazionismo (vedi La Repubblica e Il Giornale). In ogni caso, Deborah Lipstadt si dichiarò “non a proprio agio” con la decisione di incarcerarlo per aver parlato liberamente (scrive Brendan O’Neill in Irving? Let the guy go home).