Lubo: la storia vera del film di Giorgio Diritti
Il film Lubo affonda le sue radici in un capitolo oscuro della storia svizzera.
Giorgio Diritti torna al cinema con Lubo, un film intenso e doloroso che esplora una pagina poco conosciuta della storia svizzera del Novecento: la persecuzione degli jenisch, una comunità nomade, attraverso un programma di “rieducazione” che nascondeva una vera e propria pulizia etnica. La pellicola, ispirata al romanzo Il seminatore di Mario Cavatore, è stata presentata in concorso alla 80ª Mostra del Cinema di Venezia, suscitando reazioni contrastanti, ma lasciando un segno profondo su chi l’ha vista.
La trama del film: una storia di vendetta
Ambientato alla vigilia della Seconda guerra mondiale, il film Lubo segue la storia di Lubo Moser, un giovane artista di strada jenisch che vive serenamente con la moglie Mirana e i loro tre figli. La tranquillità della sua vita nomade viene spezzata quando, nel 1939, Lubo è costretto a unirsi all’esercito svizzero per proteggere i confini del Paese dall’eventuale invasione nazista.
Mentre Lubo è lontano, la tragedia colpisce la sua famiglia: i suoi figli vengono portati via dalla polizia e affidati agli istituti dell’Opera “Bambini della strada”, un’organizzazione che, sotto l’egida della Pro Juventute, mirava a eliminare il nomadismo. Mirana, nel tentativo disperato di opporsi, perde la vita. Inizia così un’odissea che trasforma Lubo in un uomo deciso a vendicarsi, non attraverso la violenza, ma con un piano inusuale: inseminare il maggior numero possibile di donne svizzere, in un atto simbolico di resistenza e ribellione contro chi ha distrutto la sua famiglia.
La storia vera dietro il film Lubo
Il film Lubo affonda le sue radici in un capitolo oscuro della storia svizzera. Tra gli anni Trenta e Settanta, la Confederazione Svizzera, attraverso la Pro Juventute, promosse un programma di rieducazione volto a sradicare il nomadismo. Questo programma portò alla deportazione forzata di migliaia di bambini jenisch, strappati alle loro famiglie e affidati a istituti o a famiglie stanziali. L’obiettivo dichiarato era quello di “integrarli” nella società, ma le conseguenze furono devastanti: separazioni dolorose, traumi profondi e l’annientamento di una cultura.
La persecuzione degli jenisch, noti come “zingari bianchi”, rappresenta una forma di “pulizia etnica” poco raccontata e ignorata per decenni. Solo nel 1987 la Svizzera riconobbe ufficialmente le proprie responsabilità in questa vicenda, un’ammissione tardiva per una tragedia che aveva già segnato diverse generazioni.
L’approccio di Giorgio Diritti
Con Lubo, Diritti sceglie un registro narrativo sobrio, evitando la retorica e il melodramma. Il film, lungo 175 minuti, si prende il tempo necessario per costruire la vicenda con delicatezza, mantenendo un costante equilibrio tra il dramma personale del protagonista e il contesto storico più ampio.
Il cuore pulsante del film è l’interpretazione di Franz Rogowski, che porta sullo schermo un Lubo vulnerabile e determinato. L’attore, noto per il suo lavoro in Freaks Out e Passages, riesce a incarnare la complessità del personaggio, un uomo semplice trasformato dalle circostanze in un simbolo di resistenza. Inoltre, l’attore recita in diverse lingue, tra cui l’idioma jenisch, il tedesco dei cantoni, il francese e l’italiano.
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