Luca Marinelli, il talento dell’outsider
Dagli esordi con Saverio Costanzo alle serie tv americane, passando per il David e i personaggi cult, un excursus tra le interpretazioni di Luca Marinelli
Luglio 2020. Netflix pubblica online The Old Guard, primo action americano per Luca Marinelli al fianco di Charlize Theron. 35 anni, dei quali 10 da protagonista nel cinema, l’attore è riuscito a convincerci quasi sempre, pur interpretando ruoli profondamente diversi tra loro. Ragazzi insicuri, uomini spacconi, criminali di borgata, villain. Ma anche padri, soldati, artisti e fidanzati in crisi.
Un papà doppiatore, Eugenio Marinelli, Luca si diploma all’Accademia d’Arte Drammatica nel 2009. E già nel 2010 ottiene la prima parte da protagonista. Lo stile che andrà via via costruendo nella sua carriera è molto naturalistico. Bellezza e spalle larghe fortunatamente non gli impediscono di uscire dai cliché che spesso il cinema addossa agli attori di bella presenza. Così la sua carriera inizia proprio con personaggi borderline.
Luca Marinelli, un attore letterario. Dai numeri primi a Diabolik
Uscirà il 31 dicembre il Diabolik dei Manetti Bros che vedrà Marinelli nel ruolo del ladro in calzamaglia. Ma molti sono i personaggi letterari interpretati dall’attore. Il Marinelli letterario inizia con l’esordio. Diretto da Saverio Costanzo interpreta il problematico Mattia ne La solitudine dei numeri primi, tratto dall’omonimo romanzo di Paolo Giordano. Invece ne L’uomo terrestre di Gipi, tratto da una graphic novel, è addirittura un travestito. Una questione privata lo vede nei panni di un soldato in una storia di maturazione e amicizia a sfondo bellico diretta dai Taviani e tratta dal romanzo di Beppe Fenoglio. Poi con Tutti i santi giorni di Paolo Virzì, ispirato al romanzo La generazione di Simone Lenzi, esplora i meandri della sopportazione con il suo portiere di notte stoicamente innamorato, mentre nel televisivo Maria di Nazareth, nel 2013, interpreta un giovane San Giuseppe, prodotto più leggero e commerciale che gli sta stretto e non gli offre molto più dell’ennesimo presepe vivente televisivo.
Nel 2020 Martin Eden gli frutta il David di Donatello come Migliore attore protagonista. Rivisitazione partenopeo-mediterranea dell’omonima opera di Jack London, gli permette di tirare fuori tutta la veracità e la maturazione del personaggio di cui è capace grazie a una complessa struttura interiore alla base della narrazione. Martin parte dalla condizione di ignoranza anche nei modi, ma di fertile acume, così da diventare un letterato e sindacalista grazie a una ragazza borghese che lo inizierà allo studio. Una parte completa che rimette insieme tantissime delle sfaccettature seminate da Marinelli nei suoi personaggi precedenti. In più c’è l’avventura dialettale che qui lo rende napoletano.
I dialetti, TV, outsider e cult
Non solo il romanesco, dialetto originale di Marinelli nella vita e in molti dei suoi film. Grazie a Il mondo fino in fondo, opera prima di Alessandro Lunardelli, si cimenta con il veneto. Il suo ruolo è il fratello maggiore del protagonista, un giovane businessman sfacciato e omofobo. Mentre con la serie Sky sul rapimento Getty, Trust, passa al calabrese nei panni del rapitore senza scrupoli. Ma forse è il film tv su Fabrizio De André la prova più ardua. Pur dimostrando piena padronanza nelle intenzioni espressive, il suo genovese non è molto credibile, ma nel canto risulta esplosivo.
È il romanesco a decretarne definitivamente il successo con un paio di cult. Non essere cattivo è l’ultimo film di Claudio Caligari. Siamo nel 2015. Qui l’attore dimagrisce trasformandosi in un tossicodipendente di Ostia insieme ad Alessandro Borghi. Una performance tutta nervi e disperazione che di lì a un anno muterà nello Zingaro di Lo chiamavano Jeeg Robot. Luca Marinelli si fa tutto minacce, paillette e karaoke da cinecomic de noantri, una caricatura semiseria e fortemente pop che grazie alla direzione di Gabriele Mainetti lo salda come uno dei cattivi del cinema italiano più amati, e insieme più spassosi e inquietanti degli ultimi anni. Un piccolo miracolo insomma.
Il cammino con alcuni outsider del nostro cinema era però già iniziato nel 2013 ad opera di un certo Paolo Sorrentino, che nella Grande Bellezza lo dipinge di rosso per mostrare la fragilità di un ragazzo ricco con una gravissima instabilità psichica. Marinelli si giostra sempre benissimo nel ruolo del reietto. È un attore aperto a scandagliare le ombre dell’animo umano donandosi sempre completamente, soprattutto a personaggi dalla mente disturbata. Così in Lasciati andare, brillante quanto sottovalutata commedia, compare in ottima forma nel finale, vicino a Toni Servillo. La parte è quella del borgataro appena uscito di prigione, oramai per lui un gioco da ragazzi. Però in Ricordi? di Valerio Mieli è chiamato a impersonare un innamorato sfuggente. Delicato e a tinte tenui, collocabile più o meno nello stesso emisfero dei personaggi che aveva interpretato per Virzì e Costanzo. Il film fluttua tra le memorie incrociate e cangianti di due amanti intenti a lasciarsi. Un continuo susseguirsi di sfumature e microespressioni per lui, ognuna accarezzata sempre con giusta misura.