Editoriale | Oscar 2019 e il trionfo del politically correct
Un trend su tutti: ai Premi Oscar 2019 hanno celebrato la dura e faticosa lotta per i diritti paritari, oltre qualsiasi disuguaglianza.
Si spera sempre che ogni edizione dei Premi Oscar possa scrivere la storia, che permetta ai migliori film e le più talentuose star di entrare nell’olimpo hollywoodiano, divenendo pietre miliari e divi leggendari. L’edizione degli Oscar 2019 forse però non sarà tanto ricordata per la qualità dei film in concorso, o per la scelta di conduzione (visto che Kevin Hart, presentatore scelto, ha dovuto rinunciare al mandato in seguito alle proteste provocate dai commenti omofobi che il comico aveva fatto su Twitter tra il 2009 e il 2011).
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La 91ma edizione dei Premi Oscar entrerà nella memoria di certo per i temi trattati nelle pellicole candidate. Se i film candidati sono stati premiati in qualche modo tutti, o quasi, chi ha trionfato in questa edizione sono di certo le minoranze, protagoniste a tutti gli effetti della serata e focus principale di molti dei film vincitori, oltre che dei discorsi tenuti dai premiati. Lo scorso anno l’Academy si schierava al grido #MeToo, quest’anno punta sull’uguaglianza dei diritti tra razze diverse.
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A trionfare su tutti è infatti stato Green Book, film che a sorpresa si è aggiudicato l’Oscar più ambito. La pellicola infatti non ha fatto faville al box office (dove comunque non è andata male considerando i 110 milioni di dollari incassati fino ad ora) e non era tra i favoriti per la categoria Miglior Film, ma la semplicità del racconto, con una narrazione ideale per il grande pubblico, e la sua storia di amicizia oltre qualsiasi diversità ha conquistato l’Academy. Il film di Peter Farrely è ispirato ad una storia vera accaduta negli Stati Uniti degli anni ’60, quando l’odio razziale era all’apice, sinonimo di pregiudizi e violenza. Il film con protagonista Viggo Mortensen si è aggiudicato altri due premi, quello per la Miglior Sceneggiatura Originale e per il Miglior Attore non Protagonista, andato al bravissimo Mahershala Ali.
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Non che quella di Rami Malek sia un’interpretazione di bassa qualità, ma considerando la direzione presa dall’Academy fa riflettere la decisione di assegnare il Premio Oscar per il miglior attore al giovanissimo interprete di Bohemian Rhapsody. Che la statuetta gli sia valsa in gran parte per aver raccontato la storia del grande Freddie Mercury più che per la sua interpretazione, che qualcuno in modo irrispettoso ha anche chiamato imitazione? Nella cinquina in fondo c’erano attori del calibro di Christian Bale, che in Vice ha dato vita ad una nuova grande interpretazione trasformista, o Willem Dafoe che in Sulla soglia dell’eternità interpreta il celebre pittore Van Gogh.
Oscar 2019: un’edizione in cui hanno trionfato i diritti degli afroamericani
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Si era capito fin dall’assegnazione del primo Premio Oscar all’Attrice non protagonista che gli autori e gli interpreti afroamericani avrebbero scritto la storia di questa serata: Regina King alla prima candidatura si è portata a casa la statuetta ottenuta grazie alla sua interpretazione in Se la strada potesse parlare. Anche Spike Lee, dopo l’Oscar alla carriera del 2016, è riuscito ad agguantare il Premio per la Miglior Sceneggiatura non originale: con l’Oscar alla mano ricevuto per Blackkklansman il regista ha tenuto il discorso più impegnato della serata, speech in cui prima ha ringraziato la nonna che era stata una schiava: “Rendo omaggio a lei e ai nostri antenati, grazie al loro sacrificio siamo qui, grazie per aver costruito il Paese e sopportato il genocidio dei nativi” ha detto il regista. Prima di abbandonare il palco Spike Lee ha anche lanciato un monito, dicendo: “Le elezioni 2020 sono dietro l’angolo, ricordiamocelo, possiamo fare una scelta di amore e non di odio“.
Peccato che dopo un discorso del genere Spike Lee abbia manifestato dissenso quando il gruppo di Green Book è stato chiamato sul palco per ritirare l’Oscar per il Miglior film: sembra che il regista afroamericano volesse addirittura abbandonare la sala prima della fine della cerimonia. Alla base di questa protesta, alla quale sembra abbia aderito anche Jordan Peele (regista di Scappa – Get Out) che non ha applaudito la scelta dell’Oscar per il Miglior film, c’è la poca autenticità di Green Book nel rappresentare la storia afroamericana: il film di Peter Farrelly infatti è accusato di essere ancorato alla logica dell’uomo bianco che salva l’uomo di colore, che senza il primo non potrebbe trovare la propria libertà. Una polemica sterile che assomiglia all’invidia e che non fa che offuscare l’impegno per la celebrazione della cultura afroamericana che da sempre Spike Lee mette nei suoi lavori.
Black Panther e Roma agli Oscar 2019: la prima volta di un Cinecomic e di un film Netflix
La 91ma edizione dei Premi Oscar sarà anche ricordata per aver introdotto per la prima volta un cinecomic e un film Netflix non pensato per il cinema nella rosa di candidati al Miglior film. Una scelta ardita, di certo politica per Black Panther e al passo con i tempi per quanto riguarda Roma. Le polemiche per il coraggio dimostrato dall’Academy non sono mancate sia da parte di chi non considera settima arte i film ispirati ai fumetti, nonostante Black Panther, 1 miliardo e 346 milioni di dollari incassati, sia stato molto apprezzato da critica e pubblico, sia da parte di chi invece considera la sala un luogo imprescindibile per il cinema.
Se Black Panther e la storia dell’ipotetico e potente stato di Wachanga da un lato porta a casa un primato, di certo dovuto alla blaxploitation, dall’altro ha deluso, ricevendo solo premi tecnici (costumi ed effetti speciali). Chi invece ha realmente trionfato è stato Alfonso Cuarón e il suo personalissimo Roma: il regista messicano era tra i favoriti con 10 nomination di partenza non ha deluso le aspettative perché i tre oscar conquistati sono di grande peso e riguardano la miglior fotografia, la miglior regia e il miglior film straniero. Roma non è solo un film che celebra il linguaggio cinematografico a tutti gli effetti, che mette in scena dei personaggi femminili minoritari, ma è anche uno spartiacque tra l’industria cinematografica classica e il futuro dell’audiovisivo che inizia ad essere sempre più orientato verso lo streaming e il piccolo schermo. E non è strano che proprio lo splendido film di Cuarón, fatto di carrellate e piani sequenza, pochissimi dialoghi e un bianco e nero super nitido, realizzato grazie ad una macchina da presa 5k che fa assomigliare l’immagine a quella di una pellicola 65 mm, sia il pioniere di quella che sembra una rivoluzione a cui saremo destinati, volenti o nolenti.
Oscar 2019: una sorpresa per La Favorita
Il vero sconfitto di questa edizione è stato Yorgos Lanthimos, regista greco di La Favorita, che dopo aver ricevuto 10 nomination è rimasto praticamente a bocca asciutta. Lanthimos e il suo sontuoso costume drama non sono mai saliti sul palco per essere celebrati, nonostante il regista meritasse un premio per il grande lavoro svolto e di scrittura e di messa in scena. L’unico riconoscimento al film è andato tra le mani dei un’incredula Olivia Comlman, che ne La Favorita, interpreta Anna di Gran Bretagna, una sovrana insicura, lunatica e malata di gotta. Un ruolo storico e delicato, per cui la Colman è stata anche imbruttita, egregiamente interpretato e meritatamente premiato.
Lady Gaga è la vera star dei Premi Oscar 2019
Tutti lo speravano e forse tutti già lo sapevano: Lady Gaga è stata premiata per Shallow, canzone principale della colonna sonora di A Star is Born. Per la prima volta la cantante e attrice viene celebrata non solo come interprete ma come compositrice cinematografica. Il duetto al Dolby Theatre con Bradly Cooper, decisamente il grande deluso della serata – lui e il suo esordio sono praticamente rimasti a secco – rimarrà ben scolpito nelle menti di chi ama il romanticismo che sconfina dalla pura immagine cinematografica.
Eppure il cinema più sentito, più profondo, è arrivato al Dolby Theatre, forse nessuno se n’è accorto, ma tra i candidati per la miglior sceneggiatura originale c’era un film di grande intensità e altrettanto attuale come tutti i titoli che parlano di diversità. La candidatura di First Reformed, l’ultimo film di Paul Schrader largamente ispirato a Diario di un curato di campagna, è forse il vero miracolo di questa edizione dei Premi Oscar. Nessuno sperava nella vittoria di questo autore, celebre sceneggiatore di Taxy Driver, che ha ricevuto la sua prima candidatura all’età di 72 anni, averlo nominato è già una vittoria.