L’ombra del giorno è il film da recuperare su Netflix
Uscito nelle sale nel 2022, a lungo nel catalogo RaiPlay, solo grazie alla ‘spinta’ di Netflix ha ottenuto l’attenzione che avrebbe meritato, forse, fin da subito: perché questa volta, che è giusto a un clic dalla riproduzione, proprio non va persa l’opportunità di vedere L’ombra del giorno, un film italiano di grande eleganza e sensibilità che riflette con intelligenza sull’amore come via d’uscita dal fascismo ‘antropologico’ e da quello formale.
Celebriamo Netflix, per una volta. Il suo algoritmo non sarà sempre democratico, ma capita indirizzi il pubblico nel migliore dei modi. È quanto accaduto con L’ombra del giorno, in top 10 da molti giorni, da quando, cioè, è stato reso disponibile agli abbonati, in concomitanza con la ricorrenza della giornata della memoria. Si tratta dell’ultimo film del regista Giuseppe Piccioni (Ascoli Piceno, 1953) la cui sensibilità autoriale ha dato al nostro cinema piccoli capolavori – ne citeremo solo alcuni, e ci perdonerà il maestro – quali, ad esempio, Luce dei miei occhi (2001), La vita che vorrei (2004), Giulia non esce la sera (2009).
L’ombra del giorno: il romanzo di formazione di un fascista formale
Ambientato ad Ascoli Piceno alla vigilia del secondo conflitto mondiale, L’ombra del giorno muove dall’irruzione nella vita di Luciano Traini (Riccardo Scamarcio) di una giovane donna che dice di chiamarsi Anna Costanzi (Benedetta Porcaroli): il primo gestisce, per conto di un fantomatico ‘Cavaliere’, il ristorante che s’affaccia sulla piazza principale della città (ricostruito dentro lo storico Caffè Meletti); la seconda, affamata e senza soldi, vuole un lavoro. Tra i due, vent’anni d’età e un segreto, che sarà presto rivelato. Luciano, accolto con disprezzo al suo ritorno dalla prima guerra mondiale, alla quale ha sacrificato il perfetto uso di una gamba, vede “cose (belle) che non esistono” e simpatizza per il fascismo: dal cinegiornale ha saputo che si sta facendo carico della ricostruzione di vecchie città distrutte e della costruzione di nuove.
Ex commilitone di un gerarca fascista della città, cerca di non scontentare ‘l’amico’, pur rendendosi conto della sua boria e dell’inconsistenza della sua fanfaronata fallica. Come Luciano, un uomo di mezz’età – oggi, diremmo, un ragazzone maturo, mentre, negli anni Trenta, era da considerarsi uomo fatto e finito, apparentemente in ritardo per ogni possibile riscatto di vita non vissuta –, durante il ventennio fascista, tanti hanno mostrato un rispetto formale nei confronti delle idee del “testone” Mussolini, senza tuttavia avere alcuna intima inclinazione alla viltà della delazione, alla ferocia sadica della discriminazione o a quella barbara dello squadrismo, della violenza dimostrativa e fine a sé stessa tanto cara ai proseliti fascisti.
L’ombra del giorno: il totalitarismo è difetto d’eros
La differenza, per Luciano, la fa l’amore. Quello impensato, fino a un attimo prima impensabile. Lo scarto-scatto dall’acquiescenza alla ribellione è determinato dall’incontro fatale, dalla deviazione inattesa rispetto alla ripetizione dell’uguale, dall’apertura, per progressivo scongelamento e resa ineluttabile, al sentimento sempre più potente per Anna. Le ideologie accestiscono nel terreno degli affetti impoveriti e, ugualmente, cadono di fronte agli affetti scombussolanti e invincibili: l’amore fa franare ogni convinzione e, come nel caso di Luciano, fa franare la convinzione non solo perché è già di per sé poco solida, poco interiorizzata, ma anche perché permette l’assunzione di un desiderio fino alle sue più radicali conseguenze; permette la nascita dell’individuo e, con lui, della vita. Della sua vita. Propria, non omologabile. Non più delegabile.
Non è un caso se Dante Alighieri intitola Vita nuova l’opera in cui rievoca le tappe della sua iniziazione amorosa grazie a Beatrice: la vita è nuova nell’amore, perché solo nell’amore si nasce, solo nell’amore è possibile nascere. Federico Fellini scrisse una volta che il fascismo non è un ‘inciampo’ storico, ma una categoria antropologica: fascista è chi pretende di restare eternamente adolescente e che qualcun altro – il Duce-Padre ‘so tutto io’ – prenda le decisioni al posto suo e lo garantisca dagli insuccessi e dagli schiaffi del Reale. I filosofi della scuola di Francoforte, ragionando sulle cause del nazifascismo, compresero che le ideologie totalitarie godettero di seguaci perché, nella società del tempo, la sofferenza individuale si collocava a un livello profondo e inaccessibile a coscienza, ed era una sofferenza da debolezza o difetto d’eros, e per eros s’intenda, da etimologia, l’amore passionale, l’amore per la differenza dell’altro che fa sì che l’altro improvvisamente diventi all’amante necessario “come l’aria”.
Se manca individualmente capacità d’amare, se si resta irretiti nella frustrazione dell’amore primigenio e non si ha la forza di cercare altrove un altro amore adulto e non fantasmatico, la libido risparmiata volge verso destini perversi, verso la seduzione operata da padroni avidi di servi sacrificali e di figli che non vogliono crescere. Queste riflessioni, elaborate in tempi diversi e da diverse intelligenze, sembrano affluire insieme e poi scombinarsi poeticamente nel film di Piccioni, che restituisce a un uomo operoso e, in fondo, buono – ammesso che questo aggettivo così ingenuo possa essere compreso in e da un significato – l’occasione di responsabilizzarsi, di uscire dall’adolescenza ‘fascista’ e di entrare, così, finalmente, nella vita nuova (e adultizzata) dell’amore, nella vita propria in cui sa esattamente chi desidera e che tutto sarebbe disposto a fare per difendere la singolarità umanissima e irriducibile di quel suo desiderio.
L’ombra del giorno: Scamarcio e Porcaroli, in stato di grazia
Capita spesso che gli spettatori – e i critici – poco autonomi nel giudizio o, peggio, quelli snob storcano il naso di fronte a nomi del cinema italiano che sembrano non poter competere mai coi mostri sacri stranieri, con i grandi europei o americani, eppure il nostro Paese può contare su interpreti dalla sensibilità finissima: Riccardo Scamarcio è uno di questi. Azzardiamo, e chi legge ci perdoni il tono altisonante: Riccardo Scamarcio è – e non solo tra i nostri – un autentico gigante. Al personaggio di Luciano conferisce il pragmatismo che gli viene dall’ambiente – la provincia italiana laboriosa, ma non sempre aperta di vedute –, liberandolo però da una grettezza per la quale non è per natura portato e alla quale, pure, poteva piegarsi; a Luciano dà malinconia e contenimento della stessa, la profondità dell’amore senza l’esibizionismo tracotante di sapersi benedetto dall’esperienza, la consapevolezza che è obbligo morale onorarla, ma peccato mortale metterla in piazza, svilirla, ridurla a feticcio o medaglia machista.
Per onorare i sentimenti, al loro primato sugli ideali, spesso sterili, che nell’astrazione cercano un riparo dalla vita, Luciano diventa un giusto, sebbene non senza macchia: in fondo, lo fa soprattutto per lei, ed è questo il bello, il punto più alto, e intelligente, della riflessione condotta dal film. Se si può amare qualcuno, nella sua differenza, se si riesce e si ha la fortuna di amare così, l’ideologia di massa, che cataloga e spartisce per identità grossolane, e spesso, in virtù di quelle identità, manda a morte, è disinnescata, annichilita, ridotta al suo nulla di fantasma e di fantoccio, di copertura di inconsapevoli mancanze o di mancanze di cui nulla si vuole sapere; se si può amare così, l’ideologia totalitaria non diviene (mai) più una possibilità.
Benedetta Porcaroli è all’altezza del suo partner: un’attrice dalla bellezza luminosa e dalla classe naturale – e naturale perché rifiuta l’artificio, sia estetico sia mimetico – che, nel sottrarsi anche lei all’esasperazione, accordandosi a registri sottili, mostra grande eleganza interpretativa, più matura non solo della sua età, ma anche della sua esperienza cinematografica: alla sua Anna conferisce un anticipo sui tempi che non appare mai stonato e un’intelligenza vivace che mai si mette in competizione con quella maschile, con il modo in cui gli uomini pensano che significhi esserlo. Un’intelligenza che sospettiamo essere anche la sua. Anzi, non può essere se non anche la sua. Bravissimi loro e tutto il resto del cast, composto con una precisione che non lascia nessun volto e nessuna indole al caso. L’ombra del giorno è l’esempio del miglior cinema italiano: esistenzialista, intimista. Decidete voi l’etichetta. Un cinema sobrio che incrocia immagine e parola, e non permette che l’una prevalga sull’altra. Bellissimo cinema, e basta.