Montgomery Clift: storia dell’incidente che gli rovinò la carriera
L'incidente, le cicatrici, l'omosessuaità, la depressione: tutto ciò che spinse Montgomery Clift alla morte dopo l'incidente stradale del 12 maggio 1956
Anche le stelle a volte cadono. Ne abbiamo viste tante nel corso del tempo, da incidenti sul set, a dipendenze fatali, fino a suicidi che ci hanno spezzato il cuore. Tra tutti, una delle storie più dolorose e struggenti, è quella del divo dell’Hollywood classica Montgomery Clift, nato a Omaha il 17 ottobre del 1920 e salito alla ribalta grazie ad un talento che non fu mai staccato dalla sua presenza elegante, da quel volto delicato che seppe incarnare dal principio il nuovo filone di personaggi giovani e tormentati in cui gli fecero da successori tra tutti James Dean e Marlon Brando. Ed è proprio a quel viso che bisogna tornare per capire la disperazione di un uomo a cui fu strappata la propria carriera in una notte di primavera, un incidete che se non fu mortale per la propria forma terrena, lo fu di certo per il suo spirito.
Era il 12 maggio del 1956 e Clift stava tornando da un party che aveva organizzato la sua cara amica Liz Taylor nella sua casa insieme al secondo marito Michael Wilding. Una festa che la star lasciò prima che finisse, senza aver consumato altro se non un solo bicchiere di vino. Anche il suo amico Kevin McCarthy abbandonò i festeggiamenti in contemporanea, assistendo al tragico incidente che lo fece sbandare con la propria macchina. Un momento di paura che vide il mezzo di trasporto avanzare in maniera sconclusionata fino a fermarsi solo dopo lo scontro con un palo, facendo sbattere l’attore al suo interno e causandogli quelle ferite che furono l’inizio di un percorso verso il baratro.
Il volto segnato di Montgomery Clift
L’interprete non riuscì mai a superare le conseguenze di quella serata, che andarono ad aggravare il suo stato emotivo già appesantito dal dover nascondere la propria omosessualità, ora condizionato anche dall’assunzione di alcol e droghe per sostenere l’accaduto. Uno squarcio sulla guancia sinistra che gli tagliò la parte laterale del labbro e paralizzò parte dei muscoli di quella porzione di volto. Un dolore perenne con cui Clift dovette convivere per anni, in quello che il fondatore dell’Actor Studio Robert Lewis, nonché amico dell’interprete, definì “Il più lungo suicidio della storia del cinema”.
Dal momento dell’incidente fino alla conclusione della propria vita, le cose per Montgomery Clift cambiarono molto. Il volto “da poeta” – come era stato definito in precedenza – diventò il riflesso di quella notte e gli impedì la convocazione per nuovi ruoli. Non solo, però, cicatrici visibili: a rendere impossibile lavorare con l’attore era il suo atteggiamento autodistruttivo e poco professionale, peggiorato da una depressione che diventò, con gli anni, sempre più oppressiva. In seguito a quella notte del 1956, Clift tornò al lavoro dopo un mese di convalescenza sul set de L‘albero della vita di Edward Dmytryk, pur contro la volontà degli studios che avrebbero voluto l’abbandono da parte dell’interprete delle riprese.
Montgomery Clift: la depressione, Hollywood e quell’amica sempre cara…
Il suo incidente non cambiò assolutamente l’amore che il pubblico provava per Montogomery Clift, che aveva imparato ad apprezzare partendo dalla sua bellezza per riconoscergli poi un grande talento, anche con le poche prove recitative successive alla fine degli anni Cinquanta. Tanto che, nel 1961, conquistò la sua quarta nomination agli Oscar per i suoi soli dodici minuti nel dramma processuale Vincitori e vinti di Stanley Kramer. Ma la situazione diventò dura al punto da dover quasi star lontano dai set, visto che nessuno sembrava più offrigli ruoli che potessero soddisfarlo.
Dopo, dunque, quattro anni fuori dalle scene, in cui si era dedicato ai drammi radiofonici, fu grazie all’amica Liz Taylor che decise di dare un’altra occasione ad Hollywood, vista l’imposizione della diva nel volerlo nel film Riflessi di un occhio d’oro di John Huston. Per prepararsi al meglio, Clift tornò al cinema prima con L’affare Goshenko diretto da Raoul Lévy, che rimarrà, alla fine, il suo ultimo film. Montgomery Clift morì, infatti, di un attacco cardiaco nel suo appartamento a New York il 23 luglio 1966 all’età di quarantasei anni. Un interprete che gemellò il proprio aspetto alla propria capacità interpretativa, che regalò al mondo del cinema una sfilza di ruoli indimenticabili. Un’icona che ricorderemo, con e senza le sue cicatrici, con e senza quella sofferenza che lo accompagnò per un tratto della sua vita.