Lazzaro felice: la spiegazione del film di Alice Rohrwacher
Alice Rohrwacher con Lazzaro felice scrive una fiaba che si basa su due storie che l'hanno ispirata per questo film, quella di San Francesco e quella narrata in un libro per bambini scritto da Chiara Frugoni.
Un mondo rurale incontaminato, persone di sentimenti semplici e puri, un lavoro che ammazza di fatica ma dà forza all’animo, la natura, il mezzo attraverso cui gli uomini possono vivere in armonia. È proprio questo il racconto che porta sullo schermo Alice Rohrwacher, vincitrice al Festival di Cannes 2018 – premiato per la miglior sceneggiatura –, che con Lazzaro Felice porta di nuovo per mano lo spettatore nell’universo di Le meraviglie.
Lazzaro felice: un giovane puro, senza contaminazione alcuna
Lazzaro (Adriano Tardiolo) è nome che pungola e mette in difficoltà, è un nome che smuove e risuona della straordinarietà dell’esistenza. Colui che risorge dopo la morte, che si alza e cammina. La cineasta racconta un personaggio che sa di ingenuità e candore, è un’anima bella, un puro senza contaminazione alcuna, che non è stato modellato dalla civiltà, immune al progresso. Lazzaro è felice, gentile, appagato, è un mezzadro e poi con la stranezza di uno che si alza e cammina, entra nell’era industriale come se niente fosse. Il giovane non è capace di avere un suo giudizio, non capisce dove stia il bene e il male, segue gli ordini perché è fatto per fare ciò, lavora senza fermarsi mai, fino alla fine. Lazzaro non è mai stanco, non è mai triste, sorride innocente mostrandosi per una cellula diversa dalle altre che spesso infastidisce, fa paura e suscita disprezzo.
Tutto cambia ed è cambiato intorno a lui mentre il giovane è sempre uguale a se stesso, è un semplice, un inviolato – proprio come Inviolata è la terra in cui vive, feudo della marchesa Alfonsina de Luna (Nicoletta Braschi), dove viene coltivato il tabacco -, che resta immutabile attraverso il tempo e lo spazio. La sua famiglia cresce, si evolve, lui, invece, è rimasto bloccato, è rimasto Lazzaro, è rimasto felice.
Lazzaro, una vita tra sfruttamento e progresso
La vita è sfruttamento. L’importante è che quegli agricoltori non lo sappiano o non se ne accorgano, così si sentiranno liberi
Lazzaro rappresenta tutti quei mezzadri che vengono usati e sfruttati ma mentre gli altri tentano di ribellarsi, lui invece continua a vivere in questa sua cocciuta felicità. Anzi, Lazzaro felice è anche la storia di un’amicizia: il ragazzo incontra Tancredi, figlio della nobildonna, incredibilmente si capiscono, pur essendo facce opposte della “stessa” gioventù. L’uno è ingenuo, buono, lieve, l’altro è ribelle, insofferente dell’autorità materna, tabagista incallito, moderno nell’atteggiamento e nello stile. Tancredi decide, finge di essere stato rapito, sceglie, proprio in virtù della dolce e delicata natura dell’amico, di essere rintracciabile solo da lui.
Qualcosa di straordinario accade, a sparire è un mondo intero. Il progresso cancella la mezzadria e quella comunità rurale viene traslocata in una città per continuare paradossalmente a vivere nello “stesso” stato di emarginazione. La Rohrwacher sa come raccontare personaggi come Lazzaro scarni e “depauperati” dagli orpelli dell’esistenza, ed è capace anche di narrare un mondo rurale come anche quello industriale e ciò che ne viene fuori è un’istantanea contemporanea e molto reale. Quello di Lazzaro felice è un viaggio doppio nell’umanità buona del protagonista e in quella egoista, coercitiva e dura del mondo che lo circonda; il racconto della regista si fa anche narrazione dell’evoluzione dell’uomo che non comprende i suoi errori e i suoi inciampi. Tutto ricade su Lazzaro che diventa specchio su cui tutto si riflette e si “scarica”: è confronto ma anche metafora di ciò che l’uomo non fa e di ciò che fa, delle contraddizioni, delle crudeltà e della gentilezza.
Lazzaro felice: una storia di amicizia nonostante tutto
L’unico che segue e insegue veramente l’amico scomparso è proprio Lazzaro e questo perché per lui Tancredi è l’amicizia, e non è un caso se ad un certo punto sembra introvabile. Mentre l’ambiente cambia, i vestiti si fanno “al passo con i tempi”, il nostro ancora indossa quei pantaloni e quella maglietta da mezzadro.
Sembra un lento e inesorabile viaggio senza troppe emozioni quello del protagonista proprio in virtù di quel suo carattere così docile e quasi “messianico”, di chi porge l’altra guancia, accetta le botte, insiste e persiste in uno stato di una paradossale atarassia felice.
Tutti peggiorano se possibile nel momento in cui c’è l’inurbamento: la collettività rurale sopravvive arrabattandosi, il contabile della marchesa spoglia gli immondezzai e vive di piccoli furti, la nobildonna, “spogliata” dei suoi averi dalle banche, si è dissolta nella povertà.
Sta proprio qui, in questo bipolarismo il film di Alice Rohrwacher che con Lazzaro felice scrive una fiaba – che si basa su due storie che l’hanno ispirata per questo film, quella di San Francesco e quella narrata in un libro per bambini scritto da Chiara Frugoni -che racconta povertà e progresso e i cambiamenti sociali e umani ad essi collegati.
Lazzaro felice: una parabola struggente che dimostra la forza e la potenza della sua cineasta
Lazzaro rappresenta la leggerezza incontaminata, la fiducia incondizionata nel prossimo, ma anche la concretezza di una persona che dimostra la possibilità di stare al mondo, fidandosi degli uomini. Lazzaro è l’ultimo della fila, è colui che nessuno racconta che sta indietro pur di non disturbare, pur di non intralciare la vita degli altri.
Quello della Rohrwacher è un mondo che è risucchiato dal paesaggio, un elemento da sempre fondamentale nel suo cinema: le stagioni, il caldo, la neve, tutto ciò che richiama per molti versi l’universo e il patrimonio cinematografico di Ermanno Olmi – la cineasta racconta che avrebbe voluto mostrare il film al maestro, scomparso prima di poterlo vederlo.
La cineasta fa un cinema libero e sincero che emerge chiaramente dal suo protagonista che è felice, sorridente nonostante tutto: talmente libero che si apprezzano perfino le stranezze e il principio incontaminato che fonda il film, e che si manifesta con un lupo, il suono delle zampogne, il vento che fa vibrare ogni cosa.
Lazzaro felice, una parabola struggente, diversa da molto cinema contemporaneo, riesce proprio con la storia di un San Francesco diverso dal solito, di uno che accetta tutto ciò che il mondo e gli uomini gli buttano addosso, a convincere e a coinvolgere con la parabola di un giovane felice di essere schiavo del mondo.