Non dico altro: la spiegazione del finale del film di Nicole Holofcener
Di cosa parla la commedia romantica con James Gandolfini Non dico altro? Qual è il significato del finale? Scopriamolo insieme!
Non dico altro è una pellicola del 2013. Presentata al Toronto Film Festival, segna l’ultima interpretazione di James Gandolfini (l’indimenticato Tony Soprano) deceduto poco prima della sua uscita. Distribuito dalla Fox Searchlight, è scritto e diretto da Nicole Holofcener, autrice, da sempre, legata al mondo dello spettacolo: sua madre, Carol Joffe, è scenografa, mentre il suo patrigno era Charles Joffe, noto per essere stato il producer di Woody Allen da Prendi i soldi e scappa (l’esordio) a Basta che funzioni. Holofcener ha avuto, dunque, la fortuna di osservare e collaborare (in veste di assistente di produzione) alle opere del maestro (tra cui Una commedia sexy in una notte di mezz’estate) ed è proprio da quelle che ha tratto ispirazione per le sue sceneggiature: storie che parlano di rapporti interpersonali, utilizzando dialoghi asciutti e, talvolta, caustici.
Gli interpreti sono, oltre al già citato Gandolfini, Julia Louis-Dreyfus (protagonista della pluripremiata sitcom Seinfield, anche quella caratterizzata da un umorismo caustico e del recente Veep – Vicepresidente incompetente), Catherine Keener ( “ospite” abituale nella filmografia della Holofcener), Toni Collette (Il sesto senso; Little Miss Sunshine) e Ben Falcone (attore e regista di commedie tra cui Tammy e The Boss, entrambe con la moglie Melissa McCarthy).
Di cosa parla il film Non dico altro?
Le vicende narrate, riguardano un uomo e una donna di mezza età, Albert ed Eva (James Gandolfini e Julia Louis-Dreyfus): il loro primo incontro avviene ad una festa e, ben presto, scopriranno di avere dei trascorsi simili (entrambi divorziati e con figli che stanno per andare al college). Dopo qualche esitazione (da parte di lei in primis), i due cominciano a frequentarsi e, inaspettatamente, nasce una storia che sembra promettere bene, soprattutto, per l’intesa e la simpatia espressa dall’uno nei confronti dell’altra. A destabilizzare la situazione, ci penserà Marianne (Catherine Keener) nuova amica e cliente di Eva ma, a sorpresa, anche ex moglie di Albert.
La donna, all’oscuro della loro relazione, coinvolge la protagonista in una serie interminabile di racconti infamanti riguardanti l’uomo; ciò rischia di compromettere l’equilibrio fra i due: in Eva, infatti, si insinua la paura, l’angoscia che quelle storie possano rivelarsi vere, seguendo così lo stesso destino di Marianne. Da qui, una moltitudine di situazioni tragicomiche ed equivoci coadiuvati, in parte, dalla coppia di amici Colette e Falcone; riuscirà il personaggio di Julia Louis- Dreyfus a mettere da parte le opinioni altrui e seguire i propri sentimenti?
Questa è la riflessione principe di Non dico altro, una commedia romantica che gioca con stilemi classici utilizzati, però, all’interno di un contesto realistico e vicino al nostro quotidiano: i personaggi sono tutt’altro che glamour, si curano della famiglia e del lavoro in maniera quasi documentaristica, attraversando problematiche e, quindi, discussioni spesso scomode. In questo si rivela fondamentale la scrittura della regista che, quasi mai, crea macchiette e dinamiche stereotipate.
La recitazione non è da meno (ottimo Gandolfini: imponente ma dal cuore d’oro e brava la Louis-Dreyfus, sebbene ecceda, di tanto in tanto, in qualche manierismo). Come le precedenti opere dell’autrice, anche questa presenta tratti autobiografici: “Sono stata sposata per dieci anni e divorziata per un altro decennio, nutro una sincera compassione per i fallimenti di entrambi i sessi: la maggior parte degli uomini che conosco sono attratti da chiunque e noi donne, invece, viviamo di pettegolezzi e siamo difficili da accontentare” dichiara la Holofcener. L’attrice protagonista non ha dubbi circa il suo alter ego cinematografico: “Ha paura di legarsi di nuovo ma, allo stesso tempo, non vuole restare sola”.
Qual è il significato che si cela dietro il finale di Non dico altro?
La pellicola parla di occasioni perse e della paura di non poterne trovare di nuove, (sentimento comune a tutti ma che trova uno spazio maggiore nei due protagonisti in piena crisi di mezza età). L’escamotage narrativo del terzo incomodo (il personaggio di Marianne) incarna le incertezze di Eva: disillusa, non crede che una situazione positiva possa, effettivamente, durare e gli aneddoti poco lusinghieri sul conto di Albert sono lì per provarlo. Ma c’è anche una voglia di mettersi, nuovamente, in gioco ad animare i due protagonisti; mossi da un reciproco rispetto e da una vitalità, troppe volte, soffocata dai dispiaceri della vita. L’intesa funziona se si è disposti a convivere l’uno con i difetti dell’altro e Albert ed Eva hanno delle buone probabilità di riuscita.