Morgan Freeman: excursus di un attore iconico e spirituale
Morgan Freeman è un attore superlativo che, nonostante abbia fatto da spalla e abbia incarnato molto spesso ruoli da non protagonista, ha interpretato personaggi e raccontato storie immortali e iconiche attraverso i propri colori, il taglio dei suoi occhi e il disarmo gergale della sua anima. Un omaggio non può non essere tale se non componendo un excursus piramidale delle sue interpretazioni. Cominciando da una pellicola del 1994 di Frank Darabont, Le ali della libertà.
Le Ali della libertà è un cataclisma, un cuore di tenebra che pone lo sguardo su Andy Dufresne (Tim Robbins), un uomo che viene accusato per poi essere condannato per l’omicidio di sua moglie e del suo amante: la sua innocenza e la voglia di rivalsa saranno le sue uniche armi per poter sfuggire alla claustrofobia, al carcere, alle bande che si aggirano per le celle e ad un senso di colpa che rappresenterà l’unica zavorra relegata alle sue caviglie.
Andy inizialmente cerca di sopravviversi, non facendosi coinvolgere da nulla, osservando in silenzio con riservatezza ma Stephen King, che ha scritto il racconto da cui il film è tratto, sa perfettamente come far avvicinare le persone, con le loro attrazioni, l’empatia. Sarà solo una la persona fautrice del suo cambiamento: Red (Morgan Freeman) è la chiave (che in un ambito carcerario non è ben poca cosa) la soluzione reale ai suoi disagi. Nasce tra loro un’amicizia che sconfina dal mero desiderio di fuga, sono due anime buone sbattute negli inferni, che cercano di non far farsi sommergere dai soprusi, dalle difficoltà psichiche e circostanziali che tornano a stringerli in una morsa quotidianamente.
Andy è molto più che un uomo innocente, è un abile banchiere, le sue non sono doti comuni, per quanto la sua vita lavorativa non venga mostrata molto nel momento in cui è un uomo libero.
Nel corso della sua detenzione impunita stringe patti con Hadley, una delle guardie, in modo che lui lo difenda da un’orrida banda omosessuale che abusa e sottomette i mal capitati. In cambio Andy gli darà delle dritte su come evadere le tasse. La forza della pellicola, come quella del racconto e del personaggio stesso è la carica motivazionale. Per non deperire attraverso i grigiori carcerari Andy deve tracciarsi anche solo mentalmente un obiettivo, un fine ultimo da dover portare a termine, che non implichi la sola fuga dal carcere ma anche sopravvivere alle necessità, a giornate vuote e devastanti.
Le Ali della Libertà: il carcere è un microcosmo
Il carcere è un microcosmo stratificato, ricorda miseramente il mondo reale senza che i due universi riescano ad appartenersi realmente, poiché vivere per tanto tempo in uno dei due ti rende incapace di poter sopravvivere all’altro, sei prigioniero per sempre, un’attitudine che non ti abbandona, come accade a Brooks, ex detenuto, che dopo cinquant’anni verrà rilasciato senza che abbia la reale forza di settare le sue abitudini a quelle del mondo esterno, decimando le sue speranze da uomo libero e ammettendo la totale disappartenenza alle logiche della vita oltre la prigione. Questo è l’infausto destino che tocca al detenuto, un’umiliazione perenne, un isolamento continuo e soffocante, in trappola per crimini e prima e pregiudizi dopo.
La prigione di Shawshank è l’emblema dell’esclusione dalla vita, della perdita d’identità, ma è proprio l’amicizia tra i due che fa riscoprire quanto di loro avessero perso e quanto il carcere avesse compromesso la loro arbitrarietà. L’amicizia è un modo semplice ed efficace di specchiarsi, fa notare a Red quanto anche a lui appartenga il desiderio di tornare libero, desiderio che aleggia negli occhi di Andy in modo quasi crudele, poiché Red non si capacita di poter ancora ambire ad un’enormità e ad un tale cambiamento, dopo decenni di detenzione il suo concetto di libertà è stato compromesso per sempre.
Quando un carcerato parla di libertà lo fa in modo univoco, concettuale, non sa bene di cosa parla, è la speranza di una vita migliore, ma dopo anni di decentramento alla vita, migliore e libero non sono sinonimi semantici, ma più vecchi amici di bevute che non trovano il coraggio di incontrarsi. Andy coglie le difficoltà che possono accadere anche a lui nel sottostare ad un regime psicofisico di quel genere, ecco perché la fuga diventa un compromesso necessario. Comincia a lavorare in biblioteca e parallelamente aiuta il direttore e altre guardie carcerarie a riciclare denaro e a creare sotterfugi finanziari che gli permettono di crearsi una autonomia monetaria sotto falso nome e conti bancari a cui manda tutti i profitti con le sue consulenze.
I giorni sembrano avvalersi di una loro singolarità poiché nonostante venga liberato dalla cella d’isolamento deve affrontare la realtà, quel posto non potrà abbandonarlo e i suoi sogni si infrangono nei deliri di speranza, si raffronterà con Red che desidera ardentemente vivere in Messico e insieme costruiscono una mappa mentale delle loro fughe e della loro vita futura.
Il giorno successivo Andy riesce a scappare, dopo aver scavato in segreto un tunnel per anni e anni dietro un poster in cella. In quell’istante di fuga ritira tutto il denaro dai suoi conti e attende che Red riesca a divincolarsi dai suoi ultimi anni di prigionia, finché non lo raggiunge finalmente nel Pacifico, entrambi complici di una libertà tanto auspicata.
Morgan Freeman è l’ancora, la speranza, è il baricentro delle emozioni, è inerte ma non soccombe, vive come Andy una condizione desolante, ma non si fa sopraffare né prima né dopo. Freeman come Andy spiega e mostra come la speranza in realtà sia un concetto alto ma forgiato nell’irrazionalità, di come sia difficile da portare avanti, soprattutto in una condizione di estraniamento, un sentimento che se non si sa gestire, ti uccide.
Seven: la magnifica interpretazione di Morgan Freeman
Nel 1995 colpisce pubblico e critica con la sua interpretazione in Seven, diretto da David Ficher con Brad Pitt e Kevin Spacey. Morgan Freeman è un detective, William Somerset, vicino alla pensione, che conclude le sue ultime giornate da poliziotto affiancandosi a David Mills (Brad Pitt); i due agenti dovranno indagare su dei curiosi e macabri casi di omicidio, uno conseguente all’altro e sempre in situazioni molti particolari: un uomo obeso viene trovato morto perché costretto a mangiare oltre il suo limite di sopportazione, fino al sopraggiungere della sua fine; invece un avvocato esamine viene trovato con il corpo depredato e mutilato.
Le scene del crimine sono collegate da una scritta tracciata col sangue vicino ai corpi, è l’ombra dei vizi capitali, l’avarizia e la gola.
Gli assassini continuano in linea con queste dinamiche sacrificali, nonostante gli agenti si avvicinino sempre di più all’assassino tramite tracce e svelamenti del tutto volontari dello stesso omicida che non riesce a far cogliere lo scopo dei suoi gesti. I vizi si susseguono e i morti parallelamente ad essi, finché non ne restano due: ira e invidia.
Morgan Freeman riesce a mantenere una freddezza magistrale sublimando un personaggio che sottende quella saggezza e quel disincanto che sono determinanti ai fini della resa filmica.
L’assassino si costituisce, nonostante egli era già stato messo allo strette precedentemente: John Doe (Kevin Spacey) ha un piano geniale che non avrebbe senso in altro modo se non consegnandosi. L’individia appartiene allo stesso assassino che ha osservato e desiderato la vita di Mills e di sua moglie, che arriverà ad uccidere decapitandone il capo.
Doe ammette l’accaduto davanti allo stesso Mills , facendo in modo che si insinuasse un getto inesorabile d’ira nel suo cuore di che, in preda alla vendetta e all’odio, lo ucciderà, macchiandosi dell’ultimo vizio capitale. Nell’ultima scena Freeman, demoralizzato e preda della delusione per non aver impedito l’omicidio ai danni di John Doe, cita Hemingway affermando che il mondo è un bel posto e vale la pena lottare per esso. “Condivido la seconda parte”. Morgan Freeman assiste e consegna ancora una volta un’interpretazione lucida, profonda, abissale che non può essere in alcun modo dimenticata.
Invictus: Morgan Freeman diretto da Clint Eastwood in una pellicola memorabile
Da ricordare sono inoltre pellicole come Invictus del 2009 di Clint Eastwood, adattamento di Ama il tuo nemico, ispirato a sua volta agli eventi che accaddero durante la Coppa del Mondo di Rugby del 1995 in seguito alla conclamazione di Nelson Mandela come presidente dello stato sudafricano. Nel film Morgan Freeman incarna proprio Mandela, interpretazione che gli valse una nomination agli Oscar come miglior attore. Memento speciale soprattutto per Gli spietati, Million Dollar Baby e A spasso con Daisy, pellicole entrate nell’olimpo dei classici in cui Freeman riesce a crearsi un suo spazio preciso, mai messo da parte, mai adombrato, nonostante egli spesso non interpreti il protagonista.
Morgan Freeman resta un pilastro, un’icona, posato, elegante, a volte schivo, un’immensità senza precedenti: assistere alle sue pellicole non disorienta ma è una presenza familiare, come se si conoscesse, incarna una realtà non febbricitante, sottende un sapore spirituale, metafisico, che è ineguagliabile.