L’Ufficiale e la Spia: la storia vera dietro al film di Roman Polański
Qualla racconata in L'Ufficiale e la Spia (2019), ultimo film di Roman Polański, è la storia vera del caso Dreyfus. Ecco cosa accadde realmente!
Forte di una regia sontuosa, di un cast di grande livello e di maestranze eccelse, J’Accuse (L’Ufficiale e la Spia) di Roman Polański, tratto dall’omonimo romanzo di Robert Harris sul caso Dreyfus, sta riscuotendo unanime consenso di critica e pubblico, in Italia e Francia è già in testa ai botteghini e già ci si chiede come sarà possibile escluderlo da un’eventuale corsa all’Oscar, visto anche il Leone d’Argento conseguito all’ultimo Festival di Venezia.
Tuttavia, occorre forse capire il perché questo film è così importante oggi come oggi, e concentrarsi sul suo protagonista, su quel misterioso ufficiale d’artiglieria di origini ebraiche che diventò suo malgrado il simbolo di quell’antisemitismo, che nel XX secolo che ormai era alle porte, sarebbe diventato fulcro di tragedie immani.
Perché al di là di tutto, di misteri, cospirazioni, negligenza e spionaggio, ciò che rimane di quella vicenda che ebbe enorme eco in tutto il mondo occidentale, è la certezza che fu il frutto di un periodo storico a dir poco complicato.
La situazione storica europea e francese negli anni in cui è ambientato L’Ufficiale e la Spia, il nuovo film di Roman Polański
Per capire perché Dreyfus finì in quel terribile girone infernale, occorre tener presente che la Francia e tutta l’Europa vivevano un periodo storico a dir poco delicato, infiammato dalle idee di Karl Marx, dalle continue lotte da parte delle masse operaie e contadine per aver maggiori diritti, così come dagli anarchici, a cui faceva da contraltare una repressione feroce da parte di polizia ed esercito, lunga-mano dell’alta borghesia e delle classi più agiate, atterrite dall’idea di lasciar spazio alle masse.
L’Europa uscita dal periodo napoleonico non era stata affatto pacifica, con continui conflitti tra le varie potenze, imperialismo, rivolte… vi erano state le guerre d’indipendenza in Grecia e Italia, la guerra di Crimea aveva portato altra miserie a morte, la nascente potenza prussiana soprattutto, aveva piegato l’impero austriaco e nel 1871 anche quello francese.
E proprio la Francia aveva subito i maggiori mutamenti, perdendo con i prussiani non solo l’Impero di Napoleone III, ma anche la leadership che pensava di avere sul continente.
Da quelle ceneri era nata la Terza Repubblica, dominata da elementi borghesi, ma la sconfitta netta e bruciante, era rimasta sotto la pelle dell’opinione pubblica, e l’esercito e le classi conservatrici bramavano vendetta, “revanche”, sull’impero germanico.
La corsa agli armamenti da parte francese riprese con vigore, così come il suo colonialismo, e vi furono grandi investimenti per ciò che riguardava l’artiglieria e le armi leggere, uno dei tanti segnali che facevano presagire ciò che sarebbe successo da lì a 20 anni.
Cinematographe.it presenta L’ufficiale e la spia di Roman Polanski
Chi era Alfred Dreyfus?
Lo spionaggio, il complottismo, si fecero largo nelle menti delle classi dominanti, tra le fautrici di quella teoria per la quale la sconfitta del 1871 era stata causata dagli ebrei, visti come sanguisughe, profittatori, usurai, soprattutto dalla destra francese, clericale e monarchica.
Fu tutto un fiorire per anni di riviste e giornali antisemiti, che accusarono gli ebrei anche degli scandali finanziari che in quegli anni travolsero importanti banche transalpine e in breve si cominciò a parlare di una “internazionale ebraica” sovversiva, astuta, che mirava a distruggere la Francia dall’interno, con l’aiuto delle potenze straniere.
In tutto questo, arrivò come un fulmine il Caso Dreyfus, nel quale questo giovane ufficiale, figlio di una famiglia benestante, si trovò suo malgrado a fungere da capro espiatorio.
Alfred Dreyfus era nato in Alsazia, che dopo la guerra del 1871 era stata annessa all’Impero tedesco, e da cui la sua famiglia era scappata.
Alfred aveva abbracciato con decisione la carriera militare e si era sposato nel 1890 con Lucie Hadamard, quando era entrato nell’Ecole de Guerre, dove si formavano gli Ufficiali di Stato Maggiore.
Alfred non sapeva molto delle trame a base di spie, messaggi segreti e intercettazioni postali con le quali Francia, Germania e le altre Superpotenze europee si tenevano d’occhio a vicenda. Quella guerra di spie non lo riguardava. Almeno fino al 26 settembre 1894.
Quel giorno Madame Bastian, un’anziana donna impiegata come addetta alle pulizie nell’Ambasciata di Germania a Parigi che in realtà lavorava come informatrice per i Servizi Segreti francesi, consegnò alcuni documenti appartenenti a Maximilian von Schwartzkoppen, addetto militare tedesco a Parigi.
Tra i vari fogli, alcuni attirarono l’attenzione del Maggiore Hubert Henry, vice-direttore del controspionaggio francese, poiché in essi si davano precise informazioni inerenti truppe, armamenti e spiegamenti dell’esercito francese.
Si pensò che solo un ufficiale che operasse dentro lo Stato Maggiore potesse avere tali conoscenze e tra i vari sospettati, “casualmente” si pensò che il più plausibile fosse Alfred Dreyfus, la cui calligrafia ad alcuni improvvisati esperti del caso, parve identica.
Il Caso Dreyfus: la vera storia dietro al film L’ufficiale e la spia
Il 13 ottobre 1894, Dreyfus riceve l’ordine alquanto strano di recarsi lunedì 15, alle ore 9, al Ministero della Guerra, per un’ispezione generale dal ministro Auguste Mercie, dove gli venne chiesto di redarre un testo scritto, sottoponendolo a provocazioni e accuse assolutamente pretestuose.
Dopodiché fu arrestato da ufficiali nascostisi nel salone e gli venne offerto “l’onore” del suicidio, quasi a semplificare la faccenda.
Alfred rifiutò e venne portato nel carcere militare di Cherche-Midi, non prima di essere interrogato clandestinamente dal Maggiore Henry, mentre nel paese cominciò a serpeggiare la voce che un complotto ebraico fosse in atto per sovvertire la Repubblica.
Il processo svoltosi in dicembre fu una farsa influenzata da prove fabbricate, da una stampa xenofoba e rimpinguata da intellettualoidi reazionari, nonché da una prova calligrafica di Alphonse Bertillon e dal suo “metodo calligrafico” che sarebbe stato solo ai primi del 900 definito per quello che era: avanspettacolo.
Dreyfus fu condannato all’unanimità al termine di un processo dove ai giudici (e non alla difesa) fu dato un dossier segreto di prove contro l’accusato assolutamente sconclusionato e senza costrutto.
La realtà è che l’entourage militare e la politica più conservatrice volevano un piccola assaggio di revanche alle spese di un “rappresentante” di quel multiculturalismo che essi odiavano.
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L’intervento di George Picquart
Il 5 gennaio 1895, Dreyfus viene degradato con una cerimonia nel cortile della Scuola Militare, insultato da una folla esagitata, piena di diversi degli pseudo-intellettualoidi razzisti e xenofobi che godono dell’umiliazione del giudeo nemico della patria.
Viene deportato nell’Isola del Diavolo, un’isolotto al largo della Guyana francese, mentre gran parte della destra e dei giornali ad essa connessi si rammaricano della mancata condanna a morte.
La vita ora potrebbe riprendere nella “normalità” della Francia bellicosa e insoddisfatta di quegli anni, se non si mettesse in mezzo un colonnello dei Servizi Segreti, George Picquart, ex insegnante proprio di Dreyfus, ed ufficiale molto apprezzato sia in patria che all’estero, tanto da insegnare alla Scuola di Guerra dello Stato Maggiore.
Pochi mesi dopo la condanna infatti, i suoi uomini gli fecero avere delle lettere della corrispondenza tra Schwartzkoppen e un oscuro maggiore francese chiamato Ferdinand Walsin Esterhazy.
Dedito al gioco e alla bella vita, di antichi e nobili natali, Esterhazy si rivelò un traditore che in cambio di denaro vendeva regolarmente informazioni all’Impero Tedesco, e la cui grafia colpì immediatamente Picquart.
Notò immediatamente infatti una somiglianza tra questa e quella attribuita a quel Dreyfus di cui era stato inizialmente un acceso colpevolista, per poi cambiare idea quando aveva compreso l’inconsistenza delle prove contro il suo ex allievo.
Il famoso J’Accuse di Emile Zola sulle pagine de L’Aurore
Picquart comprese immediatamente che quella era la prova decisiva dell’innocenza di Dreyfus, che aveva preso il posto che spettava ad Esterhazy, e nel maggio del 1896 fece richiesta formale ai suoi superiori affinché riaprissero il caso e liberassero un innocente.
Per tutta risposta i suoi superiori lo rimossero dal comando e lo spedirono in giro per il fronte africano, all’epoca teatro di feroci scontri con le milizie ribelli locali.
Tuttavia i suoi sforzi non furono vani, e si unirono a quelli della moglie di Dreyfus, di numerosi uomini di lettere, giornalisti e politici francesi, ed anche stranieri (come il nostro Raniero Paolucci di Calboli) che raccolsero un numero enorme di prove del disastro giudiziario che si era perpetrato nei confronti dell’ufficiale.
Picquart riuscì a contattare diversi membri del governo, e questi si unirono ad un coro unanime che ormai interessava alcuni degli intellettuali più stimati e influenti del paese, come Octave Mirabeau, Bernard Lazare e soprattutto Emile Zola.
Il grande scrittore e giornalista francese, senza indugio alcuno, il 25 novembre 1897, dalle pagine de Le Figarò, cominciò il suo attacco ai vertici militari e alla destra xenofoba francese, arrivando a convincere dell’innocenza di Dreyfus addirittura Georges Clemenceau, tra i più acerrimi “forcaioli” del Capitano alsaziano.
Poi, 13 gennaio 1898 dalle pagine dell’Aurore, Zola pubblicò quello che ancora oggi è considerato uno degli articoli più importanti della storia, e un passo fondamentale nella lotta dell’uomo per la verità e la giustizia: il suo J’Accuse.
Cosa c’era scritto nella lettera pubblica scritta da Zola per difendere Dreyfus?
Indirizzata al Presidente della Repubblica, la lettera di Zola faceva i nomi degli ufficiali ed esperti forensi che avevano complottato, ingannato, mentito, che si erano macchiati di negligenza e incuria mandando un innocente alla rovina.
Di lì a poco apparve sempre sull’Aurore anche il Manifesto degli Intellettuali, con cui Manet, Jules Renard, André Gide, Anatole Frances, Jacques Bizet e Robert des Flers su suggerimento di Marcel Proust e del fratello Robert, si dichiararono d’accordo con Zola, il quale era stato immediatamente inquisito per diffamazione e vilipendio delle Forza Armate francesi, contemporaneamente all’arresto del colonnello Picquart (accusato di essere complice dell'”Internazione Ebrea”).
Persino l’ex consorte di Napoleone III, Eugenia di Montijo di schierò a favore dell’ufficiale alsaziano.
Durante il processo a Zola, in realtà si era tenuto di fronte a tutti un processo al processo Dreyfus, e Picquart aveva avuto modo di testimoniare in favore della tesi di Zola, senza farsi intimorire né dai suoi ex superiori, né dall’ex collega il Maggiore Henry, che arrivò ad insultarlo in aula.
Picquart avrebbe poi sfidato a duello Henry, ferendolo gravemente con un colpo di sciabola.
Zola fu condannato in primo e secondo grado, sarebbe poi stato amnistiato nel 1900 assieme a Picquart, mentre Henry, preso dal rimorso, confessò di essere lui l’autore della lettera che accusava Dreyfus, e di aver contraffatto parecchi documenti risultati poi decisivi al fine della condanna.
Arrestato, si tolse la vita ma con la sue azioni costrinse la Corte di Cassazione a riaprire il processo, annullando la sentenza del 1894, anche per le dichiarazione di Esterhazy, che dichiarò alla stampa di aver scritto lui il famoso bordereau su ordine nientemeno che del colonnello Sandherr, il predecessore di Picquart, uomo laido e xenofobo.
La liberazione e la riabilitazione di Alfred Dreyfus
Il nuovo processo si tenne a Rennes ma fu costellato da minacce agli avvocati e testimoni, e lo Stato Maggiore usò tutta la sua influenza per convincere la corte ad emettere una nuova sentenza di condanna, pena il “ledere l’onore dell’esercito”.
Tuttavia, per colmo della disperazione della destra e dei militari, l’unica conseguenza di una tale impopolare ed ingiusta decisione, fu che le successive elezioni politiche portarono al potere il liberale e moderato Pierre Waldeck-Rousseau, che offrì a Dreyfus la libertà in cambio di una sua domanda di grazia.
Dopo alcuni tentennamenti egli accettò, venendo infine liberato (tra le proteste dei suoi accusatori) nel 1899, chiedendo però già nel 1903 la revisione del processo che gli venne respinto. La Francia, apparentemente, ora che il peggio sembrava passato, voleva dimenticare ed andare avanti.
Fu grazie all’elezione di Clemenceau a Primo Ministro che Alfred poté finalmente essere reintegrato nell’esercito nel 1906, restituendogli il suo onore ed il suo grado, nonostante il malumore di alcune frange della destra antisemita, e gli venne anche conferita la Legion d’Onore.
La sua cerimonia di riabilitazione il 21 luglio, alla presenza di Picquart (divenuto Generale nel frattempo) e di pochi altri, si svolse in un’atmosfera irreale, tuttavia già l’anno dopo chiese di essere messo a riposo. Non gli erano infatti stati riconosciuti attivi i cinque anni passati ingiustamente in carcere e la sua carriera era comunque rovinata a tutti gli effetti.
Alfred Dreyfus: l’attentato per mano di Louis Gregori
Tuttavia per Dreyfus non era finita. Nel 1908, quando le ceneri del defunto Zola furono spostate al Pantheon fu vittima di un attentato per mano di Louis Gregori, che gli esplose alcuni colpi di pistola addosso.
Giornalista di estrema destra, Gregori rivendicò le sue azioni come mirate ad uccidere un traditore ed un simbolo della rovina della Francia, come preannunciato dal movimento monarchico e di estrema destra Action Francaise di cui faceva parte.
Dreyfus avrebbe ancora una volta indossato la divisa nel Primo Conflitto Mondiale, servendo presso l’artiglieria durante la Battaglia di Verdun assieme al figlio (divenuto anch’egli ufficiale) e rimanendo in servizio fino alla fine del conflitto.
L’ufficiale e la spia: così Parigi ricorda ancora Dreyfus
Morirà nel 1935 di infarto, seguito dieci anni dopo dalla moglie, sopravvissuta alle repressioni nazisti contro gli ebrei, che però falciarono la giovane vita della nipote Madeline, membra della Resistenza, che fu arrestata, torturata e che scomparve ad Auschwitz.
A Dreyfus è stata dedicata una statua nel quartiere ebraico di Parigi, a simbolo del suo coraggio e della sua eccezionale levatura morale.