L’uomo nell’ombra: spiegazione e significato del film di Roman Polanski
L'assenza di un uomo che pesa come un macigno. La presenza di un altro uomo che viene preso, usato e poi sacrificato. Tutto questo è L'uomo nell'ombra.
Un’atmosfera brumosa e misteriosa che stringe alla gola e lascia senza respiro. Un lavoro da svolgere, scrivere come ghostwriter – questo è il titolo originale de L’uomo nell’ombra – la biografia dell’ex premier britannico, Adam Lang (Pierce Brosnan), una ricerca da fare (documenti, parole, foto) e una verità da svelare (il finale a sorpresa). Rapporti che si stringono, altri che si frantumano. Nulla è come appare e nulla è come crediamo che sia. Su questo si costruisce L’uomo nell’ombra di Roman Polanski, vincitore dell’Orso d’Argento alla 60^ edizione del Festival del Cinema di Berlino, film che trae ispirazione dall’opera letteraria di Robert Harris – che cura anche insieme al cineasta la sceneggiatura. È interessante notare il riferimento alla storia di Tony Blair di cui Harris è stato, prima dell’uscita del libro e del film, grande amico e ghostwriter: un politico la cui carriera viene stroncata a causa di uno scandalo, entrambi sia Blair sia Lang sono “armi di distruzione di massa”.
Un uomo qualunque, L’uomo nell’ombra
L’uomo nell’ombra rientra perfettamente nella filmografia di Polanski, riprendendo tematiche care al regista (L’inquilino del terzo piano, Il coltello nell’acqua, Repulsion), allineandosi all’ars poetica dell’autore franco-polacco: il protagonista, quest’uomo senza nome, senza famiglia, senza una storia, è/viene segregato in una “prigione” come molti altri eroi polanskiani, messo in pericolo senza che se ne accorga; non riesce a comprendere fino in fondo ciò in cui è invischiato – neppure alla fine, perché il desiderio di scoprire la verità lo abbaglia – e quando crede di averlo capito tutto intorno a lui si modifica e crolla.
Il protagonista, interpretato da Ewan McGregor, rende il suo personaggio un placido, ingenuo uomo qualunque, in grado di mettersi a servizio della Storia. Fino ad un certo punto sembra riuscire, grazie alle sue evidenti capacità, a dibattersi tra date, aneddoti, luoghi e storie di Lang, poi però il castello di carte cade miseramente, dopo che l’ex premier viene incriminato dalla Corte penale internazionale dell’Aia per crimini di guerra (ha avallato la cattura di alcuni terroristi da parte della CIA permettendone la tortura).
L’uomo nell’ombra: Ia spiegazione di una caduta negli inferi
Da questo momento Polanski, come solo lui sa fare, inizia una lenta, inesorabile, ineluttabile caduta negli inferi; il povero scrittore viene risucchiato in un vortice che non lo lascia in pace mai, fatto precipitare nel più terribile degli incubi, “sferzato” da una coreografica danza che lo sospinge da una parte all’altra, sballottandolo sulle pareti di questo spazio non spazio. A fare da eco a questa prigione a cielo aperto c’è la Natura che come a seguire e a presagire gli stati d’animo e il travaglio dell’uomo si infuria con vento, pioggia, mare in burrasca, quasi a chiudere un triste cerchio soffocante e claustrofobico, e la musica del Premio Oscar Alexandre Desplat che segue con note cupe e ansiogene l’odissea di un povero uomo senza nome.
Proprio la claustrofobia, l’angoscia che monta sempre più sono elementi fondamentali per la riuscita di un thriller che strizza l’occhio alla spy story in cui nessuno è al sicuro (Adam Lang primo fra tutti, prima ancora McAra e soprattutto l’uomo nell’ombra) e anzi di minuto in minuto si è sempre più a rischio. In tutto questo si può rivedere la tipica suspense hitchcockiana – non a caso l’uomo nell’ombra è una sorta di uomo che sa troppo -, di scena in scena, di sequenza in sequenza la vertigine si fa sempre più intensa: fughe in macchina per salvarsi, mancata lucidità data dalla paura (il protagonista inizia a bere, come beveva McAra, nel corpo del predecessore infatti ci sono tracce di alcol), nodi alla gola che non permettono di respirare. Lo spettatore riesce, grazie anche a questa tecnica, ad immedesimarsi nel protagonista, prova ciò che prova lui, sente ciò che sente lui, percepisce le mani del nemico intorno alla gola e macina passi con/assieme a lui, partecipa alla ricerca che lui sta compiendo, ricerca con lui ogni indizio possibile.
Un altro punto interessante è la stretta relazione tra i personaggi e Polanski, o meglio tra la prigionia presente nel film e quella in cui si trova il regista nella realtà proprio in quel periodo: come Adam Lang resta “in esilio” in America per salvarsi dalle imputazioni a suo carico così Polanski è stato in esilio per trentanni in Svizzera per sfuggire alle accuse di violenze sessuali su minore e proprio mentre esce il film lui è prima in carcere (Harris racconta che al regista fu concesso di avere una sala di montaggio vicino alla cucina) poi agli arresti domiciliari. Questo stato di ansia perenne stringe a doppi legacci mondo diegetico e mondo exstradiegetico, entrambi immersi in uno spazio non spazio, in un Alcatraz senza mura in cui si è reclusi anche se si cammina indisturbati per la città, in un tempo non tempo, dilatato all’infinito, circoscritto al singolo istante.
L’uomo nell’ombra è in grado di far percepire l’inquietudine di chi è in pericolo, lo spaesamento di chi vede crollare tutto intorno a sé, la frustrazione di chi vede la verità perennemente nascosta. Polanski fa tutto questo usando il percorso di un uomo qualunque che, anche se per pochi istanti, veste i panni dell’eroe, e calando la storia nell’oggi, nei giorni cupi e falsi che l’uomo contemporaneo vive.