Michael Clayton, il film è una storia vera?
Michael Clayton, il film con protagonista George Clooney racconta una storia vera? Scopriamolo insieme
Michael Clayton è un uomo risoluto e pronto a tutto pur di raggiungere i propri obiettivi. Con un animo forgiato da anni di servizi al limite della legalità per l’ufficio di avvocati per cui lavora, l’uomo si è rifugiato in una solitudine impenetrabile e cinica. In occasione di una causa contro la U/North, un colosso che opera nel settore agroalimentare chimico, ha la possibilità di riscoprire sentimenti e valori che lo riportano vicino a una dimensione più umana del suo essere e del mondo che lo circonda.
George Clooney è il protagonista di Michael Clayton, il film racconta una storia vera?
Di film ispirati a storie vere, in particolare a vicende legali dalla portata sorprendente, è ricca la storia del cinema, tra cui citiamo Erin Brockovich spesso menzionato come asticella di misura per questo genere. Con un lungometraggio eponimo anche in questo caso, esordisce alla regia il fiorente sceneggiatore Tony Gilroy che fa una scelta di una certa originalità, scegliendo di ispirarsi a una causa realmente accaduta ma decide di incentrare il focus di Michael Clayton sul personaggio protagonista e sulla sua trasformazione intima. Si direbbe quasi che con il pretesto di un rimando a fatti di cronaca legale passata, Gilroy punta il tutto per tutto sulla verosimiglianza del percorso personale di Michael. Si gioca dunque su un doppio registro, che convince della consistenza della narrazione, tanto più è coinvolgente e plausibile l’esperienza del protagonista, interpretato da un George Clooney particolarmente in forma.
Con il pretesto di fatti di cronaca legale, Gilroy punta tutto sulla verosimiglianza di Michael
La causa da cui è tratta l’idea di base è quella che è costata l’equivalente di 5 miliardi di euro alla General Motors e che durò per lungo tempo a partire dagli anni ’70, riguardo a delle irregolarità nella fabbricazione della meccanica di alcune Chevrolet. Questo è, tuttavia, solo uno dei molti scontri in cui dei piccoli Davide hanno quanto meno impegnato largamente dei Golia a livello legale, portando a casa dei risultati soddisfacenti almeno in parte. Il regista sceglie però per Michael Clayton, un taglio diverso per narrare queste vicende, optando per sfruttare al massimo la forza del personaggio (e dell’attore) protagonista. Il primo piano finale arriva a suggellare questa scelta volta più alla verosimiglianza che all’attinenza a fatti realmente accaduti. Michael assurge a emblema di una rivoluzione quasi involontaria a un sistema irregimentato e che ormai non ha più niente a che vedere con le dinamiche umane immanenti in cui operano le grandi aziende quotidianamente. A colpire è, insomma, la riuscita dell’operazione che Tony Gilroy mette in atto, portando a un livello di verosimiglianza tale la narrazione che può permettersi di giocare con un genere profondamente stilizzato, realizzando un film che supera il livello della mera trasposizione cinematografica di un fatto cronaca, a favore di un’elaborazione (e un’inventiva) che crea un’illusione diegetica perentoria e convincente.
Pur non essendo quindi il racconto una vera e propria versione cinematografica di un fatto di cronaca legale, ciò che viene tratto dalla realtà e che permette di raggiungere una veridicità quasi totale è la dinamica di certe situazioni. A livello personale, Michael Clayton si mette in gioco e affronta un percorso quasi catartico, ma lo fa suo malgrado, con un evento scatenante (l’omicidio dell’amico e collega) ma che lo porta a prendere decisioni senza una reale intenzione. Una volta innescato il meccanismo, poi, il resto viene da sé, lasciando le persone in balia di un vortice di eventi dalla stretta concatenazione. Questo è ciò che chi si è trovato, spesso suo malgrado appunto, a essere simbolo di una battaglia collettiva e culturale ha descritto essere lo stringente meccanismo che lo ha coinvolto.