M – Il Figlio del Secolo rompe straordinariamente la quarta parete! Spieghiamo come e perché

La rottura della quarta parete è un espediente cui ricorrono molte serie TV, ma in poche riescono a farlo bene come M - Il Figlio del Secolo. Vediamo perché.

Il successo di un film o, come è il caso, di una serie TV, dipende dalla combinazione di un certo numero di fattori: un cast azzeccato, un’idea di scrittura solida, una regia che sa quello che vuole e come ottenerlo, un buon tempismo, un pubblico ricettivo. Talvolta capita che la ricetta funzioni e siano gli ingredienti a fare difetto. Oppure, ci sono le potenzialità e quello che manca è la volontà o la possibilità di armonizzare. M – Il Figlio del Secolo, su Sky e in streaming su NOW dal 10 gennaio 2025, ha tutto: la combinazione dei fattori e un colpo di genio.

Ha un protagonista magnetico e terribile, Benito Mussolini – lo interpreta un monumentale Luca Marinelli – raccontato dal 1919 all’inaugurazione della dittatura nel 1925. Ha una fonte letteraria di pregio, l’omonimo bestseller di Antonio Scurati vincitore del Premio Strega. Ha la forza immaginifica della regia di Joe Wright, l’autore venuto da fuori a scardinare felicemente l’italianità dell’operazione. Ha un grande cast di contorno, da Barbara Chichiarelli a Francesco Russo ma non solo. Mixa farsa, commedia, tragedia e cronaca rigorosa dei fatti; soprattutto, ha un’idea pazzesca a sostenerlo. Nel corso degli otto episodi, Benito Mussolini rompe sistematicamente la quarta parete, parla in camera e scatena un dialogo insinuante e pericoloso con il pubblico. In tanti lo hanno fatto prima di M – Il Figlio del Secolo. In pochi lo ha fatto bene come M – Il Figlio del Secolo. Vediamo perché.

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Un espediente narrativo che arriva dal teatro e serve a stabilire una complicità forte con lo spettatore

M - Il figlio del secolo; cinematographe.it

Ironico che la rottura della quarta parete venga percepita come una soluzione incredibilmente moderna, quando in realtà è in giro da parecchio. La radice è nel teatro, persino il teatro antico. Pensiamo alla scena di un allestimento teatrale e alle sue tre pareti: la quarta è invisibile, immaginaria, e separa il palcoscenico dalla platea. Rompere la quarta parete significa, letteralmente, spezzare la continuità della narrazione per consentire a un personaggio, generalmente il protagonista, di rivolgersi direttamente al pubblico. Per quale motivo? Per comunicare impressioni, stati d’animo o fatti. E stabilire una forte complicità con chi guarda.

In M – Il Figlio del Secolo Benito Mussolini (Luca Marinelli) parla con il pubblico per chiarire, approfondire, smentire, minacciare, per raccontare se stesso e il mondo che lo circonda. Parla soprattutto nella prima fase della storia, quella che, senza svilire la tragica portata degli eventi, mescola coraggiosamente rigore cronachistico e grottesca deformazione delle personalità. Nella seconda metà la comunicazione con lo spettatore si fa meno frequente, ma a suo modo più intensa. L’umorismo nero degli inizi lascia spazio a un senso incombente di minaccia e tragedia, coerentemente con il progressivo deteriorarsi della Storia dalla marcia su Roma al delitto Matteotti alla conseguente, tragica, assunzione di responsabilità storica, politica e morale del delitto.

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Lo scivolamento di prospettiva sottolinea la forza di una scelta che ha una micidiale ragion d’essere. La rottura della quarta parete stabilisce una complicità solidissima tra interprete e pubblico. Lo sapeva Phoebe Waller-Bridge, autrice e protagonista di Fleabag, che infatti se ne serviva per farci entrare in sintonia sentimentale e emotiva con il suo personaggio. Lo sapeva Kevin Spacey/ Frank Underwood, luciferino protagonista di House of Cards. Frank Underwood, esempio calzante, è una costruzione di pura fiction ma condivide tanto con M: entrambi opportunisti, ipocriti, animati da un sinistro e inquietante umorismo, violenti e sopraffattori. Pure, al di là di una morale della favola ambigua e di una scrittura intelligente e imbevuta di nero umorismo, la rottura della quarta parete in House of Cards non andava oltre una maliziosa e provocatoria strizzatina d’occhio. M – Il Figlio del Secolo fa di più.

M parla con il pubblico per molte ragioni: vediamo quali

La rottura della quarta parete meticolosamente organizzata da M – Il Figlio del Secolo parte da un’intuizione del team di scrittura – Stefano Bises e Davide Serino – condivisa e alimentata dalla regia di Joe Wright. Il teatro è il dna del regista inglese. L’influenza esercitata sul suo senso dello spettacolo dall’opera del poeta e drammaturgo tedesco Bertolt Brecht – la rottura della quarta parete come strumento di alienazione e di “leva” per il pubblico, per consentirgli di ragionare in modo critico e maturo – si riverbera con sorprendente efficacia su M – Il Figlio del Secolo. M parla con il pubblico e ci sono molte ragioni per questo.

Prima di tutto, la rottura della quarta parete ci ricorda che nella vita e in politica esistono due standard di verità: la menzogna strumentalizzata all’occorrenza e travestita da verità, e la verità tout court. Poi, vale anche come risposta a un disperato bisogno di pulizia interiore. M è un criminale e sa di esserlo; stabilire una linea di comunicazione con il pubblico tradisce l’involontaria speranza di essere capito e assolto. La rottura della quarta parete, a un livello psicologico, è il riflesso di un percorso di costruzione dell’identità sfuggente e problematico. Luca Marinelli modella un Mussolini opportunista e sempre pronto a tradire e tradirsi pur di arrivare allo scopo. Cambia in continuazione, per adattarsi ai tempi che fuggono, e smarrisce la sua identità. Uno e centomila, forse anche nessuno: M parla con il pubblico, spiega se stesso per non perdersi, per leggersi dentro. Tuttavia, la doppia verità, il bisogno di assoluzione, la ricerca dell’identità, sono motivazioni che coinvolgono lo spettatore ma solo parzialmente. Deve esserci dell’altro. C’è, infatti.

A un livello più alto, si parla in camera soprattutto per responsabilizzare lo spettatore. La storia è quella di una terribile, magnetica seduzione, la seduzione del fascismo e del suo leader/tiranno; per dirla con le parole di Joe Wright, è la storia dei pericoli indotti dall’empatia. M comunica con lo spettatore per farne un complice dei suoi crimini e intanto si svela nella sua imperfetta umanità. Di essere umano si tratta, non di un mostro; parlarne altrimenti ne ridimensionerebbe le pesantissime responsabilità. M – Il Figlio del Secolo ci “costringe” a comunicare con Benito Mussolini e a diventare fascisti, ci fa cadere nella trappola di una cupa seduzione perché solo così, ragionando e interrogandoci sui limiti e le possibilità della libertà individuale e collettiva – nel frattempo assistendo a un intrattenimento di prima qualità – possiamo essere davvero antifascisti. Possibile che, nello stabilire un’inedita comunicazione con il pubblico, Joe Wright, Luca Marinelli, Stefano Bises, Davide Serino e il resto del cast di M – Il Figlio del Secolo abbiano fatto dell’autentico cinema in 3d?