Mostri buoni al cinema: 7 film sul diverso, da La Forma dell’Acqua a E.T.
Ci sono mostri giganti, mostri orrendi, paurosi, indimenticabili... e poi ci sono i mostri buoni, quelli che dietro un aspetto non proprio bellissimo o normalissimo nascondono un cuore buono e sentimenti talvolta migliori di quelli umani
Da sempre l’uomo teme, allontana, ghettizza, colpevolizza ciò che è per lui fonte di paura, ciò che è a lui sconosciuto, a lui dissimile per forma, costumi, abitudini, idee. Una paura che il cinema racconta con tutta la sua forza visionaria e onirica, con tutto il suo potere devastante e inarginabile, una paura che si concretizza nell’immagine del mostro, dell’alieno, di un’energia incontenibile in grado di minare l’ordine sociale. Il “monstrum” che sovverte le regole, ribalta le visioni del mondo, smuove pilastri su cui intere città/civiltà sono state edificate, è una creatura più o meno spaventosa (si pensi ai protagonisti di Avatar o a quelli di Segnali dal futuro), ma allo stesso tempo eccezionale, in grado di spazzar via come un maremoto rigidità e certezze in cui l’uomo si trincera ma anche aprire dialoghi, creare possibilità, squarciare cieli plumbei e trovarvi una luce vivificante. Ed è proprio questo ciò che compie il mostro protagonista in La Forma dell’Acqua – The Shaper of Water, la fiaba dark di Guillermo del Toro, vincitore del Leone d’Oro alla 74ª Mostra del Cinema di Venezia e in lizza agli Oscar con ben 13 nomination.
Il regista percorre una strada già battuta, sono molte infatti le autocitazioni e le citazioni all’interno della pellicola; una fra tutte, utile per questa disamina sui mostri buoni del cinema è quella de Il mostro della laguna nera, film di Jack Arnold in cui un essere ricoperto di squame, artigli, branchie, mezzo uomo e mezzo pesce, si innamora perdutamente di una bellissima donna. L’essere, massacrato dagli altri uomini, perché intimoriti dal suo aspetto, continua senza sosta a provare quell’amore impossibile per colei che ai suoi occhi appare come femmina marina.
Mostri buoni al cinema: da La Forma dell’Acqua a Home
La Forma dell’Acqua – The Shaper of Water: il mostro marino dai sentimenti umani
Tutto il bagaglio filmico precedente e il mondo mitologico ad esso legato confluiscono nella mitologica creatura protagonista de La Forma dell’Acqua – The Shape of Water. Il mostro, tutto branchie e ruvidezze, estraneo almeno apparentemente all’umanità, viene catturato in Amazzonia, dove è venerato come un Dio, e portato in un laboratorio governativo di Baltimora, dove viene maltrattato e studiato. Lì incontra Elisa, una donna delle pulizie muta (metafora dell’assenza di parola in cui i “diversi” sono costretti a vivere) con cui instaura fin da subito un rapporto speciale fatto di uova sode, musica ascoltata e riascolata, sguardi e abbracci. Lei, come la sua collega e amica Zelda e il vicino di casa Giles, l’una afroamericana, l’altro omosessuale, è ai margini perché lontana dalla cosiddetta “norma” e riconosce in quell’essere marino senza nome, nelle forme terribili e spaventose, se stessa, vede nei suoi gemiti di dolore sotto le botte del crudelissimo Strickland, i suoi gemiti, la sua solitudine, il suo stesso bisogno di essere amata. Così al martirio del mostro si annoda la nascita di un amore delicato e struggente, alla mostruosità dell’alieno si intreccia lo svelamento del suo splendore, alla delicatezza di quella “bestia” altruista e amorevole corrisponde la crudele bestialità di un mondo che crede di essere giusto e umano ma in realtà non lo è. Di scena in scena emerge sempre più chiaramente che il vero mostro non è l’Uomo-pesce ma Strickland e quelli come lui che, coperti da abiti di falso moralismo e perbenismo, nascondono un’anima in putrefazione, che compiono inenarrabili nefandezze e si accaniscono vigliaccamente su chi è diverso. L’abbraccio di Elisa con l’essere acquatico è la massima espressione dell’incontro di anime belle e spiriti affini, capaci di gesta sublimi l’uno per l’altro. Il film di Del Toro, ambientato in un’America livida, in bilico tra forze opposte (successo/decadenza, luce/ombra, odio/amore), è un inno alla diversità che resta sospeso tra la grazia e la gentilezza di due personaggi per cui innamorarsi non è un gesto di ribellione ma un atto di consapevolezza.
L’ossessione di Guillermo Del Toro per i mostri: Il Labirinto del Fauno
Del Toro ama i mostri e ne fa uno dei temi centrali della sua filmografia, Il labirinto del fauno è un incubo ad occhi aperti in cui fantasia e realtà (la Guerra Civile spagnola) si mescolano, è un romanzo di formazione in cui Ofelia, una sorta di Alice nel paese delle Meraviglie, di Dorothy di Il Mago di Oz compie un percorso faticoso e doloroso, aiutata dal fauno. Quest’ultimo è l’unico essere che riesce a capire il suo desiderio di essere qualcuno e diventa mentore, guida spirituale che l’accompagna a sperimentare se stessa, la paura e la sofferenza.
I mostri buoni al cinema: la Bestia che cambia in meglio grazie all’amore di e per Belle
Se The Shape of Water è la parabola di una principessa che si innamora di un uomo-anfibio è impossibile che la mente non torni a La Bella e La Bestia in cui una fanciulla si innamora di una terribile creatura. E’ un vero mostro quell’essere bestiale e iroso che abita il castello in cui Belle finisce per cercare il padre scomparso, è un vero animale che vive lontano dal consorzio umano, è un essere diverso, abominevole, non conforme agli altri uomini ma alla fine non disumano come invece sono i compaesani (simbolo di ciò è Gaston, molto simile allo Strickland di The Shape of Water, che si fa manifesto della presunzione di superiorità e perfezione) della sua ospite, pronti a giudicare, a criticare, a condannare (l’espressione massima di ciò è l’assalto al castello). Non è un caso che il regista messicano abbia tratto ispirazione proprio dal cartone animato Disney, infatti vari sono i punti in comune tra le due pellicole: anche Belle, come Elisa, è capace di guardare sotto quella massa orrorifica e ripugnante, di andare oltre con lo sguardo e trovare lo splendore; anche Bestia, come l’essere del film di del Toro, si fa tenero, amorevole, delicato con colei che ha saputo fare altrettanto con lui. Il protagonista del cartoon però non era un mostro, lo è diventato (trasformato da un incantesimo) perché insensibile, egoista, legato alle apparenze; il suo aspetto quindi sarebbe dovuto divenire specchio del deserto che abitava la sua anima. La storia raccontata nel film dunque è un percorso di espiazione, ravvedimento e conoscenza che si compie solo grazie al sentimento amoroso, è uno spogliarsi di quel manto di errori che opprime e non lascia respirare.
Edward mani di forbice: il mostro buono di Tim Burton
Altro grande mostro dall’animo buono è sicuramente uno degli eroi più amati del cinema di Tim Burton, Edward mani di forbice. Edward, pelle cerea, pieno di cicatrici fuori e dentro, con lame affilatissime al posto delle mani, vive da solo, non parla e non vede mai nessuno a causa di quel terribile difetto che lo rende diverso da tutti gli altri esseri umani, apparentemente perfetti, almeno nella forma. Nonostante quelle mani poco adatte ad accarezzare è in grado di toccare con eleganza le persone, nonostante il suo aspetto poco rassicurante è timido, chiuso ma anche incline ai buoni sentimenti, nonostante “altro” rispetto al “noi sociale” a poco a poco si fa strada tra gli uomini. Il protagonista, metafora dell’adolescente, incompiuto (l’incompiutezza si materializza nelle forbici), ipersensibile, si muove maldestramente in un percorso ad ostacoli, non capace di accettare quelle regole che ignora, eppure grazie alle sue grandi capacità, coltivando il seme della diversità (quelle stesse forbici che lo rendono diverso), diventa utile alla comunità (fa il giardiniere, il parrucchiere) che prima ne è attratta, poi lo sfrutta, infine lo rifiuta e lo espelle.
E.T. è uno dei mostri buoni più amati del cinema, un piccolo alieno votato all’empatia
Come il protagonista dell’opera di Del Toro anche l’alieno di E.T. di Steven Spielberg comunica a suo modo con gli altri, come la Creatura dell’acqua parla con Elisa con il linguaggio dei segni, così E.T. si fa capire da Elliott, il bambino che lo accoglie in casa, grazie a quella sensibilità che anche Edward mani di forbice possiede. Tale sentimento lo rende pronto a leggere nel profondo e a mettersi in sintonia con gli altri; quel corpo piccolo, goffo, dai piedi grandi e dalla testa schiacciata, privo di armonia nella forma ma non nell’animo, è pieno di un’umanità che gli uomini non possiedono. Punta il dito verso il cielo, quasi ad indicare quel là da dove è venuto e dove vuole tornare, ma è allo stesso tempo amorevolmente legato a Elliot, la sua “nuova casa”, sua protesi in questo nuovo mondo da cui non vorrebbe staccarsi. Quel dito disarmonico come tutto ciò che riguarda il suo corpo è un ponte che lo unisce alle sue case, quella extraterrestre e quella dove abita Elliott.
Il mostro nei cartoni animati: Stitch e Oh
È chiaro che il bambino di Spielberg sa accogliere la diversità e introiettarla, fino a mettersi nei panni dell’altro, come la protagonista di Lilo e Stitch: Lilo, la piccola hawaiana orfana che vive con la sorella Nani, capisce subito che in quell’alieno che lei adotta come cane c’è qualcosa di speciale, c’è il seme della famiglia. Nonostante le fattezze, quel mostriciattolo blu, buffo e mostruoso insieme, creato in laboratorio, dai denti aguzzi e con protuberanze retrattili, è molto più simile a Lilo di quanto si possa immaginare. Soli, orfani e lasciati entrambi ai margini perché disturbatori (l’esilio di Stitch sulla terra e l’affidamento ai servizi sociali sono testimonianza del loro essere disfunzionali).
Come accade per altri mostri, Stitch, grazie a Lilo, vortice di affetto, abbracci, carezze viene educato ai sentimenti, all’amore, al linguaggio che diventa mezzo per unire e unirsi (utilizza le stesse parole che gli ha insegnato quella piccola bimba piena di vita). L’alieno, metaforizzato dalla favola Il brutto anatroccolo che la nuova amica gli legge, è parte di una famiglia, frutto della theory family oriented, per cui non conta tanto la consanguineità quanto la capacità di donare e di donarsi all’altro. La stessa situazione si ripresenta anche in Home – A casa, cartone animato Dreamworks, qui ad incontrarsi sono l’alieno Oh e l’umana Tip, entrambi ghettizzati dai loro simili perché emotivi ed empatici, “irregolari”. L’incontro tra i due è fortuito ma da esso, nonostante le premesse (Tip odia la razza aliena di cui Oh fa parte), nasce una grande amicizia. Sia in Lilo e Stitch che in Home i fuori dalla norma, dopo un percorso lungo e faticoso, sono pronti a sacrificarsi, a lottare per salvare chi li ha accuditi, accarezzati, abbracciati e amati, sono capaci di fare da scudo a chi ha fatto sentire loro il profumo della famiglia, e, grazie al calore ricevuto, sono pronti a immolarsi per l’intera umanità.
In tutti questi film l’incontro con il diverso da noi, dall’aspetto più o meno mostruoso è sempre fonte di diffidenza, angoscia, paura, proprio perché abbatte tutte quelle certezze che fanno da solido terreno su cui siamo soliti camminare. Quando però l’incontro avviene tra esseri tenuti a distanza, derisi, umiliati, confinati in un deserto di solitudine, le barriere cadono, il buio si fa luce e si celebra il sentimento puro, la disponibilità verso l’altro, l’Epifania dell’Uomo nell’abbraccio tra anime fragili e coraggiose, pietose e gentili.