Marcello Fonte e la sua interpretazione in Dogman di Matteo Garrone

Marcello Fonte ha vinto la palma d'oro a Cannes per la sua interpretazione in Dogman. La trasformazione del personaggio di Marcello è visibile e viene esplicata tutta in quel primo piano finale, tra le immagini più potenti del cinema italiano degli ultimi tempi.

Ha emozionato l’Italia Marcello Fonte, per ben due ottimi motivi. Ha prima di tutto interpretato magnificamente una parte che sembra essere stata costruita appositamente sulla sua figura di attore ed ha poi portato quel ruolo fino al Festival di Cannes in cui una giuria cinematografica gli ha assegnato la palma d’oro per la migliore interpretazione maschile.

Un plauso che rende orgoglioso il suo Paese di nascita, gli appassionati della meravigliosa macchina cinema e quell’uomo che nel mondo della settima arte sente di aver trovato la propria famiglia. Ma nonostante il premio conferitogli, nonostante il richiamo internazionale che un tale riconoscimento può produrre, a rendere davvero commossa l’Italia è quel primo punto fondamentale, la vera scintilla che ha reso tutto questo possibile.

Dogman – Il Canaro di Marcello Fonte e Matteo Garronemarcello fonte cinematographe.it

Prendendo la storia del Canaro e del brutale fatto di cronaca che lo ha visto protagonista nel 1988, Dogman di Matteo Garrone è l’opera presentata sulla Croisette che vive principalmente non tanto della crudeltà del terribile atto consumato nella periferia della Magliana, ma di tutta la portata umana e dolente che può scaturire dall’incontro tra le persone. Nel ruolo di Marcello, a cui la sceneggiatura toglie il peso del reale privando il personaggio del vero nome dell’omicida e facendolo entrare in simbiosi con l’interprete da renderlo addirittura l’omonimo, Fonte dimostra la portata feroce della gentilezza e della bontà che rimane soffocata sotto la pressione della violenza.

La sua postura, quel viso allungato e gli occhi incapaci di poggiarsi con cattiveria sul mondo, sono il contrasto delle azioni del Canaro a cui l’attore si approccia con la maggior confidenza possibile, ignorando quasi cosa il suo personaggio sarà portato poi a fare e mostrandolo per questo perfettamente integrato negli incastri del racconto che, pur ripetendosi cadenzati, sembrano sempre cogliere alla sprovvista il protagonista. Marcello ama qualsiasi cane e ama in maniera smisurata la sua piccola figlia. Ama i vicini con cui condivide le tavolate e ama essere apprezzato dagli abitanti del quartiere. È la premura di un uomo qualunque – pur con una morale non così fermamente pulita – che Fonte riesce a riproporre e in cui sembra facilitato dal proprio aspetto bonario.

La prevaricazione di Simoncino sull’impotenza di quest’uomo umile traspare dall’atteggiamento di Fonte che sa rendersi indifeso davanti alla fisicità dell’ex pugile, che lo segue durante i suoi colpi notturni, che lo difende facendo calare un silenzio eloquente di rabbia e fedeltà nella sala dell’interrogatorio. Come un cane ammaestrato, come un cucciolo abituato alla compagnia degli amici e alla tranquillità, Marcello Fonte costruisce il suo personaggio, buffo nella corporatura e nel sorriso a mezza bocca, ma pronto a trasformarsi gradualmente con l’esclusione dal branco.

Dogman – Quel cane randagio di Marcello Fontemarcello fonte cinematographe.it

Ed è proprio come se fosse un animale ferito e rimasto solo che si comporta: Marcello Fonte mostra la vendetta di un uomo semplice che reclama le dovute scuse, che vuole solo quello che gli spetta, tirando fuori i denti per ringhiare limitandosi però soltanto a fare rumore. O almeno così pensava. È con il torto di Simoncino che Fonte comincia a tirare fuori una performance da brividi. È in quel momento, con quelle cicatrici che non potranno più rimarginarsi, che farà del Canaro l’espressione più dolorosa dell’umano. Diventato un cane randagio, Marcello sarà portato ad agire come tale, a nascondersi dalle minacce del gruppo che lo ha ormai rinnegato, progettando di vagare per territori più fortunati, ma negati dalla mancanza dei soldi che gli deve il delinquente. E, nel suo stato ramingo, muterà improvvisamente i lineamenti del volto, la fisicità prima trasandata che diventa dopo la galera più sicura. Incredibilmente forte e repentino, come una macchina che distrugge a sprangate una motocicletta.

Mentre Garrone mette in scena l’ultima parte, Marcello Fonte dà prova di cosa sia la pietà, non essendone portatore primario, ma rovesciandola sul pubblico scombussolato dalla storia del Canaro per come il regista romano ha voluto narrarla. La trasformazione in bestia si avvia e si completa nel protagonista, un animale che ha agito esattamente come avrebbe fatto qualsiasi umano. Fonte umilia e chiede simultaneamente scusa, prende in giro e si spaventa, tutto nell’arco della stessa scena, nello stesso spazio, fino a quando una corda di ferro non pone fine all’uccisione. Ma con l’omicidio il randagio non è giunto ad alcun punto di libertà, anzi, si è messo da solo il guinzaglio. Un collare che fa ulteriormente cambiare all’interprete il tono della sua recitazione, che raggiunge il terzo stadio del suo sviluppo e si conclude con un lungo primo piano finale, tra le tracce più potenti dell’interpretazione di Fonte.

La camera da presa è presente, si muove intorno al volto di Marcello e ne cattura i sentimenti che lo oscurano, ripercorrendo quasi gli avvenimenti del film con i connotati del suo viso. C’è l’iniziale calma da cui è stato turbato dal suo oppressore, c’è la paura di quei furti commessi, ma anche quella tirata di coca che rendeva le serate più leggere. E poi comincia ad ombrarsi, perché a sopraggiungere c’è il colpo che lo ha incastrato, la prigione, il tradimento, l’essere finito inevitabilmente solo. Ed infine arriva, l’assassinio, ed il volto di Marcello si irrigidisce visibilmente, un muro di odio innalzato dalla perdita, che sia di fiducia nel proprio vicinato, che sia dell’innocenza che lo contraddistingueva. Una furia placida tutta su quel volto in chiusura. Una prova di talento, quella della grandissima direzione di Matteo Garrone per gli attori e dell’impressionante interpretazione di Marcello Fonte.