Napoli Velata: significato e spiegazione del film di Ferzan Ozpetek
Una stratificazione di significati si avvicendano in Napoli Velata; tanti fili che si disperdono nella marea dell'arte, del mistero e della passionalità e che sfruttano le doppie interpretazioni dei due attori protagonisti ma soprattutto le infinite chiavi di lettura che ogni essere umano sa concedere
Napoli Velata è l’ultimo film di Ferzan Ozpetek, è un thriller ma è anche un melodramma, è una storia di passione e allo stesso tempo un dramma familiare. Napoli Velata è un solo film eppure sono tante cose, tanti generi che confluiscono nel grande calderone della macchina cinematografica per regalare allo spettatore un grappolo di sogni intrecciati allo stupore che solo la bellezza artistica può riportare in vita.
Può risultare difficile decifrare l’ultima opera del regista italo-turco poiché le prerogative con le quale inizia sono differenti da quelle con le quali si svolge e infine si conclude. Proveremo a scandirne il significato ripercorrendo alcune scene salienti, i personaggi cardine della pellicola e il loro muoversi sulla scena magica di una città meravigliosa, che col suo mistero e i suoi segreti fa da sfondo all’intera storia.
ALLERTA SPOILER: se non avete ancora visto Napoli Velata vi consigliamo di non proseguire la lettura
Partiamo dalla scena iniziale: Giovanna Mezzogiorno spara sul pianerottolo d’ingresso del suo appartamento a un uomo che si intuisce essere il marito, la figlia esce a osservarla e lei si fa cadere la pistola dalle mani. La sequenza successiva è quella inerente la rappresentazione del parto maschile presso la casa di Adele (Anna Bonaiuto), qui Adriana (Giovanna Mezzogiorno) incontra Andrea (Alessandro Borghi), col quale finirà a letto. Dopo una notte di passione si daranno appuntamento per le 18.00 presso il Museo Archeologico, ma Andrea non arriverà mai. Il suo cadavere sarà esaminato dalla stessa Adriana, chiamata in obitorio per sostituire un collega la mattina del 26 giugno: indossa gli stessi vestiti di quando l’ha incontrato, non ha le scarpe e gli sono stati cavati gli occhi dalle orbite mentre era ancora in vita. È ovvio, arrivati a questo punto, soffermarsi sul primo tassello del mosaico elaborato da Ozpetek con Napoli Velata: l’importanza degli occhi e in particolare dello sguardo; del modo di vedere gli altri e di vedere il mondo circostante.
Napoli Velata: occhi per guardare e per capire il mondo e le persone
C’è infatti un oggetto che avrà senza dubbio catturato la vostra attenzione durante la visione: l’occhio metallico appartenente al padre di Adriana e che lei regala a Luca (su lui ci torneremo tra poco!) come portafortuna. Ma prima ancora, durante la rappresentazione del parto dei femminielli, la scena viene velata con la motivazione che è difficile sopportare la verità. Inoltre di velato c’è anche l’utero che si trova presso la Farmacia degli Incurabili e che in un certo qual modo ci introduce alla psiche femminile così come viene rappresentata da Ozpetek. Il personaggio interpretato dalla Mezzogiorno, infatti, crea nella sua mente un film che corre parallelo al thriller che lo spettatore si sarebbe forse aspettato di vedere.
Napoli Velata: chi ha ucciso Andrea?
Napoli Velata usa l’uccisione di Andrea come trampolino di lancio per poi tuffarsi a capofitto nella marea sentimentale e tra i corridoi della mente. Il primo e grande punto di domanda è: chi ha ucciso Andrea? Ferzan Ozpetek non sembra di fatto interessato a rispondere; il suo intento non è trovare il colpevole ma spiegarci come la perdita di una persona di fatto sconosciuta ma già cara possa provocare il caos nell’animo umano. In questa passerella di situazioni strane ed emotivamente incantevoli, il regista crea però dei piccoli inserti di sospetto che hanno nell’arte la chiave di volta.
Andrea è stato trovato senza occhi, segno che ha visto qualcosa che non doveva; l’opera che sembra aver trafugato è una maschera che, a detta dell’ispettrice di polizia, non è più stata trovata. Quella stessa maschera viene indossata da Valeria (Isabella Ferrari) e Ludovica (Lina Sastri): due belle donne in età matura, intenditrici d’arte e scultura, il cui lavoro consiste nel ritrovare meraviglie nascoste, motivo per il quale conoscono Andrea, sommozzatore napoletano capace di recuperare dalle profondità del mare articoli di spietata bellezza. La loro presenza non è predominante nel film, eppure i loro atteggiamenti sembrano covare qualcosa di falso e sinistro. La suddetta maschera diventa quasi oggetto del piacere e, prima ancora della sequenza che le vede accarezzarsi e danzare, anche il loro interrogatorio ad Adriana nasconde qualcosa di spiacevole. Si tratta di supposizioni, è chiaro, che restano però sepolte tra le pieghe del non detto volutamente.
Giovanna Mezzogiorno figlia e madre in Napoli Velata
L’altro bandolo della matassa gettato in subdolo aiuto allo spettatore all’inizio del film è l’uccisione del padre di Adriana. Peccato che solo verso la metà del film si ha la certezza che quello sia il padre e non il marito. La configurazione tra madre e figlia dovuta alla doppia interpretazione di Giovanna Mezzogiorno fa un po’ smarrire chi sta al di fuori del grande schermo. Inizialmente non sappiamo perché quella donna spari al marito, ma ciò che accade dopo può di fatto farci pensare che abbia trovato il modo di cambiare vita e anche che potrebbe tornare nuovamente a uccidere.
Quello che emergerà però in fondo non ha nulla a che fare con la violenza, ha piuttosto tratti in comune con la vulnerabilità umana che ivi si configura con l’immagine di una donna adulta che si lascia sedurre da un ragazzo più giovane di lei, che elabora nella sua mente l’esistenza di un gemello di Andrea: il già citato Luca.
Luca e Andrea: la doppia interpretazione di Alessandro Borghi
Un ragazzo col quale inizia a fare l’amore, dal quale si fa dare ordini e di cui è succube. Un ragazzo che di reale non ha assolutamente nulla, è invece la proiezione spontanea di chi crede di aver raggiunto un obiettivo sentimentale e aver trovato la persona perfetta, salvo poi vedersela portare via dal fato. Adriana crea attraverso il fantasma dell’amato una cortina di sensazioni e ostacoli sentimentali oltre i quali la sicurezza inizia a rarefarsi. Il suo fantasma altro non è che un tacito patto con se stessa per non innamorarsi, per non essere felice e soprattutto per non vivere.
Più il minutaggio della pellicola va avanti e più ci si rende conto che Napoli Velata si distacca completamente dalla patina del noir per lasciarsi avvolgere dalla membrana della psicologia: il giallo si consuma esclusivamente dentro la mente della protagonista, ogni indizio è una briciola di ricordo usata per tracciare il percorso perverso della sua vita. L’uccisione del padre da parte della madre, dovuta dal tradimento di lui con la zia Adele. Le parole che lei ascolta da Luca altro non sono che le stesse pronunciate dalla madre in preda al panico, urlate al marito che la stava evidentemente lasciando per mettersi con la cognata.
La smorfia napoletana e la Sibilla/ Donna Assunta nel film di Ferzan Ozpetek
Altri dettagli fugaci trapelano dai numeri (42 18 10 72). Nel film ricorre una sequenza numerica, rinvenuta da Adriana sullo specchio appannato del bagno. Lei è convinta che a scriverli sia stato Andrea, ma in realtà è stata lei stessa, probabilmente nel rimembrare un ricordo risalente alle scuole elementari – come traspare dalla foto di lei bambina presa in mano dal poliziotto. Che significato hanno però? Come è noto ai più nella smorfia napoletana a ogni numero corrisponde un significato e attraverso quello Pasquale (Beppe Barra) cerca di aiutare Adriana a saperne di più sull’uomo che ama – o crede di amare – e, recandosi a un raduno d’anziani intenti a giocare a tombola, si fa dire man mano il loro significato: 18 il sangue, 42 il caffè… ma tutte queste cose poi che significano? Nessuno può saperlo: “questa città i suoi segreti se li tiene per sé”.
E d’altro canto anche Ferzan Ozpetek fa lo stesso: raduna in questa sua opera cinematografica tanti segreti e con accortezza li tiene nascosti. Non per ultima la scena finale, quella in cui Adriana corre fuori per scoprire se il suo fantasma è tornato e, una volta girato l’angolo, sentiamo solo i suoi tacchi pigiare sull’asfalto, mentre la donna è scomparsa, risucchiata dalla città come per magia. Sarebbe assurdo pensare che sia d’un tratto diventata un fantasma, mentre crediamo che il regista abbia applicato questo gioco di suoni e immagini mancanti per ricollegarsi stilisticamente alla scena della festa nella casa di Adele (in cui la donna interpretata da Anna Bonaiuto ricorda la gioventù trascorsa con gli amici e la casa d’un tratto si affolla di chiacchiericci e musica).
Altra domanda che vi sarete posti e per la quale occorre uscire dal seminato dell’amore è quella inerente la predizione della Sibilla/ donna Assunta, l’enorme donna anziana sdraiata sul letto che avrebbe il potere di svelare il futuro o vedere cose utraterrene. Adriana viene condotta lì da Catena e accompagnata dalla zia Adele e dal fidato Beppe. Anche se inizialmente la donna sembra prenderla in giro, dopo pronuncia parole difficilmente comprensibili ma che mettono ansia. Poco dopo ritroviamo il suo corpo privo di vita in obitorio e, anche se è difficile riconoscerla, si intuisce che si tratta di lei dal modo in cui la guarda Adriana. È evidentemente stata uccisa, ma nessuno indaga. Stesso interrogativo sospeso resta per la morte di Pasquale: è stato avvelenato come sospetta la protagonista o no? La sua collega dice di aver eseguito lei stessa l’autopsia e il personaggio della Mezzogiorno le crede. Visto quello che si apprende dopo, ovvero che più della metà del film è un’enorme sogno a occhi aperti elaborato da Adriana, forse sarebbe il caso di affibbiare davvero la morte di Pasquale alla limonata troppo fredda.
Infine, alla domanda generale su qual è il significato di Napoli Velata non possiamo che rispondere che in essa si condensano una stratificazione di significati molteplici che portano il piano emotivo a invadere quello razionale. Una contaminatio concentrica che ci spinge a comprendere semplicemente la delicatezza e la precarietà degli esseri umani, questo perenne gioco di vita e morte che lascia in bilico le esistenze e su cui a Napoli si scherza per sdrammatizzare un po’.
L’ultimo film di Ozpetek è un po’ come l’intera cinematografia del regista: ci fa credere che sta per spogliarsi, dirci qualcosa, ammicca mentre sussurra un segreto all’orecchio e proprio quando crediamo di averlo tra le braccia e di poterlo finalmente ammirare in tutta la sua nudità ci rendiamo conto che a spogliarci è stato lui e l’anima si riempie di calore e confusione; una foschia in cui ognuno vede se stesso, o non vede nulla.
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