Longlegs: spiegazione del finale dell’horror di Oz Perkins

Spiegazione del finale di Longlegs, l'horror di culto diretto da Oz Perkins e nelle sale italiane dal 31 ottobre 2024. Ricordate, ALLERTA SPOILER!

Il 2024, sotto il segno dell’horror, è l’anno di Longlegs. Incassi mostruosi al botteghino americano e non – si stima, al momento in cui si scrive, una cifra vicina ai 110 milioni di dollari! – critiche favorevoli se non apertamente entusiaste e quel tanto di polarizzazione dei discorsi che, se si mantiene entro certi limiti, fa bene al film e al cinema perché ne prova l’incrollabile vitalità. La regia è di Osgood “Oz” Perkins e i protagonisti sono Nicolas Cage nella parte dell’omonimo serial killer – la prima e unica volta, ha spiegato, che interpreta un ruolo del genere – e Maika Monroe, che con l’horror ha un feeling forte dai tempi di It Follows, il capolavoro del 2014 diretto da David Robert Mitchell. Longlegs esce nelle sale italiane il 31 ottobre 2024 per Be Water in collaborazione con Medusa Film. Per celebrare l’occasione ecco la spiegazione del finale del film. Come sempre, da questo momento in poi si procede con cautela. Occhio agli spoiler.

Di cosa parla Longlegs e perché si tratta, a tutti i livelli, una questione di famiglia

Longlegs; Cinematographe.it

Il dna non mente, l’horror è nel patrimonio genetico di chi lo fa. Oz Perkins – il destino nel cognome – è l’illustre figlio d’arte di papà Anthony Perkins, la star di Psycho. Il leggendario attore americano ha spaventato generazioni di spettatori con la caratterizzazione del folle Norman Bates, nel capolavoro del 1960 diretto da Alfred Hitchcock. La sua eredità è senza pari; ancora oggi, l’interprete che voglia cimentarsi con il genere deve necessariamente confrontare il proprio lavoro con lo standard fissato da Anthony Perkins. Il film e il personaggio hanno definito le coordinate di quello che viene considerato l’horror moderno, ancorato alla realtà – anche quando si diverte e introdurre elementi sovrannaturali, come è il caso di Longlegs – e decisamente più fluido di quello tradizionale.

Proprio come Psycho, che ridefinisce i contorni del genere mescolando shock, paura, suspense e ritmi incalzanti da thriller classico – la definizione corretta del film è thriller/horror e non horror e basta –Longlegs può essere considerato un esempio di cinema ibrido, non ancorato a una singola etichetta ma capace di “rubare” a generi diversi. I debiti di riconoscenza sono tanti. La paura, l’atmosfera opprimente, il senso di malessere generalizzato e la visione di un mondo svuotato di speranza avvicinano il film ai toni lugubri pensati da Jonathan Demme per Il silenzio degli innocenti (1991). Raccontando di un serial killer, nella messe di riferimenti all’opera di autentici assassini di cui Oz Perkins (anche sceneggiatore) si è servito per definire la mitologia del film, i messaggi in alfabeto cifrato sono l’esplicito richiamo al modus operandi del serial killer americano per eccellenza, Zodiac, protagonista dell’omonimo film del 2007 di David Fincher con Robert Downey Jr. e Jake Gyllenhaal.

Longlegs è la storia di Lee Harker (Maika Monroe), agente FBI dotata di un particolare sesto senso per il crimine e impegnata con il collega Carter (Blair Underwood) a dare la caccia al misterioso serial killer conosciuto con il nome di Longlegs (Nicolas Cage). A renderne particolarmente inquietanti gli omicidi non è solo l’efferatezza dei crimini, ma anche la difficoltà a spiegare il suo comportamento. È come se colpisse agendo da remoto, controllando a distanza l’operato degli esecutori materiali dei delitti, padri che impazziscono e sterminano il resto della famiglia. Lee – il cui rapporto con il killer è assimilabile, anche se non identico, a quello tra Jodie Foster e Anthony Hopkins nel Silenzio degli Innocenti – sa che Longlegs colpisce soltanto famiglie in cui c’è una bambina che festeggia il compleanno il 14 del mese. Quello di Lee cade il 14 gennaio. La protagonista intuisce che il suo sesto senso è conseguenza di un incontro ravvicinato con il killer, ma non capisce quando e come sia potuto accadere. Chiede aiuto a sua madre Ruth (Alicia Witt) – molto reticente a proposito di certe pagine del loro passato comune – per dipanare il mistero.

Cosa succede nel finale di Longlegs e come Oz Perkins ci suggerisce di considerare le ultime, ambigue, inquadrature

Longlegs - cinematographe.it

La grande rivelazione di Longlegs parte da una felice intuizione di Lee. Longlegs non può, pensa, agire da solo e per di più a distanza. Deve per forza esserci un complice. In effetti c’è, ma sarebbe stato meglio, per lei, non averlo mai scoperto. La ragione per cui Lee avverte un senso di affinità con l’assassino è che la complice è… sua madre. Riavvolgiamo il nastro. Longlegs viene catturato dall’FBI, il suo vero nome è Dale Kobble e costruisce bambole. Si ucciderà sbattendo violentemente la testa contro il tavolo nella stanza degli interrogatori dove Lee si sta occupando di lui, non prima però di averle fornito informazioni decisive. Dale ha smesso da tempo di essere un semplice essere umano. Satana lo controlla e si serve di lui – Dale ne parla come di the man downstairs, il signore del piano di sotto – per portare a termine i suoi piani di morte.

La chiave del mistero è nascosta nelle bambole. Esteriormente, sono una riproduzione fedele dei lineamenti della figlia femmina, nata il 14 del mese, che verrà poi brutalmente massacrata. Vengono consegnate alle famiglie in prossimità degli omicidi. La bambola ospita una spaventosa forza maligna che, combinata alla capacità telepatica di Longlegs di controllare il comportamento del padre, ne scatena la furia omicida. Un giorno di tanti anni prima Longlegs si era presentato a casa di Ruth e Lee con la bambola. Ruth, disperata, aveva implorato il killer di risparmiarla, proponendogli un patto. Lo avrebbe aiutato con gli omicidi a condizione di vedere risparmiata la sua vita e quella della figlia. La donna diventa complice di Longlegs; è lei che si occupa, da questo momento in poi, di consegnare le bambole, restando sulla scena del crimine in qualità di testimone. Suo è lo scantinato offerto al killer come rifugio e laboratorio per la costruzione della bambole. Era la bambola a schermare la memoria della protagonista, per impedirle di recuperare il ricordo del patto diabolico.

Morto Dale, Ruth spara alla bambola/Lee, mentre la protagonista perde i sensi e una strana presenza nerastra si allontana dal suo corpo: la ragione dell’affinità tra Lee e il killer, il sesto senso, era un retaggio della forza oscura nascosta dentro di lei. Morto Kobble, il legame si sbriciola e il potere scompare. Lee recupera i sensi e scopre che sua madre ha raggiunto, rimpiazzando Longlegs, la casa dell’agente Carter, che in quel momento sta celebrando, con la moglie Anna (Carmel Amit) e la figlia Ruby (Ava Kelder), il compleanno di quest’ultima. Ruth consegna alla famiglia la bambola. Lee non può impedire a Carter di uccidere la moglie, ma riesce a fermarlo sparandogli quando lui cerca di avvicinarsi alla figlia e, soprattutto, uccide sua madre per impedirle di sostituirsi al padre e completare gli omicidi. Lee rivolge la pistola contro la bambola. L’arma non funziona. Lee la fissa e suggerisce a Ruby che è arrivato il momento per entrambe di andarsene. Si torna per un momento a Longlegs, un attimo prima della sua morte, che nella stanza degli interrogatori inneggia al demonio. Fine della storia. Fine?

Oz Perkins non chiarisce, deliberatamente, se Lee abbia sconfitto il Male o se sia diventata la nuova incarnazione di Longlegs. Ma in più di un’intervista ci ha suggerito di considerare Longlegs – senza per questo affermare che le cose stiano effettivamente così – come un arco narrativo maligno di cui Lee è vittima inconsapevole, una tragica ineluttabilità che si rovescia su di lei partendo dalle indagini e che si conclude e si perfeziona con l’omicidio della madre. E se il piano del diavolo fosse in realtà stato questo fin dall’inizio? Che il dibattito abbia inizio.