Editoriale | Rimetti A Noi I Nostri Debiti: Netflix e il darwinismo nel cinema
Un film può essere condizionato dal formato dell'immagine? Sarà poi vero che il vero cinema lo si trova solo in sala? Dal 4 maggio è online Rimetti a noi i nostri debiti, prima produzione Netflix di un lungometraggio interamente italiano, un'occasione per riflettere sulla contemporaneità e sulla direzione della distribuzione cinematografica internazionale.
A pochi giorni dall’apertura del Festival di Cannes e dall’ufficializzazione dalla storica rottura tra la kermesse francese e il colosso dello streaming, Netflix, è stato distribuito il 4 maggio Rimetti a noi i nostri debiti, primo film italiano prodotto dalla celebre piattaforma.
Dalla pirateria allo streaming legale
Il passaggio dal grande schermo ai monitor dei pc di tutto il mondo è avvenuto in maniera graduale e sottile, rettificando un movimento già molto ben organizzato (quello dei cosiddetti pirati informatici) che hanno trovato il modo di guardare film e serie tv in maniera del tutto gratuita (e illegale) sin dai primi anni della diffusione dell’internet veloce di massa. Se non puoi sconfiggerli, unisciti a loro, avrà pensato qualcuno, con un’intuizione piuttosto fortunata: nel 1997 nasce Netflix, la prima piattaforma di distribuzione legale di prodotti audiovisivi in streaming. Oggi, nel 2018, dopo tre anni dell’apertura della divisione italiana, arriva sugli schermi (piccoli) il primo film interamente figlio di questa cultura prodotto nel nostro Paese.
Il cinema che non va al cinema
Rimetti a noi i nostri debiti di Antonio Morabito non andrà al cinema, ma sarà distribuito in 190 Paesi e sottotitolato in ventidue lingue. Più facile da accettare quando si tratta di serie tv – concepite per essere guardate sul piccolo schermo, che sia del televisore o del pc poco importa – questo passaggio sembra essere piuttosto traumatico tra gli addetti ai lavori di tutto il mondo: esemplare, a tal proposito la polemica scoppiata tra il delegato generale del festival di Cannes Thierry Frémaux e Netflix sulla partecipazione dei film distribuiti in streaming al concorso. Appellandosi alla legge francese, Frémaux sostiene di non poter ammettere tra le pellicole in concorso un film che non sarà visto dal pubblico nella forma tradizionale della sala cinematografica, in tutta risposta Netflix ritira dall’evento ogni tipo di partecipazione, chiudendosi nella trincea del boicottaggio totale. Peccato, perché quest’anno si sarebbe potuta vedere una pellicola firmata niente di meno che da Alfonso Cuaròn (oltre a diversi altri titoli interessanti). Il braccio di ferro si conclude con una decisa sconfitta su entrambi i fronti e ci lascia, tuttavia, con un grande punto di domanda: è possibile parlare di cinema, quando non si va al cinema?
Il senso di Netflix per il lungometraggio
Nel corso degli ultimi anni Netflix ha deciso di oltrepassare il confine naturale che si era riservata, quello delle serie tv, dedicandosi con sempre maggiore spinta ai lungometraggi. Il risultato, di cui l’ultimo esempio è – per l’appunto – Rimetti a noi i nostri debiti, non è quasi mai stato deludente, arrivando in alcuni momenti a toccare veri e propri picchi di eccellenza. Il cinema in formato monitor non è un cinema minore: grandi sono i nomi delle star che hanno investito la loro immagine e la loro interpretazione, di alto livello le regie, di buona scrittura le storie, di ottima qualità la tecnica; difficile da immaginare per un popolo come il nostro abituato ad associare ai film tv le modeste e familiari fiction Rai o a quegli improbabili prodotti d’importazione delle prime serate sulle reti nazionali. No, il cinema da pc, democratico e a prezzi popolari di Netflix è di ben altra pasta: pensiamo a Annientamento, un dramma sci-fi di memoria tarkovskiana (niente di meno!) o a quel trionfo naturalista di Okja (che ha partecipato, peraltro, all’edizione 2017 di Cannes).
Anche nel caso di Rimetti a noi i nostri debiti a fare da padroni e da timone dell’intera operazione sono due nomi di punta del panorama attoriale nostrano: Marco Giallini e Claudio Santamaria, protagonisti della produzioni da sala cinematografica più importanti in Italia. Questo rende palese che abbiamo a che fare con un prodotto a cui non si è guardato con occhio dimesso, ma con un autentico spirito di investimento in nomi e immagine.
Il medium è il messaggio (M. Mc Luhan)
Se la destinazione del monitor può influenzare in qualche modo la fattura del film, condizionando la regia e la fotografia che saranno pensate per non essere viste sul grande schermo, bisogna anche considerare quanto il sistema distributivo nelle sale canoniche abbia – nel corso dei decenni – determinato alcuni aspetti del fare cinema. Pensiamo alla durata media dei film prodotti negli ultimi anni: quasi mai sopra i 100 minuti. Andando incontro alle esigenze degli esercenti, che hanno registrato un calo notevole degli spettatori paganti, il montaggio ha dovuto considerare la rotazione del triplo spettacolo tagliando il tagliabile per rientrare nella classica ora e mezza/ora e quaranta. Non è, forse, anche questo un condizionamento dato dal mezzo?
Quello dei cento minuti è un limite che potrà essere superato dalla distribuzione in streaming, in cui lo spettatore potrà gestire come meglio crede i tempi e le modalità di visione, oltre che – non condizionato dall’investimento degli otto euro del biglietto – potrà approcciarsi con più leggerezza alle nuove proposte. Un film rivolto al pubblico generalista non può che trarre giovamento dalla distribuzione su piattaforma: la nota positiva è che Netflix ha dissolto ogni pregiudizio sull’equazione prodotto popolare uguale prodotto di bassa qualità. Paradossalmente, dunque, il cinema costretto nelle piccole dimensioni può essere un cinema artisticamente meno limitato, posto che non esiste (né è mai esistita) un’arte completamente libera dalle regole del mercato.
Resta, tuttavia, un grande conto aperto con la sala cinematografica: la dimensione collettiva, il suggestivo rapporto tra spettatore e immagine, la totale dedizione al film sono aspetti che né Netflix né nessun altro ha saputo riprodurre. Nella fruizione sacrale alla Nuovo Cinema Paradiso – per intenderci – le dimensioni contano, eccome.
Il darwinismo nel cinema
Avranno di che discutere i puristi della sala di Cannes o di tutti gli altri (magnifici) festival intellettuali: Netflix e i suoi prodotti sono uno specchio fedele del nuovo pubblico, nato e cresciuto con la consapevolezza che Internet possa abbattere costi, tempi di fruizione e imbarazzo della scelta. Online c’è tutto e tutto è alla portata di tutti.
Il dovere per chi non vuole essere sepolto dal tempo che passa, è trovare forme per adattarsi al cambiamento: il darwinismo dello spettacolo ci porta a Netflix, che ci piaccia o no.
Curioso come proprio il primo film italiano che abbraccia il cambiamento distributivo tratti esattamente della dignità di quella fascia sociale indebitata e insolvente, di quella classe di disperati, umiliati dall’impotenza economica. Interessante come Santamaria diventi ancora una volta – dopo il mirabolante Lo chiamavano Jeeg Robot – paladino proprio di quella classe, segnando con vigore la differenza tra ricchi e poveri e schierandosi con decisione a favore di questi ultimi. Rimetti a noi i nostri debiti mette a nudo l’ipocrisia, il cinismo e il vuoto senso del potere della borghesia e evidenzia come questa basi la sua sopravvivenza e il suo agio sui debiti dei poveracci. Netflix accoglie questo tema e lo rivolge a un pubblico pressoché infinito, consapevole dell’enorme potere comunicativo che risiede nelle sue mani.
Un dramma italiano per tutto il mondo
Pur con una grande vocazione internazionale – necessaria, data la distribuzione simultanea nei 190 paesi coperti dalla piattaforma – Rimetti a noi i nostri debiti rimane un film dalla forte identità nazionale. Roma e alcuni dei suoi luoghi più suggestivi sono costantemente citati, così come il pesante manto di crisi e precarietà che tutti noi conosciamo fin troppo bene. Lo stesso atteggiamento di Franco (Giallini) è piuttosto tipico dei parvenu della nostra borghesia, di chi viene dalla strada e non vede l’ora di sputare nei piatti dove ha mangiato. Il potere dato dal denaro, esercitato senza alcuna sensibilità, l’umiliazione plateale e reiterata, ossessiva tipica di molti sedicenti giustizieri (che siano gli inviati de Le Iene o gli indignati della rete) sono tipicità ormai divenute patrimonio del Belpaese al pari della pizza o degli spaghetti.
Alla crisi dell’Italia, alla crisi del cinema, alla crisi del mercato si risponde dunque con una riflessione onesta e con una denuncia coraggiosa, che non teme di parlare di una quotidianità in difficoltà e di un competizione sociale che punta a togliere anche quel briciolo di umanità che rimane. Il denaro, gli affetti, il grande e piccolo schermo sono tutti oggetto di un’analisi sincera, in cui si fa spallucce davanti al compromesso ma si punta alla sopravvivenza, acquisendo gradualmente coscienza del proprio valore. Nella vita, si sa, bisogna adattarsi, ma fino a un certo punto: missione dei colossi dell’intrattenimento e, di conseguenza, di tutti gli altri è trovare la forma ottimale per stare al passo coi tempi e – perché no? – anticiparli e, su questo, Netflix – Cannes o non Cannes – ha davvero qualcosa di interessante da insegnarci.
La storia della vita sulla Terra, lo sappiamo, è la storia dell’adattamento all’ambiente. (C. Darwin)