Lina Wertmüller: film, vita e anime della madre della commedia tragica
Sei film-chiave per ricordare una straordinaria autrice del nostro cinema, scomparsa a 93 anni dopo essersi divertita a mostrarci le contraddizioni della vita innamorata (anche solo di un’idea).
“Amo la poesia grottesca, e penso che i miei film abbiamo quello stile, uno stile che combina umorismo e dramma, ironia e cinismo, commedia e tragedia. Ti permette di giocare con differenti narrative, toni e ritmi. Ma è più che uno stile: la narrativa grottesca riflette la mia stessa personalità”. Lina Wertmüller, figlia di un avvocato pugliese di nobili origini e ascendenze lucane e svizzero-tedesche, di sé diceva sempre che aveva due anime: una giocosa, ironica, avida di risa e di scherzi, e una saturnina e disillusa, dolorosamente ricettiva nei confronti dei mali e delle ingiustizie della società.
A ripassare nella memoria la sua imponente filmografia, con i tanti film dai titoli lunghissimi per dispetto – “i produttori sognavano titoli di una parola e io, per dispetto, davo ai miei film titoli lunghissimi”–, non è difficile comprendere fino a punto queste due anime abbiano permeato le sue opere, spesso liquidate come prodotti di una mestierante, ed invece figlie di uno sguardo da satirista di rango, imprevedibile nei rimbalzi tra concessioni sentimentali e ritirate nel disincanto.
Sul set di 8 e 1/2 grazie a Flora Carabella (moglie di Mastroianni) e l’esordio con I Basilischi
Il suo rapporto con il cinema era cominciato grazie a Flora Carabella, per vent’anni (dal 1950 al 1970) moglie di Marcello Mastroianni: fu lei a presentarla a Federico Fellini, che la coinvolse nella sceneggiatura di 8 e 1/2 e le chiese di fargli da aiuto-regista. Nello stesso anno, Lina Wertmüller debuttò con il suo primo film da regista, I Basilischi, storia di tre ‘vitelloni’ – ‘reucci’, come il titolo stesso del film suggerisce – della provincia pugliese (al confine con la Basilicata) e della loro apatia, della loro inerzia senza possibilità di riscatto.
Mimì metallurgico: passione amorosa e politica nel primo film della coppia Giannini-Melato
Nei confronti della preparazione teatrale, iniziata a diciotto anni nell’Accademia teatrale di Pietro Scharoff, allievo di Stanislavskij, Lina Wermüller riconosceva il debito di aver appreso a lavorare con gli attori, e per questo si trovava così bene con Giancarlo Giannini e Mariangela Melato, perché anche loro provenivano dal teatro e non si spaventavano di certo se servivano quaranta giorni di prove prima di cominciare a girare il film.
Li ha diretti, per la prima volta insieme, nel 1972, sul set di Mimì metallurgico ferito nell’onore: Giannini è Carmelo “Mimì” Mardocheo, un manovale catanese costretto ad emigrare a Torino dopo aver perso il lavoro in una cava di zolfo perché rifiutatosi di tradire gli ideali comunisti per favorire una cosca mafiosa; nel capoluogo piemontese s’innamora di Fiore (Mariangela Melato), una sottoproletaria lombarda con cui condivide la fede politica (anche se, a rigore, lei è trotzkista) e una passione tumultuosa, da cui nasce un figlio. La scoperta, da parte di Mimì, delle ambivalenze dell’amore e dell’impegno politico rappresenta l’inevitabile incontro con il fondo amaro dell’esistenza, con l’impossibilità di far coincidere quest’ultima con l’ideale.
La consacrazione di Lina Wertmüller, tra favore della critica e successo al botteghino
Nel 1973, i due attori si ritrovano protagonisti anche nel Film d’amore e d’anarchia – Ovvero “Stamattina alle 10 in via dei Fiori nella nota casa di tolleranza…” , in cui il primo interpreta l’anarchico Tunin, giunto a Roma per assassinare Mussolini ed invece finito, a seguito di un accesso psicotico, a sparare ad alcuni carabinieri giunti per un controllo nella casa chiusa in cui si era rifugiato (e innamorato di Tripolina). Arrestato e incarcerato, Tunin muore in prigione, ma viene fatto passare per suicida.
Nel 1974, la coppia Melato-Giannini si riunisce per Travolti da un insolito destino nell’azzurro mare d’agosto, forse il film di Lina Wertmüller più noto al grande pubblico e uno dei suoi maggiori successi in termini d’incassi: del resto, la regista, negli anni Settanta, in pieno stato di grazia, sembrò riuscire a sintonizzarsi perfettamente con la sensibilità popolare senza tradire il rigore della sua analisi sociale. La trama del film è arcinota: la moglie snob e annoiata di un ricco industriale lombardo naufraga con un rozzo marinaio siciliano di fede comunista; i due, liberi dai condizionamenti sociali, vivono un’intensa passione, rinnegata non appena, dallo stato di natura, tornano a quello di civiltà.
La candidatura agli Oscar con Pasqualino Settebellezze chiude i magnifici Settanta di Lina Wertmüller
Fu con Pasqualino Settebellezze che Lina Wertmüller fece il salto a cui si stava preparando da tempo, quello che la condusse alla ribalta hollywoodiana: nel 1977 ottenne quattro candidature agli Oscar, prima donna a raggiungere un simile traguardo: il film è l’epopea di un guappo napoletano che ha commesso un delitto d’onore e, per salvarsi la pelle, è disposto a tutto, anche a diventare kapò di un lager nazista. Tra gli ultimi film memorabili della regista, ambientato anch’esso nel napoletano, non possiamo invece dimenticare Io speriamo che me la cavo, sguardo intenerito ma affatto stucchevole sulla crudezza di un ambiente sociale che non lascia scampo a meno che non sia un brav’uomo di maestro a provare a sistemare le cose, fosse anche soltanto installare un minimo di speranza.