L’Attesa: spiegazione e significato del finale del film di Piero Messina
Fantasmi e credenze religiose si mescolano in L'attesa, il film di Piero Messina con un finale che lascia sul fondo diversi punti di riflessione. Vi spieghiamo nel dettaglio il significato del film di Piero Messina!
Un corpo dolente e lacrimato, martoriato e sofferente, la statua di un Cristo morente. L’occhio cinematografico segue le sue linee con pacata pietà, lo accarezza con disperata eleganza. A quel corpo, intorno ad esso si lega, si aggrappa e si aggancia il volto tragico e il corpo impietrito di Anna (Juliette Binoche), una Stabat Mater moderna, dilaniata e distrutta. Una morte improvvisa da accettare, due donne, una madre e una fidanzata lasciate sole, una con il lutto da elaborare, l’altra nell’attesa di un incontro. Una verità da dire (Giuseppe è morto) e una bugia raccontata per sopravvivere (Giuseppe arriverà tra tre giorni).
L’Attesa: il film di Piero Messina ispirato a La vita che ti diedi di Luigi Pirandello
Parte da qui e da qui si snoda L’attesa di Piero Messina (che ha lavorato con Paolo Sorrentino in This Must Be The Place e in La grande bellezza), film in concorso alla 72ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia, che ha tratto ispirazione dalla tragedia in tre atti di Luigi Pirandello La vita che ti diedi, derivata a sua volta dalle novelle, I pensionati della memoria e La camera in attesa. Lungo tutta la pellicola, che riecheggia Aspettando Godot (Samuel Beckett) e L’avventura di Michelangelo Antonioni, il regista crea collegamenti tra la storia del suo film e la religione che si fanno più stretti per poi raggiungere l’apice nella processione pasquale “‘a giunta” (l’incontro tra la Madonna, il Cristo risorto e San Pietro); il corpo dei personaggi si fa metafora di quelli evangelici e i due piani si compenetrano cedendosi vicendevolmente il passo. Al corpo del Cristo corrisponde quello del figlio di Anna, Giuseppe, ad Anna corrisponde quello della Madonna, alla processione per le vie di Caltagirone corrisponde la vana ricerca del figlio tra i vivi. Messina racconta la storia di una passione, del calvario del Cristo, quello di una madre, incapace di accettare e comprendere la perdita della propria creatura, e quello di una inconsapevole Maddalena, Jeanne (Lou de Laâge) che attende con paziente amore di vedere qualcuno che non tornerà più.
Il cineasta si insinua con rigore quasi geometrico nella vita di Anna che, come pietra, assiste al funerale del proprio figlio, con lo stesso rigore segue Jeanne, ignara della morte del fidanzato, pronta a passare la Pasqua con lui nella casa materna. È proprio la celebrazione della Pasqua, con i suoi rituali ancora più radicati in Sicilia, a dare forma alla storia, a segnare nei punti fondamentali l’opera di Messina: il Cristo morente/il funerale di Giuseppe, gli incappucciati alla ricerca di Gesù/la ricerca di Giuseppe, l’ultima tappa della processione/la consapevolezza delle due donne sulla sorte di Giuseppe. Il rapporto tra la storia finzionale e il mistero religioso dà senso e corpo a questa dilaniante vicenda, a quella di una madre che mente per avere ancora in vita per tre giorni il suo “bambino”, a quella di una ragazza che non sa nulla o finge di non sapere (molti sono gli indizi che Jeanne non coglie). Anna crea un mondo magico per non pronunciare l’impronunciabile e usa l’ospite in un gioco tanto amorevole e pietoso quanto cinico e di minuto in minuto ogni tessera di questo mosaico si rimette a posto per arrivare al finale in cui tutto si compie.
L’Attesa: nel finale del film è custodita la consapevolezza di un’assenza
Tutto il film si regge su un’assenza pesante, quella di Giuseppe che si fa vertice di un triangolo alla cui base ci sono Anna e Jeanne, un corpo che non c’è ma che muove e smuove le due donne, immerse in un luogo non luogo, in un tempo non tempo, in una Sicilia ricca di riti, tradizioni, processioni e statue di Santi e Madonne.
Il cinema di Messina si struttura attorno al vuoto, lo guarda e ne ha paura, lo costeggia e lo nasconde, ne sta alla larga, si costruisce attorno al senso della perdita che sfianca, svilisce e strazia, tiene insieme due spinte diverse, quella dell’elaborazione del lutto e quella di un’accettazione consapevole della separazione (Jeanne è portata a pensare che Giuseppe la voglia lasciare). A stringere le fila c’è il legame tra Anna e Jeanne, unite sempre più, amiche, mamma e figlia, donne che si raccontano: l’una si sente nuovamente madre, l’altra ha di fronte colei che ha generato il proprio ragazzo. Dietro, fra, in mezzo alle due c’è la verità che spinge, monta, si infrange su quei corpi in attesa. Nel finale ricco di metafore, di silenzio e di parole non dette, la situazione iniziale si ribalta, come il loro atteggiamento rispetto alla vita. Anna prima immobile, chiusa nel lutto disturbante, inspiegabile e insensato, Jeanne in movimento, in viaggio, pronta a vivere, ora la prima sveste il lutto, partecipa alla processione pasquale “‘a giunta”, torna alla vita, la seconda invece è seduta sul letto come una statua, piegata e bloccata dal/nel dolore perché ha scoperto tutto. Si sono scambiate i ruoli: mentre Anna è riuscita ad accettare la morte del figlio anche grazie alla forza vitale di Jeanne, quest’ultima deve ancora iniziare il percorso.
L’Attesa: un rito pasquale che rimane incompiuto nella realtà
Il dramma claustrale della madre si trasforma in un doloroso e rassegnato saluto (l’ultimo incontro nel bagno tra madre e figlio è l’emblema di ciò. Il momento si costruisce intorno ad un “Perché non rimani ancora un po’ di giorni?” e ad un “Io non posso”, raggiungendo il suo apice emotivo nel “Mi manchi” materno) che ha la sua religiosa copia nella processione per le strade di Caltagirone ma la Madonna e la madre prendono strade diverse. Mentre la Madonna, il terzo giorno, ha il lieto annuncio, la resurrezione di Gesù Cristo, per voce di San Pietro, Anna, in quello stesso terzo giorno, riesce a fare pace con la verità, la morte di Giuseppe. Mentre i fedeli incappucciati festeggiano per celebrare il Gesù risorto Anna si muove alla ricerca disperata di quel figlio che fino a poco prima le era accanto, ora la sua presenza fisica è svanita, e solo dopo quella corsa riesce ad accettarne la mancanza.
Messina tiene insieme Anna e Jeanne anche nel terzo giorno nel momento in cui il Miracolo (la resurrezione) si compie, per loro però non c’è nessun miracolo. Con un montaggio alternato lo spettatore come partecipa alla ritrovata consapevolezza della madre così partecipa alla scoperta della fidanzata. Il vagare di Jeanne all’interno di quella casa tanto grande e silenziosa (una delle scelte del regista è quella di sovradimensionare i luoghi, i paesaggi, gli arredamenti rispetto alle persone, come per spiegare l’inutilità di ciò che sta attorno rispetto ai sentimenti dei personaggi) è un lento cammino verso lo sgretolamento delle certezze. Tolto il velo (lo stesso che copre la Madonna durante la processione) della menzogna si mostra in tutta la sua ingenua fragilità, vampirizzata da Anna, da quella Sicilia arcaica e soporosa, dallo spirito del fidanzato a cui ancora lascia messaggi alla segretaria telefonica.
La scoperta della verità segna che l’attesa è finita: Giuseppe non tornerà
Lo spettatore assiste al suo stupore, al suo annichilimento, le è stata negata la verità e proprio per questo non ha gli strumenti per ricevere una notizia così assurda. Quando Jeanne scopre ciò che Anna le ha nascosto (trova il cellulare di Giuseppe e capisce che non tornerà più) si compie ciò per cui l’intero film ha lavorato, l’attesa è finita e la storia delle due donne ha compiuto il suo percorso. Nell’abbraccio tra le due, nella camera da letto, in quel silenzio fragoroso c’è tutto, il dramma, l’angoscia stupefatta e attonita delle protagoniste ma, nonostante questa stretta che le aiuta a non cadere nel vuoto (assenza di Giuseppe), il dolore da esse abitato le pone in “luoghi” diversi, l’una verso la consapevolezza tragica e immutabile, l’altra verso una faticosa elaborazione della perdita. Anna vorrebbe trattenere Jeanne per perpetuare l’idea del figlio (“Questa casa sarà vuota ora”) e quella di madre ma è la giovane ad andarsene per liberarsi da quel nodo, da quella casa, da quella terra che l’ha fatta innamorare ma la ha anche tradita.
Quest’opera di donne e fantasmi, di smarrimento e ferite, di estetica perfezione e di tragico dolore, di manipolazione per coprire la disperazione e truccare la realtà e di verità che tracima dagli argini costruiti da Anna, ha un giusto epilogo, l’allontanamento di queste due donne che resteranno comunque sempre legate da e a quel “Cristo” tutto terreno e umano.
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