Le nuotatrici: la storia vera dietro al film Netflix
La storia vera delle sorelle Sarah e Yusra Mardini, protagoniste del viaggio dalla Siria alla Germania ricostruito dal film Netflix Le nuotatrici.
In occasione delle Olimpiadi di Rio 2016, il comitato Olimpico di quell’anno scelse di mettere insieme in un’unica squadra tutti gli atleti rifugiati che non potessero competere per il loro paese di provenienza. Fra i dieci posti del Refugees Olympic Team (gli altri nove provenivano dall’Etiopia, Sud Sudan, Siria e Repubblica Democratica del Congo), uno era occupato dalla nuotatrice Yusra Mardini, diciottenne di Damasco da un anno residente in Germania, la quale gareggiò vincendo la propria manche dei 100 m farfalla, classificandosi al 41° posto tra le 45 partecipanti.
Al di fuori dei millesimi della sua prestazione, la Mardini fu protagonista quell’anno di un racconto di coraggio e di rinascita che catturò l’attenzione della stampa, diventando protagonista di una storia che fece il giro del mondo e che costrinse tutti, allora come oggi, a guardare in faccia al fenomeno globale del secolo: la crisi umanitaria dei rifugiati di guerra. Ad ora, nel mondo, sono oltre 30 milioni.
Le nuotatrici: la storia vera delle sorelle Mardini
Il suo incredibile viaggio dalla Siria alle Olimpiadi divenne un libro nel 2018 dal titolo “Butterfly: From Refugee to Olympian, My Story of Rescue, Hope and Triumph“, ma già due anni prima Yusra fu contattata dal produttore cinematografico Ali Jafaar per la realizzazione di un film, ricevendo dapprima un secco no dall’autrice in quel momento focalizzata esclusivamente agli allenamenti in piscina.
Successivamente, grazie all’aiuto in sceneggiatura dallo stimato autore di Enola Holmes e Wonder Jack Thorne, e dalla regista egiziana-gallese Sally El Hosaini, l’approvazione della Mardini diede il via alla produzione, sotto la supervisione di Netflix, de Le nuotatrici, disponibile in questi giorni in streaming. Il film autobiografico ripercorre le tappe dell’ esodo che, nell’estate del 2015, portò lei e la sorella Sarah in terra d’Europa attraversando otto paesi su mezzi di traporto di fortuna; viaggio che mise in pericolo entrambe e che costò la vita a chi come loro era in cerca di salvezza nel mondo Occidentale.
Dalle bombe di Damasco agli spalti di Rio
Dallo scoppio della guerra civile siriana nel 2011, la sicurezza della famiglia Mardini fu messa in serio pericolo. Sconvolte dai bombardamenti e dagli scontri in piazza le sorelle, una volta messi insieme i duemila dollari necessari, lasciarono Damasco nel 2015 e con essa il resto della famiglia, raggiungendo dapprima Istanbul via Libano con l’obiettivo di superare il confine europeo dalla Grecia, mediante un’imbarcazione partita dalle spiagge di Ayvalık.
Sulla costa, tuttavia, gli scafisti misero in balia del mare altri diciotto profughi oltre alle due, tutti provenienti da Afghanistan, Somalia, Sudan ed Eritrea, ammassati su un gommone che a mal a pena ne poteva ospitare nove, costringendoli a un attraversamento infernale. Con il peso che superava di gran lunga quello consentito, il gommone continuò ad imbarcare acqua, così le sorelle, uniche in grado di nuotare, si gettarono in mare e percorsero il tragitto a bracciate, trascinandosi nella notte fino alle coste di Lesbo, isola della Grecia a sud del Mar Egeo.
Yusra e Sarah: il coraggio di due sorelle simbolo di rinascita nel film Le nuotatrici
Da Lesbo, dove ricevettero aiuti di prima necessità, il gruppo proseguì in direzione Macedonia, superando fra lunghi tragitti a piedi, stipati in camion e in macchina la Serbia, il filo spinato dell’ostile Ungheria, l’Austria e infine la Germania, finalmente accolti come rifugiati di guerra in un hangar di Berlino. Durante la monotonia di quei lunghi mesi, costrette alla convivenza forzata con altre donne come loto, Sara e Yusra trovarono nelle vicinanze una palestra abilitata con una piscina, e tentarono di persuadere con successo l’ex nuotatore Sven Spannekrebs ad allenarle verso le imminenti gare mondiali.
A differenza di Yusra che come detto riuscì a competere alle Olimpiadi di Rio e poi a quelle di Tokyo 2020 sempre nel team TOR anche come portabandiera, da quel momento la sorella Sarah ha messo in pausa lo sport per tornare a dedicarsi agli altri. Lo stesso anno infatti tornò a Lesbo per aiutare i rifugiati in arrivo sulla costa, ma nel 2018 assieme ad altri colleghi è stata arrestata per “traffico di esseri umani”. Amnesty International lo ritiene un caso ingiusto e dalle accuse infondate, se condannata dovrà scontare 20 anni di carcere.
La loro preziosa testimonianza ancora oggi continua ad ispirare generazioni intere di giovani e giovanissimi rifugiati costretti a viaggi rischiosi per raggiungere il nord dell’Europa, e sono entrambe attive nelle organizzazioni umanitarie come ambasciatrici UNICEF.